Ian McKellen: “Il coming out mi ha reso un attore migliore” | Festa del Cinema di Roma
04/11/2017 di Thomas Cardinali
Ian McKellen è un attore immenso per valori artistici, ma soprattutto umani dopo aver lottato tutta la vita per i diritti degli omosessuali. Lo abbiamo incontrato alla Festa del Cinema di Roma dove ha ripercorso la sua carriera e presentato il documentario “McKellen: Playing in the Part”.
Una conversazione che parte dagli esordi a scuola a 13 anni sul palco teatrale e che prosegue alle prime delusioni cinematografiche con i no a Cinecittà che gli hanno però permesso di formarsi e di arrivare al successo al momento giusto. L’Italia ha un posto speciale nel cuore di Ian McKellen, ma soprattutto lo ha il grande Eduardo De Filippo che viene ricordato con un ovazione della sala.
Ian McKellen non può non ripercorrere forse la parte più nota della sua carriera sul grande schermo con quel Gandalf de Il Signore degli Anelli per il quale ottenne la sua seconda e (per ora) ultima nomination all’Oscar. Un viaggio quello nella Terra di Mezzo che gli è valso la gloria eterna per i fan della saga, dato che è universalmente riconosciuto come uno degli attori migliori del ricco cast. Ecco il nostro incontro con Sir Ian McKellen, che alla fine si ferma in barba al cerimoniale ufficiale firmando autografi e facendo foto con i presenti e se ne va tra scroscianti applausi.
“Di solito dico sempre che c’è da piangere nel mondo ma oggi mi sento particolarmente sorridente perché è una bellissima giornata a Roma”.
Come ha fatto il regista a convincerla a realizzare il documentario?
Ian McKellen: “Io dirò di aver incontrato Joe Stephenson a Londra, avevo visto il suo primo film e quando mi ha chiesto se fossi disponibile ad aiutarlo in un documentario su di me ho detto di sì”.
Joe Stephenson: “Dopo che ian aveva deciso di non scrivere la sua autobiografia ho deciso di interpretarlo, la sua figura ha ispirato tanti e me stssso”.
Ian McKellen: “Sono stato per due giorni a parlare di me stesso è stato terribile, io penso di essere poco interessante ed ero imbarazzato come si vede nel film. C’è qualcun altro che interpreta me”.
Non è vero che la sua vita non è interessante, ma lo è moltissimo. Volevo chiederle riguardo il suo lavoro per un gigante della scena com’è stato passare da Shakespeare a saghe come X-Men e Il Signore degli Anelli?
Ian McKellen: “Quando ho iniziato a fare l’attore ho lavorato per lo più a teatro, feci due provini poi a Cinecittà uno per bRbarella con Jane Fonda che mi fece uova e bacon ma non ebbi la parte. Anche per un bandito siciliano mi dissero che ero troppo inglese. È stato soltanto quando ho lavorato con Judy Dench in un piccolo teatro ho pensato che recitare fosse comunicare ad un pubblico vicino, al cinema la prossimità è assoluta e quindi mi sono preparato per quel giorno. Ho avuto l’occasione solo a 60 anni, i giovani attori devono sempre essere pronti ad avere l’occasione. Non pensate ad essere star, non c’entra niente. Se avessi interpretato quel bandito siciliano probabilmente non mi avreste più sentito nominare”.
Lei alla fine del documentario dice forse con malinconia che ha deciso di non avere figli per dedicarsi al teatro perché sa fare solo quello, non ha mai pensato di adottare un figlio quindi?
Ian McKellen: “Fino all’età di 29 anni era illegale per me avere rapporti sessuali, io non pensavo neppure lontanamente all’idea di avere figli perché ero un criminale. Non avrei mai pensato di poterlo avere perché era contro la legge per quello come me, credevo poi che essere gay fosse la cosa migliore perché si evitavano i figli (risate ndr). Oggi per persone abbastanza mature con rapporti fiduciosi è bellissimo pensare di avere figli, ma per me è troppo tardi. Ho un bel rapporto con i giovani fan, una bambina di 5 anni voleva salutare Gandalf in trattoria e non dovevo preoccuparmi della sua istruzione, tutto è stupendo così com’è”.
