Miss Peregrine: Il nostro incontro con Tim Burton (Intervista)
07/12/2016 di Thomas Cardinali

Abbiamo incontrato il regista Tim Burton a Roma per presentare il suo nuovo film “Miss Peregrine – La Casa dei Ragazzi Speciali”, ecco cosa ci ha raccontato anche sul suo cinema e la sua poetica.
Tim Burton: “Innanzitutto il titolo, già Bambini speciali mi ricordava la mia infanzia. Poi il modo in cui lui ha cucinato e messo insieme gli ingredienti della storia partendo dalle vecchie foto. La vecchia foto ti racconta una storia, ma non tutta lascia una parte di poesia. Mi è piaciuto questo”.
Pensando alla diversità come la mostra questo suo film, una cosa da difendere con orgoglio, non posso non pensare a lei bambino come un ragazzo speciale. Anche lei ha avuto una casa di ragazzi speciali? Una Miss Peregrine o un nonno che l’ha avviata ad essere speciale?
Tim Burton: “Si è vero, io sono cresciuto in una cultura che ama dividere le persone per categorie. Mia nonna appoggiava la mia peculiarità e ho avuto un solo insegnante d’arte in vita mia e lui mi incoraggiava ad essere speciale, ad essere me stesso ed è una rarità. Bastano un paio di persone che riescono a vedere le tue particolarità”.
In che modo ha lavorato all’adattamento del romanzo e che in modo ha infuso il suo mondo e le varie citazioni?
Tim Burton: “Innanzitutto io non avevo sentito parlare del libro, ma già dal titolo mi ha colpito. Io avevo realizzato un mio libro sui bambini speciali, seppur diverso. Ho sentito immediatamente un legame e una connessione. Il protagonista Jake, il suo sentirsi strano e fuori posto è una cosa con la quale mi sono identificato immediatamente”.
Miss Peregrine è entrato a far parte di quei pochi film insieme ad Edwood e Sweeney todd nei film senza le musiche di Danny Elfman, come mai ha scelto Mike Higham?
Tim Burton: “Nel film di Ed Wood era impegnato, a volte succede. Ma a volte potremmo anche aver litigato. Noi siamo come le coppie, a volte litigano. Torneremo a lavorare insieme, aveva bisogno di prendersi una pausa da me”.
Cosa preferisce tra la stop motion e la CGI e quando decide cosa usare?
Tim Burton: “Diciamo che io adoro lo stop motion perché ha la caratteristica dell’essere tattile, è un qualcosa che puoi toccare e sentire. I pupazzi sono delle vere opere d’arte, ma anche i computer sono speciali e puoi fare cose sorprendenti. La lotta tra le due bambole nel film ad esempio è realizzata con la stop motion, ma dipende dal tempo che hai a disposizione quale utilizzare perché ne richiede molto e dal budget”.
Come mai lei ha puntato ad un finale auto conclusivo e diverso rispetto al libro? Lei non vuole cimentarsi in una saga?
Tim Burton: “Diciamo che a volte ci sono delle cose che finiscono con una promessa magari di una qualche nuova avventura futura ed è l’idea di Miss Peregrine che guarda i bambini che si allontanano. Questo è stato il modo migliore di concludere, le foto che ti dicono qualcosa ma senza dire tutto lasciando così la capacità d’immaginare. Le immagini in movimento dovevano essere usate per catturare lo spirito, un qualcosa di non definitivo. Non sai bene cos’è, ma è stata sicuramente una scelta più emozionale”.
Come mai questa differenza d’età tra la protagonista del libro e del film? La scelta è andata subito verso Eva Green?
Tim Burton: “Innanzitutto io ho utilizzato il libro come fonte d’ispirazione. Voi forse no, ma io se potessi scegliere vorrei una direttrice come lei ed è stata una scelta immediata. Ha tutte le caratteristiche perfette per il ruolo, è una donna forte. Eva Green, con cui peraltro avevo già lavorato in passato, è come una star del cinema muto e le basta uno sguardo per comunicare. Nei primi anni di scuola avevo un’insegnante bellissima e tutti la ascoltavano (risate ndr)”.
Lei è sempre stato definito un visionario e con il suo stile ha cambiato il cinema, c’è qualcuno visionario come lo è stato lei nel cinema contemporaneo?
Tim Burton: “In realtà come non credo potrei vedere qualcuno come me, mi farebbe uscire di testa perché non so neanche come sono io. Nel cinema di oggi ci sono persone visionarie. Ci sono persone di questo tipo perché le cose sono cambiate nel corso del tempo e ci sono migliaia di modi diversi di fare cinema e sicuramente ci sono persone visionarie”.
Eva Green dice nel film che le piace parlare del futuro ma vivere nel buon vecchio presente, è davvero così?
