Cannes 2017 una lezione di cinema dal premio Oscar Alfonso Cuaron che si e’ raccontato senza segreti al critico Michel Simon e al numeroso pubblico in sala con un ospite di eccezione che risponde al nome di Guillermo del Toro.
Alfonso Cuaron, premio Oscar per Gravity, all’ interno della sala Bunuel strapiena, mentre fuori festivalieri e noti giornalisti non sono riusciti ad entrare. Assieme al cineasta a moderare l’incontro è stato chiamato il critico Michel Simon che ha alternato a scene dei suoi film piu’ da inizio carriera fino a Gravity. Il regista messicano ha parlato senza nascondere segreti come lui stesso ha dichiarato:
“Qui ci potrebbero esserci i registi di domani e quindi vi devo raccontare esattamente come sono andate le cose” “Ad inizio della mia carriera ho fatto di tutto, microfonista all’assistente di regia, un figlio a vent’anni . l mio primo pensiero è stato quindi quello di guadagnare abbastanza per sostenere la mia famiglia, con il mio amico Emmanuel Lubezki, che tutti chiamiamo Chivo (tre Oscar per la fotografia, due con Inarritu e uno con Cuaron,ndr) abbiamo iniziato a fare cinema con tanta paura, rincorrendo uno nostro stile visivo che forse non era quello giusto. Poi col tempo poi abbiamo compreso come trovare la giusta strada”.
Andando avanti nel racconto
Cuaron ci parla del primo incontro con
Del Toro :
“All’epoca lavoravo in televisione e tutti parlavano di un genio a Guadalajara. Per molto tempo non l’ho mai incontrato, molti miei amici erano diventati suoi amici e mi parlavano di lui, confesso di essere diventato geloso. Stavo lavorando ad uno show, una specie di Twilight messicano per la tv tratto da una storia di Stephen King e finalmente l’ho incontratoi . Ci siamo studiati in modo non proprio professionale : tu hai fatto questo, tu hai fatto quello… Abbiamo cominciato a chiacchierare dello show e lui mi ha detto perché avevo fatto una cosa così brutta? Mi ha spiegato che ne pensava, perché per lui lo show era pessimo e siamo diventati amici”.
Poi con Alejandro Gonzalez Inarritu l’incontro fu molto simile:
“Ero a Los Angeles e venne a farmi vedere un cortometraggio, davvero brutto e io gliel’ho detto subito, abbiamo cominciato a parlare e gli ho spiegato cosa non andava. Il giorno dopo è tornato con la sceneggiatura di Amores Perros. Alejandro è così, non aveva praticamente mai visto come funzionava una macchina da presa, Chivo gli ha mostrato come fare, e lui il giorno dopo ne sapeva più di chiunque altro”.
Alfonso Cuarón fedele al fatto di non nascondere nulla alla sua platea ha raccontato come alcuni film sono dovuti venire fuori come richiesto dalla produzione, e lui per ragioni di stipendio e in alcuni casi di vera sopravvivenza ha dovuto accettare. Dopo il suo esordio con Uno per tutti, che affrontava il tema dell’aids con umorismo , venne chiamato a Los Angeles da Sidney Pollack:
“Lì purtroppo sono finito nel limbo dei progetti che venivano preparati e che poi non vedevano mai la luce, ero pagato, potevo mantenere la mia famiglia ma potevo fare il mio cinema. Ancora oggi non so come sono riuscito a convincerli a farmi dirigere La piccola principessa, il film di cui J.K. Rowling si è innamorata e grazie al quale anni dopo hanno deciso di affidarmi Harry Potter”.
Per Alfonso Cuaron i film sono come le ex mogli non li rivede mai:
“Per i miei amici i film sono come figli da vedere crescere, per me invece sono come ex mogli: li ho amati, loro mi hanno amato ma preferisco non incontrarli più. Paradiso perduto, con Ethan Hawke e Gwyneth Paltrow, è un film venuto davvero male, sono contento di averlo fatto e ringrazio gli artisti che hanno lavorato con me, ma in realta’ l’ho fatto per le ragioni sbagliate, in primis perché ero senza soldi e seguito gli studios mi hanno sedotto mandandomi a cena con Bob De Niro. A quell’epoca avevo dimenticato di essere un autore, di voler scrivere le mie storie, ero diventato un banale impiegato del cinema”.
Il regista ha raccontato perché non ha mai voluto vivere ad Hollywood, un mondo che non sente suo:
“A Hollywood non ho mai vissuto, vivevo a New York, onestamente ero molto deluso non dal cinema, ma dal mio modesto contributo al cinema stesso. Sono andato in una videoteca, ho noleggiato decine di vhs, per prenderne così tanti ho dovuto lasciare in ostaggio la mia carta di credito; per una settimana ho visto solo i film che mi avevano fatto innamorare del cinema. Poi ho chiamato mio fratello Carlos e in tre settimane abbiamo scritto Y tu mama tambien. Quel film è stato il frutto del viaggio che noi abbiamo fatto, il contesto sociale, il luogo ha condizionato la storia e i personaggi. Volevamo realizzare un romanzo di formazione che raccontasse il classico passaggio all’età adulta dei nostri due protagonisti (Diego Luna e Gael Garcia Bernal, ndr) ma anche quello del nostro paese, che in quel momento viveva le sue prime elezioni democratiche dopo tanto tempo e finalmente otteneva la cosiddetta “democrazia” che conosciamo oggi”.