Il regista come ha pensato all’adolescenza della parte iniziale di Sir McKellen?
Joe Stephenson: “Noi abbiamo ricreato importanti episodi dell’infanzia con altri attori, volevamo che il pubblico si innamorasse del passato di Sir Ian McKellen per rapportarsi con lui in età giovanile. Questo era il nostro obiettivo, poi doveva essere cinema e non televisione”.
Ian McKellen: “Sono andato alla prima del documentario e mi sono ritrovato circondato da vecchi amici, amanti, persone che mi vogliono bene e sono venuti anche vecchi attori. Alla fine ero in lacrime perché l’amicizia ha contato così tanto nella mia vita ed oltre che nel documentario sul grande schermo era anche in sala. Forse questo film piacerà di più a me rispetto agli altri alla fine, proprio io che credevo non mi sarebbe mai piaciuto”.
Nel documentario parla molto anche della sua sessualità e si ricorda che una trentina d’anni fa ha dichiarato di essere uomo sessuale e si è battuto. In questi giorni si parla anche dell’outing di Kevin Spacey e le circostanze ci fanno pensare che non sia cambiato molto che ne pensa?
Ian McKellen: “Qualunque persona gay che lo abbia fatto vi dirà che è meglio perché si diventa una persona più sincera, attraente e fiduciosa. Dopo aver deciso di dichiararlo secondo molto la mia recitazione ne ha tratto beneficio, cercavo di non mentire e raccontare la natura umana. Le persone hanno paura della reazione dei genitori, di perdere il lavoro di perdere voti. La mia carriera ha avuto un’impronta con questa svolta. Io vado spesso nelle scuole del Regno Unito e incoraggio tutti a parlare della propria sessualità genitori e amici, loro a 13 anni fanno ciò che ho fatto io a 49”.
Il suo rapporto con il testo di Edoardo de Filippo “Il sindaco del rione sanità”?
Ian McKellen: “Edoardo De Filippo non è neanche italiano, se non sbaglio direi che è napoletano. Io non l’ho mai visto sul palcoscenico anche se la sua compagnia venne a Londra negli anni 60’. Ero stato anche in due sue opere teatrali, ho fatto la sua parte e la sua vedova mi venne a trovarmi piangendo perché assomigliavo tanto al suo Edoardo. Ero a Milano su invito di Giorgio Strehler per un festival e per qualche motivo è stato cambiato il canale. Giorgio Strehler decise che avrei potuto pronunciare qualche brano da la tempesta e Giorgio Strehler mi fece la traduzione in italiano, Edoardo tradusse in napoletano. Quindi posso dire di aver lavorato con lui, mi piace l’idea di un teatro destinato ad una particolare società. Lui lo ha fatto con la sua famiglia e la sua compagnia. Se come attore dovessi scegliere una cosa avrei voluto far parte di una compagnia come quella ed Edoardo ha una grossa parte del mio cuore”.
Sir Ian McKellen, lei ha iniziato a 13 anni con Shakespeare mentre è arrivato tardi al cinema. A livello tecnico com’è riuscito a portare il suo stile dal teatro al cinema?
Ian McKellen: “Si e no. Un attore si rapporta al personaggio che deve interpretare e permette al personaggio di diventare lui stesso. A teatro ci si diverte si fanno le prove e poi arriva il pubblico a cui devi proiettarti ed è molto lontano. Con Judy Dench ho scoperto un pubblico molto vicino al cinema, quasi un auto personaggio. Quando i registi hanno capito che la cinepresa poteva muoversi è diventata un personaggio molto diverso dal pubblico. Gli altri attori devono mostrare rispetto per la cinepresa che è una cara amica. Io a 13 anni ho debuttato a scuola, per fortuna il più grande inglese mai vissuto era uno scrittore di opere teatrali. A 13 anni ho scoperto questa figura interpretando piccoli estratti di Shakespeare, ho imparato senza studiare teatro e facendolo”.
