Grey’s Anatomy 13×16 – Recensione: far sentire la propria voce, sempre

Il 16esimo episodio di “Grey’s Anatomy 13” è andato in onda. April e Jackson hanno avuto il loro episodio speciale, abbiamo conosciuto il padre di Jackson e per un momento, in quegli ultimi minuti, abbiamo rivisto i nostri Japril. 

Grey’s Anatomy ci ha accompagnati in Montana, con April e Jackson, abbiamo conosciuto quel padre assente, quel padre che non è riuscito a sopportare la pressione del suo cognome, e per un momento, solo per un momento, mi è quasi dispiaciuto per quel mancato abbraccio tra padre e figlio che Jackson ha sognato sin da bambino.
Ha provato a parlare Jackson, proprio come quella bambina, ha provato a dire qualcosa a quell’uomo che gli era davanti e che, sotto l’incredulità di suo figlio, non l’ha riconosciuto. Non ha riconosciuto i suoi occhi, il suo sguardo, quel sorriso che ha fatto fatica ad uscire per tutto il corso dell’episodio, per tutto il tempo in cui avremmo voluto prendere Jackson tra le braccia e occuparci di lui, proprio come ha fatto April per la prima volta dopo tanto tempo.
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Catherine sapeva cosa stava succedendo, sapeva che Jackson sarebbe andato a cercare suo padre, così ha mandato April con lui, “per ogni evenienza“. Credo sia la prima volta che vedo in questa donna solo una madre che vorrebbe proteggere suo figlio da ogni dolore, una nonna che vuole tenere stretta a sé sua nipote, una mamma che ha cresciuto suo figlio da sola, con le sue forze… facendo un gran bel lavoro.
Nella prima scena credevo che Catherine e Jackson avessero parlato di quell’incontro, ho capito solo alla fine che non era così. In quegli ultimi minuti, attraverso quei ringraziamenti, le parole giuste dette al momento giusto, nell’attimo esatto in cui anche Jackson, dopo tanta rabbia e tanto dolore, ha visto Catherine per ciò che è… semplicemente sua madre, la sola persona che non l’ha mai abbandonato, che non lo farà mai.
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La rabbia di Jackson si è riversata su April, forse perché è questo che facciamo quando stiamo per esplodere, quando il dolore è talmente grande che non riusciamo a gestirlo, attacchiamo chi sappiamo non andrà via, chi amiamo di più. Ma April è rimasta lì, accanto a lui, al suo migliore amico, il suo ex marito, il padre di sua figlia. Ho amato April in questo episodio di Grey’s Anatomy e avevo paura non sarebbe mai più accaduto. Le sue parole, la forza che ha dato a Jackson, ogni singolo istante in cui lo ha preso per mano per accompagnarlo in quello che è stato l’incontro più difficile della sua vita. Quello con quel passato che non ha mai dimenticato.
E’ rimasto fermo Jackson, non è riuscito a proferire che poche parole mentre suo padre sorrideva, voleva sapere di lui, affermava con una disinvoltura che era un cazzotto nello stomaco, di non sapere nulla di suo figlio, della sua vita, del piccolo Samuel che abbiamo sentito nominare e che mi ha riportato indietro in un attimo senza permettere alle mie lacrime di fermarsi.
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Ho ascoltato le parole di quell’uomo, ho sentito ogni singola sillaba pronunciata e tutto ciò che riuscivo a provare era… niente. Non riuscivo a sentire niente mentre Robert Avery parlava come se nulla fosse accaduto, come se Jackson non avesse imparato a radersi senza di lui, a crescere, a camminare, andare in bicicletta senza suo padre accanto. Ed è stato quello il momento in cui, nonostante il mio odio profondo per Catherine Avery, non ho potuto fare altro che apprezzare la donna che ha cresciuto un uomo che merita di essere chiamato papà.
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E mentre il dolore e la rabbia di Jackson camminano di pari passo, April è sempre lì, fino a quel caffè offerto in segno di pace, fino a quel primo sorriso, fino a che l’odio tra i Japril è svanito per permettere a quella bambina di poter parlare. Quando ho visto Jackson Avery parlare con il medico dell’ospedale che porta il suo nome, ho capito che quest’uomo non è e non sarà mai né suo padre, né sua madre. Ma essere un Avery non è soltanto il cognome che porta, lui E’ un Avery, e non credo ci si trovi così male ad esserlo come vorrebbe far credere.
L’intervento riesce, Jackson porta la magia in quella sala operatoria (Mark sarebbe stato fiero di lui) e in quella stanza, in quel corridoi dell’hotel… si realizza il mio sogno: April e Jackson di nuovo l’uno tra le braccia dell’altra. Non sappiamo se la cosa andrà avanti, se durerà, se sono tornati ad essere una famiglia, ma un piccolo passo avanti è stato fatto in questo episodio di Grey’s Anatomy, e tutto quello che possiamo fare è pregare Shonda di non portarci via anche loro, non un’altra volta, non adesso.
Ho avuto paura per il mattino seguente, ma April è rimasta tra le braccia di Jackson, e non potevo desiderare di più.
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Ma April aveva ragione, Jackson è arrivato in Montana per parlare, per dire a quell’uomo cosa pensa di lui, di ciò che ha fatto, di tutto quello che non ha fatto e che non potrà fare mai più. E così le parole escono questa volta, Jackson butta fuori il suo dolore, quello che per anni si è tenuto dentro, poi apre quella porta per richiuderla per sempre dietro di sé.
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Si torna a casa, da Herriett, da Catherine, da quella donna che l’ha cresciuto da sola e allora “Grazie, solo… Grazie di tutto.
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