Ballad in Blood: Ruggero Deodato presenta il film liberamente ispirato all’omicidio di Meredith Kercher

Ballad in Blood segna il ritorno di Ruggero Deodato dietro la macchina da presa dopo 23 anni. Il “cannibale” dell’horror italiano, osannato da Quentin Tarantino ed Eli Roth, trae ispirazione dall’omicidio di Meredith Kercher per realizzare il suo ultimo lavoro, presentato giovedì alla Casa del Cinema di Roma nellambito della rassegna ANAC a 360 gradi.

Ballad in Blood non è il classico film che vorreste vedere al cinema in compagnia di parenti e amici, è un thriller/horror crudo e puro in pieno stile Deodato. Il regista di Cannibal Holocaust torna dietro la macchina da presa e realizza un’opera di alto impatto visivo e disturbante fino al midollo.
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La storia di questi tre ragazzi raggiunge livelli di follia tali che è impossibile non rimanere scossi e “violentati” dopo la visione del film. Il Maestro colpisce ancora con un’opera che a oltre, ed osa, forse troppo per essere un film Italiano e così si ritrova in balia del sistema che non riesca a catalogarla, non vuole esporsi per dargli il visto censura e non è in grado di trovare una distribuzione interessata a dare visibilità al film.
Italia, 2007. Dopo aver trascorso la notte di Halloween a far baldoria a base di sesso e droghe, Lenka (Carlotta Morelli) una studentessa Erasmus di origine ceca, il suo fidanzato Jacopo (Gabriele Rossi) e il loro amico di colore Duke, al loro risveglio, trovano il corpo di Elizabeth (Noemi Smorra) una giovane studentessa inglese, privo di vita. Non ricordando praticamente nulla di cosa fosse successo la sera prima, i tre, cercano di ricostruire l’accaduto basandosi sui filmati del telefonino della studentessa che, per vizio, era solita immortalare buona parte della sua permanenza in Italia con dei video. Con il passare del tempo aumenta la tensione e i tre protagonisti di questa macabra storia iniziano ad accusarsi a vicenda, spingendosi oltre i limiti della follia…
In una conferenza stampa-dibattito stracolma Ruggero Deodato e il cast hanno presentato il film e il regista per oltre un’ora ha raccontato il suo modo di fare cinema, ciò che lo ha reso celebre in tutto il mondo, dagli horror trucilenti ai cannibal movie:
Ruggero Deodato: “Prima di cominciare vorrei dire che quando l’ANAC mi ha chiesto di partecipare a questa manifestazione con il mio film ho aderito sin da subito. Ho sempre rivendicato con orgoglio di essere un socio dell’ANAC, ma forse non sapete che prima ci riunivamo in una casa che ci aveva messo a disposizione Vittorio Gassman con un sottosuolo, vicino Piazza del Popolo ed una volta Luigi Magni disse: “Ma noi con tutti si soldi che abbiamo , ma che stiamo facendo, i carbonari? Affittiamoci un circolo, una sala cinema” ma la cosa non partì mai.”
In Ballad in Blood c’è la volontà di lavorare attorno ad un fatto noto a chiunque, di un evento di cui si è parlato anche in maniera eccessiva, ma di riscriverlo completamente, di prendervi spunto per poi abbandonarlo. Il secondo aspetto interessante è l’utilizzo come mezzo di verità e di riconoscimento della stessa del filmato preesistente, del found footage, che può essere ricollocato all’interno della tua filmografia in un passaggio chiave che è quello di Cannibal Holocaust; lì era l’unico elemento di scena, l’unica possibilità di aggiungere la verità, qui la verità la costruiscono i personaggi, se la costruiscono in testa e c’è un personaggio chiave che “sceneggia” quello che dovrà accadere in scena. Ruggero, parlaci di questi due aspetti.
