Libere disobbedienti innammorate, recensione: arriva il film che fa tremare l’Islam

Libere Disobbedienti Innammorate è la rivelazione dell’anno. L’opera dell’sraeliana Maysaloun Hamoud racconta un mondo nuovo, una società che guarda oltre la realtà islamica, ancora fortemente integralista, e lancia la sfida al mondo arabo. Quanto ancora le donne dovranno pagare per ottenere la propria libertà?

Libere Disobbedienti Innammorate è un film importante, una perla rara, un’opera spartiacque nella cinematografia del mondo arabo non tanto per la sua storia ma per il contenuto, per il messaggio rivoluzionario che porta in seno. Un film che a suon di picconate demolisce e scardina tutti i retaggi del mondo islamico che ancora oggi permeano il mondo musulmano.
Libere disobbedienti innamorate, poster italiano, maysaloun hamoud
Se nella prima parte del ‘900 le Suffragette si batterono per la parità dei sessi, a fine anni ’90 fu Sex and the city a rivoluzionare l’universo femminile televisivo. Ora a 20 anni di distanza arriva come un fulmine a ciel sereno Maysaloun Hamoud, una regista che anticonformista è dire poco, una di quelle donne che sta segnando un epoca grazie al suo cinema social-militante che riesce a dar voce a quella parte di quell’universo femminile arabo che non può permettersi di parlare, di essere semplicemente se stesso. E poi C’è Tel-Aviv, la città più europea del mondo islamico, una enclave dove tutto è permesso, anche ciò che in altri luoghi sarebbe peccato mortale.
Droga, alcool, fumo, flirt amorosi, il semplice lavoro e la musica, sono gli elementi di quel mix esplosivo che la regista affida a Leila e Salma, portatrici di quel grido di libertà che a poco a poco sta risvegliando la società araba. Le ragazze di notte ballano e si divertono mostrando orecchini, piercing e tatuaggi. Lavorano per mantenersi e non essere mantenute, sono libere, indipendenti ed emancipate; vestono all’europea e “sfruttano”, senza essere sfruttate, l’altro sesso che, apparentemente impotente, non riesce a far altro che restare inerme rinchiudendosi negli arcaici dettami religiosi.
Noor, cugina di Jafffa, sole due ore di auto,  è invece completamente diversa. Capo perennemente coperto con l’hijab, è fidanzata con un uomo da un anno e mezzo per volere della famiglia, ed è pronta a mettere da parte i propri sogni per soddisfare i dettami del suo compagno. ma la realtà non è mai ciò che sembra.
Ma quando Noor entra a contatto con le due ragazze, essa verrà a conoscenza di una realtà parallela, demonizzata dal mondo dal quale viene ma che, a poco a poco imparerà a conoscere e ad apprezzare per quello che offre: libertà, amicizia, vita. Attraverso un percorso purificatore la ragazza non stravolgerà affatto la sua esistenza piuttosto metterà a dura prova il mondo da cui proviene, il suo fidanzato, la sua famiglia, demolendo a piccole dosi quel legame costrittivo che la legava al suo passato. Non più sicuri di averle in pugno gli uomini, i ragazzi, i genitori, tentano in ogni maniera di “violentare” le ragazze per farle tornare sui loro passi, temendo un’onta mortare per loro stessi e la propria famiglia, ma nulla è più bello della libertà e le ragazze  ben consce di ciò sono disposte a pagarla, anche a caro prezzo.
Come la musica, così assordante e a tratti dissonante, severamente vietata dal mondo arabo, così le ragazze, libere, disobbedienti ed innamorate vivono la loro vita controcorrente in un’apparente stato di ebbrezza giovanile, un furore adolescenziale che smaterializza e smolecola ogni concezione di se e degli altri; a rimanere in vita sono solo le esperienze tangibili, le relazioni amorose. Spazio alcuno è lasciato al pensiero.
Che cosa si è disposti a rinunciare per averle così come sono? Questo è uno dei temi fondamentali del film che, apparentemente senza risposta, porta lo spettatore a riflettere sul quanto ancora ci sia da imparare e su come la strada sda percorrere sia ancora lunga e faticosa.
Un cast di livello con le tre protagoniste Sana Jammelieh (Salma), Shaden Kanboura (Noor) e Mouna Hawa (Laila) che in maniera esemplare simboleggiano i volti, le sensazioni, le emozioni di una intera generazione. In simbiosi tra di loro il trio riesce in quello che il cinema poche volte è riuscito a realizzare: trasmettere, attraverso la finzione cinematografica, la vera realtà delle cose.
Un’opera lungimirante che si inserisce in maniera netta ed efficace all’interno di quel filone di denuncia post primavera araba che aveva avuto i suoi prodromi nelle opere di Asgar Farhadi e Jafar Panahi e che, a poco a poco, sta mutando forme e contenuti rivolgendosi ad un pubblico più giovane, più colto e progressista. Con opere quali Much Loved, Le ciel attendrà e Libere Disobbedienti Innamorate la concezione del cinema e del mondo arabo sono cambiati, per sempre.
 

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