La ragazza senza nome: Jean-Pierre e Luc Dardenne: abbiamo rimontato e accorciato il film, l’originale non ci piaceva
30/10/2016 di Redazione
I Fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno presentato oggi a Roma il loro ultimo lungometraggio La ragazza senza nome. Rispondendo alle domande dei giornalisti, ecco quanto ci hanno riferito
Jenny, una giovane dottoressa, si sente in colpa per non avere aperto la porta del suo ambulatorio a una ragazza trovata di lì a poco senza vita. Dopo aver appreso dalla polizia che non c’è modo di identificarla, Jenny ha solo un obiettivo: scoprire l’identità della ragazza, così che possa avere un nome sulla tomba.
Quanto conta il successo per due registi come voi? Perchè avete rimontato il film togliendo 7 minuti?
Jean-Perre Dardenne: Abbiamo utilizzato lo stesso metodo meticoloso già usato nei nostri film che comporta una serei di prove con gli attori. Per quanto riguarda la scelta dopo Cannes di rimontare il film, noi stessi abbiamo sentito, ed è stata anche la sensazione di quache amico critico, che c’era un problema di equilibrio nell’opera. La crtiica è stata divisa sul film e non eravamo convinti completamente neanche noi. La nostra disposizione mentale era cambiata e ci siamo resi conto che lo squilibrio era dovuto ad un’importanza specifica, dovevamo dare un maggiore equilibrio ai due percorsi. Non abbiamo ritoccato l’ordine delle scene, ma abbiamo semplicemente accorciato alcune sequenze con una giornata di lavoro. Questo ci ha permesso di essere molto di più nei panni di Genny. Abbiamo agito in modo diverso quando abbiamo impresso alla lavorazione un ritmo troppo veloce; noi di solito tra la fine delle riprese e il montaggio ci prendiamo 15 giorni di vacanza. La nostra scelta di non fare una pausa ha fatto si che arrivassimo in sala montaggio senza la giusta distanza, arrivando con un piede ancora sul set. Noi non facciamo i film per piacere al pubblico, ma esclusivamente per il pubblico e ci teniamo che vengano visti.
Vi siete ispirati ad una figura femminile? Come mai ancora una volta è una donna la protagonista del vostro film?
Luc Dardenne: È vero che non c’è una fonte d’ispirazione, una persona reale da cui abbiamo preso spunto, ma la realtà è che non abbiamo mai immaginato la dottoressa Jenny come una figura maschile. Abbiamo pensato a una donna come nei film precedenti in cui era una donna la protagonista. La scelta di una protagonista femminile dipende dal fatto che siamo due registi che amano lavorare con le attrici. Noi pensiamo che le donne abbiano più il polso di quello che è la società, sappiano interpretarla al meglio.
La protagonista è un medico che ascolta tantissimo il corpo dei suoi pazienti e si ritrova a lavorare su un corpo di cui non sa nulla, non può avere contatti fisici con esso. Come avete lavorato con l’attrice?
Jean-Perre Dardenne: In questa ragazza senza nome noi vediamo un’immagine in bianco e nero un po’ spettrale. Quando la dottoressa si reca sul luogo in cui è stata trovata morta la ragazza, la pietra non c’è più, lei non va in obitorio a vederne il corpo. Non c’è alcuna presenza reale e fisica di questa ragazza, abbiamo lavorato sul vuoto e sul silenzio. Questo è il rapporto antitetico rispetto alla fisicità che ricerca Jenny nei suoi pazienti. Il silenzio è quello che consente anche a noi spettatori di ripensare all’immagine fugace della ragazza. Quando la vede la prima volta al commissariato sappiamo che le rimane impressa veramente nella sua mente, invadendo un suo spazio mentale. Gli stessi momenti di silenzio speriamo suscitino nello spettatore la stessa attesa di verità; è quello che spinge le persone a trovare le parole e dire quello che per grande parte del film non viene detto. È un film molto incentrato sul silenzio e il vuoto. Ella, quando mostra la foto sul cellulare agli altri impiega qualche frazione di secondo in più per spegnerlo, anche questa è una scelta precisa. Abbiamo utiizzato il silenzio allo stesso modo di cui avremmo utilizzato la musica. Stavolta abbiamo preferito il silenzio.
A livello di colpe i personaggi agiscono in modo discutibile, ma non universalmente condannabile. Cosa ne pensate?
Luc Dardenne: TI sei risposta da sola. È questo che noi cerchiamo di dire attraverso l’opera; il film è costellato di silenzi perché tramite questo la dottoressa sceglie di far condividere ai suoi interlocutori il suo senso di colpa. Questo può aiutarla a farli parlare e cercare di dare un nome a questa ragazza e farla rientrare nella grande famiglia degli esseri umani, perché senza identità non c’è traccia del passaggio umano sulla terra.
Ci sono tanti personaggi che ruotano attorno alla protagonista, molto spesso legati alla nostra società, al contemporaneo; è come se tutti fossero potenziali protagonisti di un vostro film. Ognuno cerca la propria idendità attraverso la protagonista, tutto ciò era premeditato?
Jean-Perre Dardenne: In realtà l’idea primaria non era questa, volevamo arrivare a fare in modo che gli altri personaggi condividano con la protagonista il suo senso di colpa. Una frase tratta dal romanzo I fratelli Karamazof può calzare a pennello: “siamo tutti colpevoli, ma io più degli altri”. C’è molta concretezza in questa frase: la ragazza senza nome ha suonato alla porta della dottoressa e lei non ha risposto alla chiamata. Quello che la dottoressa fa nelle domande che pone agli altri è questo. Nessun altro può rispondere al suo posto. Loro l’hanno incontrata e hanno una, seppur minima, responsabilità. jenny arriva di fatto a cambiare gli altri personaggi rendendoli da semplici personaggi, colpevoli.
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