Ruggero Deodato: “I miei maestri, e ne ho avuti tanti, che mi hanno influenzato sono stati Roberto Rossellini, per il realismo, Mauro Bolognini per l’eleganza, quella che mi ha permesso di fare anche tanta pubblicità, e poi la crudeltà di Sergio Corbucci. Rossellini per me è stato un padre, un maestro, sono nato con lui, perciò non la usavo spesso, se non chè poi mi sono reso conto che in effetti io amavo la cronaca nera e ho capito chi me lo ha messo in testa questo amore: di rimessa mio padre che comprava il giornale, nessuno dei figli lo leggeva, però era preda della cameriera che una volta letto, ci metteva in fila tutti quanti e ci diceva: “allora, hanno trovato la testa di Antonietta Longo sul lago di Castel Gandolfo“… “L’altro giorlo Wilma Montesi è stata ritrovata morta sulla spiaggia di Torvaianica e c’era implicato un direttore d’orchestra, uno del cinema” e tutti i giorni lei ci raccontava questi episodi di cronaca nera e noi tutti in coro “Che c’è Gina, diccene un altro”, quindi mi sono sin da adolescente innamorato della cronaca nera, cosa che poi ho fatto caso che i figli nostri, non sanno niente, non si interessano minimamente a questi argomenti. Non vedono neanche il telegiornale! E questo penso sia un male perchè la cronaca nera ti fa conoscere sia le crudeltà che certe paiure che servono, che ti portano a riflettere nella vita. Questa l’influenza del realismo e il realismo lo devo a Roberto Rossellini. Per quanto riguarda Sergio Corbucci e la crudeltà, Django, quando gli mozzano l’orecchio, mi è rimasto molto impresso e quando sono andato a fare Cannibal Holocaust, ho voluto omaggiarlo. Mauro (Bolognini ndr) invece mi ha dato tutto; la cosa più importante che avevano i registi di un tempo, era la cultura, qualcosa che non esiste più e in uno dei suoi film in cui facevo l’aiuto regista: Mademoiselle de Maupin, ambientato nel ‘700, girato in Ex-Jugoslavia in diverse location del posto, molti castelli, e io chiedendogli: “ma le comparse, come le metti?” lui mi rispose: “guarda, ti compro due libri, uno di Fragonard e uno di Hogarth e tu non devi far altro che guardare la composizione di pittorica di Fragonard: ci stà l’altalena, e tu ci metti Cathrine Spaak sull’altalena e tutti i fiori intorno”. Per me quella è stata un’esperienza illuminante, per me era tutto facilitato, e questi sono stati i miei maestri che mi hanno aiutato moltissimo.”
E i filmati presenti in Cannibal Holocaust?
Ruggero Deodato: “In Cannibal Holocaust ci stanno i filmati ed è uno degli elementi principali del film perchè tutti i miei fans e i fans del film mi chiedono sempre: “se fai un film, se farai un film, ricordati l’artigianalità delle tue opere e di ciò che hai fatto in passato” quindi fallo con le mani, con i trucchi del mestiere e anche la mia segretaria di edizione si stupiva alle trovate che mettevo in atto per risolvere problemi sul set, è la creatività del momento, cosa importantissima perchè dà l’originalità alla scena e allo stesso tempo puoi inventare una cosa nuova, non vai ad imitare mai nessuno. Per esempio, se qualcuno mi dice: “questo l’ha fatto pure John Ford” allora io cambio immediatamente, non voglio fare una cosa che già qualcun’altro ha fatto prima di me.
E quindi la macchina thriller messa in atto dalla ricerca con il telefonino e con il computer, mi è servita per uscire da un film che poteva essere solo in un ambiente perché l’originale soggetto che mi era venuto in testa era questo: si svegliano tre rincoglioniti dalle droghe e vedono una morta. Chi l’ha ammazzata questa? Da qui partiva l’indagine, “tipo Rashmon”, cercavo su ogni personaggio di riuscire a capire il perché, dove si trovava ecc… però era complicatissimo e allora, il computer, il telefonino, la macchinetta, mi hanno aiutato prima di tutto ad uscire dalla casa e poi mi ha permesso di cambiare in corso la sceneggiatura, anche perchè ho dovuto aspettare molto prima che la produzione, assai travagliata, prendesse definitivamente il via. Per esempio l’idea di Ernesto Mahieux è venuta dopo, quando ho scritto la parte per lui e anche il finale, sono elementi del film che sono venuti man mano.”

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Ruggero, parli del film come se fosse stato tutto facile, tutto automatizzato, in realtà dietro c’è una grossa esperienza e soprattutto un’attività di ragazzo di bottega. Come si diventava un ragazzo di bottega che assorbiva, senza accorgersene tante cose, e poi le riutilizza, magari mescolandole nei propri film? Ci parli di questo?