Tim Burton: “In realtà sì, c’è un discorso per queste persone che si sentono particolari. Quello che dice Eva nel film è cercare di vivere nel presente quanto più possibile ed è estremamente difficile per tutti noi che guardiamo solo al futuro e al passato. Godere il presente è la cosa più difficile in assoluto. I miei film sono abbastanza di base con i fondamentali, uso gli effetti speciali come uno strumento d’aiuto per ottenere un determinato risultato. Cerco di tenere il film radicato a terra”.
Lei ha lavorato a Batman e poi a Superman con Nicolas Cage (risate ndr) che non ho potuto vedere, c’è qualcosa dei super eroi in questi bambini?
Tim Burton: “È interessante perché quando è uscito ‘Batman’ sembrava un nuovo territorio, ora esce un film a settimana sui supereroi. Quello che mi è piaciuto è che hanno sì i poteri, ma sono ragazzini. Loro si sentono strani, ma alle radici sono bravi bambini con le loro emozioni e si comportano come tutti”.
Ha pensato ad una particolare fascia di pubblico a cui destinare al suo film?
Tim Burton: “Questa domanda me l’hanno fatta molte volte negli anni. Io ho chiesto all’autore per chi avesse scritto il libro e mi ha risposto che era piaciuto ai bambini, agli adulti, ma che l’aveva scritto per sé stesso. Io non realizzo i film per il pubblico, ma per me. Le mie storie sono adatte e piacciono ad un certo tipo di pubblico, ad esempio mi hanno detto che Sweeney Todd era amato da ragazzine di 10 anni che neanche avrebbero dovuto vederlo. Lo stesso per quello con il cagnolino (Frankweenie ndr) non era solo per gli animalisti, io scrivo film per tutti”.
Beetlejuice2 lo vedremo in sala? Domanda dettata anche dai suoi calzini. Può darci ulteriori notizie anche su Dumbo?
Tim Burton: “Ho elaborato la prima regola che non parlo dei progetti futuri finché non si sono concretizzati, perché in passato mi hanno cancellato due film proprio alla fine. Quando sarò sul set del prossimo film vi dirò cosa sto facendo. Beetlejuiceè un bel personaggio e un film insolito, di cui ancora non mi capacito come abbia fatto ad avere successo. Non so dove andremo e non pianifico. Il miglior film che non ho mai fatto è Superman e lo avreste adorato (risate)”.
Chi ama la sua arte in questo film trova tutti gli elementi visivi della poetica burtoniana. Lei non si pone come regista, ma come spettatore contemplativo nella sua arte. Poi volevo chiederle se l’avevo immaginata in un cameo o era proprio lei?
Tim Burton: “Quello che è successo in realtà è che avevamo finito le riprese e non avevamo più soldi per girare alcune scene. Quindi io e qualche altro amico siamo saliti di nascosto sull’ottovolante, ma avrei preferito non farlo se avessi trovato qualcun altro perché detesto vedermi sullo schermo”.
In un mondo dove comanda il digitale.0 le favole di carta che ci leggevano i nonni che fine fanno?
Tim Burton: “In realtà non lo so, ma è esattamente questo il tipo di storia, di favola che mi continuano ad interessare da sempre. È questo il motivo per cui la storia mi ha attratto, perché conserva quella parte di poesia e sorpresa che continuerò a cercare di raccontare”.
Come vede i ragazzi di oggi. I bambini oggi sono immersi dai videogiochi già dalla mia generazione, per lei è molto più difficile o più semplice tirare fuori questi doni?
Tim Burton: “È strano, sono assolutamente d’accordo. Credo che oggi sia ancora più difficile e chiunque può dire qualsiasi cosa. Chiunque può dire che qualcuno è strano e c’è questo bullismo senza nome e senza faccia. Mi disturba tantissimo, oggi vai ad un concerto ti godi la musica e poi stanno tutti con il telefonino. Uno non si gode quello che sta facendo, lo vive mutuato attraverso un dispositivo. I ragazzini giudicano il valore di se stessi attraverso il numero dei like, questo è triste e molto allarmante”.
In “Big Eyes” gli occhi avevano un valore molto particolare e anche qui sono fonte di grande sofferenza e disagio. Quanto le interessa questo aspetto?
Tim Burton: “Diciamo che gli occhi e i bulbi oculari sono anche una fonte di nutrimenti per i vacui. Sì, in effetti, è vero. In realtà era una cosa di cui non mi ero reso conto anche con “Nightmare Before Christmas”, che non si potesse avere un protagonista senza occhi. Per me è importante avere attori come quelli del cinema muto in grado di proiettare verso gli altri con la sola presenza e lo sguardo. Eva ha questa capacità, il cinema è un mezzo estremamente visivo e gli occhi sono importanti”.
Ha preso spunto da qualche artista del secolo scorso per gli occhi e come è cambiata nel tempo la rappresentazione degli occhi nelle sue opere. Come mai alcuni personaggi restano in superficie?
Tim Burton: “Io non credo sia cambiato molto. Questo è quello che io osservo e noto. Le foto non raccontano tutto anche in questo libro, così come al cinema”.
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