A proposito di personaggi qual è stato quello più distante da lei?
Ian McKellen: “Il mio modo di recitare cambia di continuo e non sono in fondo alla strada, sto bene e posso andare avanti. In passato pensavo che recitare significasse mascherarsi, in realtà recitare significa rivelare è questo l’ho acquisito con il coming out. L’unica cosa originale che ho da dire sulla natura umana è che siamo tutti capaci di fare qualsiasi cosa. Io lo so perché sono in grado di rappresentare qualsiasi caratteristica nei miei personaggi. Non è strano innamorarmi di Giulietta da uomo gay, tutte le persone che non sono gay possono immaginare di esserlo perché c’è l’immaginazione”.
Quando ho intervistato degli attori che hanno superato i 60 anni si lamentano molto di fare i supereroi o eroi di fantasy, lei sembra si sia divertito invece?
Ian McKellen: “A me piace diversificare, quindi una volta che ho fatto Gandalf che ha 70000 anni tutte le proposte erano per persone anziane che avevano la barba lunga…anche se più vecchio di Gandalf forse c’è solo Dio. Mi hanno proposto Silente, ma mi sono detto ho già fatto Gandalf per cui non aveva senso accettare la parte. Ho fatto Magneto quindi non mi interessa fare ancora super eroi. Voglio qualcosa di difficile da interpretare. Se un regista mi dice che non sono in grado di fare una determinata cosa aumenta la mia adrenalina e la voglia di affidarmi a lui. Ho fatto tanta televisione, pantomima, ma non ancora un musical. Non sono però bravo a cantare”.
Dopo tanti anni di carriera cosa le fa paura?
Ian McKellen: “Non ho paura di niente, ho paura solo della tecnologia. Ho paura dei politici, dei militari, delle pallottole, della stupidità…ma quando si tratta di lavorare non ho paura di niente e sono fortunato. Ho un lavoro in cui posso essere un’estensione di me stesso e a teatro e al cinema è come se mi lanciassi da un edificio, posso volare anche se non come Magneto. C’è una battuta dei miei film preferiti sul regista James Wheel che riassume quello che provo” fare film è la cosa più bella del mondo, lavorare con amici e far divertire le persone. Facendo questo non importa quanti soldi prendo e dove lo faccio, non fa nient perché è più simile della vita stessa alla vita”.
Può ripetere la battuta di Gandalf “Tu non puoi passare”?
Ian McKellen: “La cosa curiosa della battuta tu non puoi passare è che sui libri Gandalf non dice mai questa battuta. Dice non puoi passare in modo leggermente diverso, ovvero “Non passerai”. Mi sono sbagliato ed è rimasto così”.
Com’è cambiato il rapporto con la tecnologia tra Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit?
Ian McKellen: “Il green screen è uno schermo sul quale si proietta un immagine davanti alla quale si mette l’attore. Quando sei sul palcoscenico ti mettono scene finte con il pubblico di fronte, è il green screen quindi nessun problema. Per la maggior parte de Il signore degli anelli e Lo Hobbit eravamo lì anche sulla Montagna dove mi hanno portato in elicottero. Era neve, vento e cieli azzurri veri. A volte era necessario il primo piano dove utilizzavamo il green screen, ma essere lì era la cosa più bella. Quando si tratta di fare un film tutto è artificiale, non fai la scena tutta di fila ma pezzetto per pezzetto. La tecnologia di un tipo, dell’altro…non cambia molto. Non è vero che in quei film erano tutti a green screen, ci sono stati alcuni esempi che non hanno.