Ruggero Deodato: “Io non mi perdo mai. Non c’è un problema, per me non esistono problemi. La cosa che mi è venuta spontanea quando ho fatto il primo film è di farmi dei disegnini: la macchina la metto a P.zza di Spagna, poi vado, poi faccio, penso alla Corazzata Potemkin, tutto così, poi vai sul set con tutta la troupe e l’attrezzatura e arriva un vigile, vestito pure male, che ti fa: “ce lo avete er permesso?” ed io “No”, “allora , sgommate!”, e questo succede spessissimo al che, dopo la prima volta che avevo fatto i disegnini non mi hanno fregato più; non facevo più i disegnini e si andava a P.zza della Tartaruga piuttosto che a quella di Spagna e andava bene. Ho fatto un film “Uomini si nasce polizziotti si muore”, ci stava un inseguimento che parte da Via due macelli fino a P.zza del Popolo con degli stunt anche importanti e… come si fa? Si andava con 5 mila lire alla mano e si diceva al vigile di non guardare. Lui si prendeva i soldi, se li metteva in tasca e si poteva tranquillamente girare. Ogni volta che racconto questo episodio a Tarantino, lui rimane basito.
Queste son tutte invenzioni che ti vengono spontanee; prendete “Cannibal Holocaust”, mandavo i pezzi che giravo a caso, inventavo delle riprese nella giungla, e arrivavano al Mifed, il più grande mercato estero di compravendita di films e il produttore mi chiamava per telefono e mi diceva: “A Ruggè, qua se stanno a comprà tutti i pezzi, tutto. Ammazza chi te pare, fai quello che ti pare ma manda, manda” ed io, vista una cosa del genere chiamo lo scenografo Antonello Geleng, che lavorava anche con Fellini, e gli dico “Antonè, domani mattina tu mi fai vedere come impalare quella ragazza che l’altro giorno abbiamo cercato di violentare. Domani mattina mi svegli e me lo mostri”. Quella mattina alle sei mi suona il campanello, apro ed arriva Antonello con un palo in mano con un sellino di bicicletta e saldata sopra una stecca di ferro e mi disse: “questa la pianti sulla terra, metti lei seduta appoggiata con la schiena al palo ed in bocca ci metti”, prese dalla tasca un pezzo di legno di balsa e continuò: “glielo metti in bocca, poi tutto sangue ed è fatta”. Quando mi ha chiesto questo effetto speciale Quentin Tarantino “ma quanto costa”? Ed io gli ho risposto: “ten dollars”! Ma non era solo maestria di bottega, avevo tutti collaboratori bravi e validi; avevo un direttore della fotografia, il povero Riccardo Pallottini, mancava un pesce, ed io bestemmiavo perché lo volevo e mi serviva in una particolare scena e lui mi diceva “a Ruggè, prenditela con calma” ed intanto con un coltello stava scarnificando un pezzo di legno, ed io incazzatissimo… allora lui dopo un po’ con la carta stagnola mi porta un pesce e mi fa “eccolo il pesce”, ed io “ma che sei matto?” e lui: “ma tu muovilo con le mani su e giù velocemente che alla fine la scena viene”, e di episodi così se ne potrebbero raccontare a centinaia, anche perché questi trucchi li ho potuti realizzare con le troupe italiane che erano le migliori del mondo e le più capaci nell’inventarsi soluzioni ad ogni tipo di problema.
La bottega è questa, avendo fatto 160 film da aiuto regista, in quei film catturavi tutto da tutti. Basta non confondere il termine bottega con artista di Serie B, perchè quando dicono “cinema di genere” io non mi incavolo assolutamente, però molti dei critici non sanno che anche i grandi hanno fatto film di genere, lo ha fatto Elio Petri, Lizzani, Damiani, Rossellini, insomma tutti lo hanno fatto il cinema di genere, solamente che veniva fuori da registi che erano considerati dei padreterni. Dopo l’exploit del western tutti a cavalcare il genere ed imitare Sergio Leone; il cinema apparteneva a tutti e tutti potevano fare qualsiasi cosa.

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