Mister Universo, recensione: quando il circo incontra Fellini e “Il Padrino”

Mister Universo è una piccola gemma, racconto prezioso che ci porta alla scoperta di una realtà a noi lontana ma allo stesso tempo molto vicina. Dopo Babooska, Shine of Day e Non è ancora domani – La pivellina, Tizza Covi e Rainer Frimmel tornano a raccontare l’universo circense mescolando la realtà tipica del Neorealismo con l’immaginario felliniano e una visione della realtà familiare simile a quella de Il Padrino coppoliano.

Tizza Covi & Rainer Frimmel realizzano un ritratto intimo ma allo stesso tempo distaccato di una realtà avulsa ed estranea ad ogni tipo di contatto con il mondo esterno. Nella realtà circense non vi è alcun rapporto con la tecnologia, nè tanto meno con ciò che offre il mondo esterno. Le famiglie del circo vivono in clan, apparentemente isolate in roulotte, sempre dedite al proprio lavoro, alla cura dei propri animali. Come le tribù nomadi non hanno fissa dimora; chiuse in se stesse, si rapportano quasi esclusivamente tra di loro tramandando il proprio lavoro di generazione in generazione.
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Da una di queste famiglie proviene il protagonista dei film, quel Tairo Caroli che già avevamo visto, ancora tredicenne, nel precedente film della coppia distrobuito in Italia, Non è ancora domani – La pivellina; un ragazzo semplice e pieno di vita che, con tutta la sua naturalezza, si rende protagonista di un racconto sociale altro se non uno spacccato della sua quotidianeità.
La cinepresa a 16mm di Covi&Frimmel esplora con discrezione, entra di soppiatto nella vita di Tairo e dell’altra protagonista, ago della bilancia del film, la contorsionista Wendy Weber e ne analizza i lati più intimi, le loro paure, le loro ossessione e, come una cartina tornasole mostra una visione del mondo bucolica al limite del surreale.
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Senza chiedere nulla agli attori, che improvvisano sulla scena sulla base di un canovaccio non scritto, i registi riprendono una realtà così distante dal mondo moderno che quasi non sembra possibile che essa possa sopravvivere alla velocità con cui evolve la società, una piccola enclave chiusa, un mondo surreale e onirico così come lo descriveva Federico Fellini nel suo film I Clowns.
Passando da una roulotte all’altra, infilandosi in un tendone, la cinepresa scruta, fa sue situazioni ed emozioni, ma non giudica, lascia allo spettatore un’immesione totale e formativa alla scoperta di un mondo nuovo, di umanità così forti che difficlmente si riuscirebbero a trovare in attori professionisti. Un universo parallelo fatto di cose semplici, sguardi, superstizione, in bilico tra realtà e magia, come lo è proprio l’amuleto, un ferro di cavallo piegato a mo’ di calamita, che il domatore Tairo perde un bel giorno e che, secondo lui è la protezione costante contro i suoi mali, le sue sfortune.
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Partendo da questo pretesto, il protagonista parte alla ricerca, percorso che poi si rivelerà viaggio esistenziale e formativo, di Arthur Robin, quel Mister Universo che in uno dei suoi innumerevoli spettacoli di forza, aveva anni addietro, piegato il ferro regalandoglielo. Alla ricerca di Robin, Tairo riscoprirà se stesso, i suoi legami familiari e riuscirà a superare le difficoltà che offre questa realtà sociale.
Come nella celeberrima “salita in discesa”tra Ariccia e Rocca di Papa, dove una strada che sembra in discesa è in realtà in salita, l’opera di Covi&Frimmel, va controcorrente, avulsa a qualsiasi tipo di tecnicismo e imposizione cinematografica; libera da ogni orpello e superfetazione la telecamera del duo impressiona e rende immortale ciò che è l’essenza del cinema.
Perchè, come diceva Don Vito Corleone (Marlon Brando) ne Il Padrino, “un uomo che sta troppo poco con la famiglia non sarà mai un vero uomo.”
Mister Universo, dal 9 marzo al cinema grazie a Tycoon Distribution.
 
 

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