Il permesso – 48 ore fuori, recensione: il crime-noir secondo Claudio Amendola
30/03/2017 di Redazione
Il permesso – 48 ore fuori, seconda opera da regista di Claudio Amendola, segna il ritorno dell’attore al genere che lo ha consacrato al grande pubblico. Forte di un testo di Giancarlo De Cataldo, Amendola riesce a realizzare un crime-noir crudo e violento tipicamente anni ’80 dove alcuno spazio viene lasciato al giudizio, dove i buoni si contrappongono ai cattivi e il bene non sempre trionfa sul male.
Con Il permesso – 48 ore fuori, Claudio Amendola realizza un’ opera dura e pura sulla scia del genere poliziesco o “polizziottesco” tanto bistrattato negli anni 70′ e 80′ ma che con il tempo è stato riscoperto dalla critica. Un film necessario che rilancia definitivamente quel genere cinematografico che nel passato ha reso celebre la nostra cinematografia.
Amendola fa suo l’action hollywoodiano e lo cala in un contesto totalmente italico permeato e influenzato da registi come Umberto Lenzi, Damiano Damiani, Sergio e Bruno Corbucci, Massimo Dallamano, Fernando Di Leo, Stelvio Massi, Mario Caiano.
Ne Il permesso non c’è pace per nessuno, non si fanno sconti, la vita è così come viene, frutto delle nostre azioni. Quattro personaggi, ognuno con il proprio vissuto, un passato che incombe più vivo che mai, hanno 48 ore di permesso, 48 ore per ritrovarsi o perdersi.
Come “cani arrabbiati”, il riferimento al film di Bava non è casuale, i quattro vanno alla ricerca delle loro prede per espiare completamente le loro colpe e per purificare la loro esistenza da ciò che li ha portati ad entrare in carcere. Grazie ad una importante messa in scena ed alla bellissima e ispirata fotografia di Maurizio Calvesi, il film prende vita e realizza e esteticamente il racconto di De Cataldo, assecondando in maniera perfetta la regia di Amendola.
Un cast ottimamente selezionato, Claudio Amendola in primis, Luca Argentero super palestrato che farà impazzire il pubblico femminile, un Giacomo Ferrara ipercattivo e una Valentina Bellè di una bellezza algida, quasi eterea, personificatori di ruoli ottimamente caratterizzati e ben sviluppati all’interno della trama. Nulla si sa di loro prima del carcere ma l’intento è voluto. Come ci ha raccontato Amendola in conferenza stampa (leggi le dichiarazioni del cast) era suo volere focalizzare e centrare l’attenzione non sul passato ma sul presente dei personaggi, su ciò che la vita gli stava riservando e come essi lo avrebbero sfruttato.
Un’opera seconda davvero interessante che ravviva e ed esplora un genere cinematografico che con difficoltà si è riusciti in tempi recenti a portare sul grande schermo (anche a causa di serie televisive di successo). Un crime movie vecchio stile che ammicca al cinema anni ’80, attinge a piene mani da quel decennio sia nel montaggio che nelle musiche e, forse, questa è l’unica pecca dell’opera seconda di Amendola, aver realizzato un prodotto complessivamente egregio ma che potrebbe risultare, ad un pubblico giovane al quale è destinato, decisamente demodè e con un linguaggio non al passo con i tempi.
Amendola, nonostante qualche eccesso visivo un po’ forzato riesce alla sua opera seconda a portare sullo schermo un prodotto oltre la media, tra melò, crime e noir, che conferma la vitalità di un genere, tipicamente italiano che, dopo il sollimiano Suburra, speravamo tanto potesse ritornare.
Grazie Claudio.
Dal 30 marzo al cinema distribuito da Eagle Pictures.
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