“La mia vita da Zucchina”: le emozioni dei bambini in un capolavoro dell’animazione.

E’ possibile parlare ai bambini di argomenti seri e drammatici senza il bisogno di edulcorarli o di renderli troppo complessi per le loro orecchie? “La mia vita da Zucchina” film d’animazione di Claude Barras ha creato una risposta a questa domanda arrivando nelle sale italiane.

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Il lungometraggio racconta la storia di Icare, o meglio, di “Zucchina”. Il protagonista vuole esser chiamato così, come faceva sua mamma. Ha nove anni, una testa gigante e rotonda, occhi tondi ed espressivi e capelli blu.
Al poliziotto che lo interroga risponde che la madre beveva parecchio, ma che cucinava molto bene. Racconta che il papà non c’è più, ma che l’ha disegnato su un lato dell’aquilone, disegnando dall’altro lato una “gallina” (la nuova compagna del padre).
Nella prima scena Zucchina viene introdotto mentre raccoglie lattine di birra vuote, gettate dalla madre sul pavimento mentre guarda la televisione. Il bambino si rifugia in soffitta, dove cerca di creare una piramide con le lattine, ma la loro rumorosa caduta fa irritare la madre che minaccia di picchiarlo, salendo le scale. L’improvvisa chiusura della botola per evitare i rimproveri materni aprirà il silenzio e il racconto della storia al poliziotto Raymond.
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Il poliziotto dovrà ora spiegare al ragazzo che è solo e che verrà accompagnato in un luogo dove troverà altri bambini come lui, senza genitori. E’ proprio la vita all’interno della casa-famiglia che permette di raccontare l’intreccio e le tragedie tra le vite dei vari bambini. I coetanei che Zucchina conoscerà hanno storie tragiche alle spalle: genitori drogati, padri pedofili e madri rimpatriate a forza. Come sostiene Simon, il ragazzo che si presenta con un aspetto punk e deciso: “Siamo tutti uguali qui, non c’è più nessuno che ci ami”. “Les fountains”, il luogo dove vengono ospitati, darà ai bambini l’occasione di crescere insieme e di accettare le diversità dei lori caratteri, condividendo le tragedie passate.

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