Chicago PD 4×14 – Recensione: Questioni di fiducia
19/02/2017 di Redazione
Ciò che questo episodio di Chicago PD 4 ci ha insegnato è che le apparenze ingannano, che bisogna aspettare prima di giungere alle conclusioni, che c’è sempre un motivo per ciò che fa Hank Voight e che ammettere di aver sbagliato, è ciò che fanno i grandi uomini.
Jay si è fidato di ciò che ha sentito, di quelle voci di corridoio che Hank Voight non ha smentito fino a quando il caso su cui stavano lavorando non è stato chiuso con quella coppia che avrei sbattuto nella gabbia solo per farli uscire quando erano pronti ad entrare al Chicago Med. Ma tanto ci ha pensato Erin a sbattere la testa di quella donna contro un muro…
Nessuno dell’Intelligence si è fidato di Hank, di Kenny e di quello che ha fatto sul campo dal momento esatto in cui è arrivato. Tutti in questo episodio di Chicago PD sembrano essersi dimenticati che c’è un passato a noi sconosciuto per ognuno di loro. Devo ammetterlo, nonostante abbia capito i dubbi dell’intera unità, avrei preso a sberle Jay dal primo fino a quell’ultimo minuto, fino a quei secondi in cui ha chiesto scusa per quel comportamento saccente che non si addice al nostro detective Halstead.
Sarà che ho sempre avuto fiducia in Hank, sarà che le prime donne (come è apparso Jay in questo episodio) non mi sono mai piaciute, sarà che ho amato Kenny dal primo momento (un misto tra Hank e Antonio), ma non ho mai dubitato della scelta del nostro sergente, nemmeno per un secondo.
Non capivo per quale motivo Hank non volesse dare spiegazioni, non capivo perché ha impedito a Kenny di difendersi sin dal primo momento in cui sono arrivate quelle stupide accuse. Poi ho capito: Hank Voight voleva capire se quella era la squadra che aveva scelto, se quelle persone si sarebbero fidati di lui, del giudizio del loro sergente, se Jay è la persona che credeva, quella a cui ha affidato la vita di colei che considera sua figlia a tutti gli effetti.
Jay ha chiesto scusa, dopo di lui tutta la squadra. Ho amato quel momento, ho amato Jay e le sue parole. E’ questo il nostro detective, è questa l’Intelligence, quella famiglia che certe volte sembra mancare, ma che nei momenti importanti è sempre presente.
Un episodio di Chicago PD che mi ha colpita grazie a quelle presenze, al ritorno di Antonio (anche se solo per un momento), all’arrivo di Ruzek, le scuse di Jay, lo sguardo di Kenny (non portatemelo via, please).
Adam Ruzek è tornato. Ha ammesso di essere scappato dell’unità perché non era pronto a stare accanto a Kim, a lavorare con lei. E adesso? Tutto sembra diverso, almeno questa è la nostra speranza.
Poi quel bacio, nonostante l’emozione non posso fare a meno di chiedermi se sia stata la cosa giusta da fare. Non lo so, forse è troppo presto. Nulla è stato detto, nessuna situazione è stata chiarita. Non vorrei che i nostri detective ricadessero negli stessi errori. Certo, c’è stata un’ammissione di colpa. Adam ha iniziato a parlare. Ma per scoprire se Ruzek ha smesso di vivere sull’isola che non c’è, non ci resta che aspettare. Intanto, ci godiamo questo bacio e… bentornato a casa Adam, ci sei mancato. L’Intelligence, Chicago PD, non erano lo stesso senza di te.
E poi lui, Antonio Dawson. E’ stato bello vederlo con quel sorriso perché non gli è più possibile salire ai piani superiori. E mentre aspettiamo di vederlo in Chicago Justice, tutto quello a cui riesco a pensare è che… senza Antonio Dawson l’Intelligence non è più lo stesso. E credo che anche Erin la pensi allo stesso modo.
Adam Ruzek è tornato, Antonio è arrivato per un attimo e ci ha riportati indietro di qualche mese, Jay ha capito di aver sbagliato, Hank Voight è il pilastro di questa unità e, forse, questi uomini e queste donne, lo hanno finalmente capito.
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