Il permesso – 48 ore fuori: Claudio Amendola, Luca Argentero e il cast presentano il film

Il permesso – 48 ore fuori è la nuova fatica cinematografica del regista Claudio Amendola. Dopo La Mossa del pinguino, il regista romano ha deciso di voltare pagina realizzando un noir crime, come quelli da luio interpretati verso la fine degli anni ’80 che lo resero popolare al grande pubblico.

Poliziotti, La Scorta, Ultrà, Mary per sempre, Soldati  – 365 all’alba, I giorni del Commissario Ambrosio, sono film ai più sconosciuti, soprattutto al giovane pubblico che ricorda il buon Claudio come padre di famiglia nella serie tv Cesaroni. Ma nel background culturale e, soprattutto cinematografico del regista romano (e romanista) Amendola c’è tanto di quell’action e crime da scorrergli nel sangue che prima o poi l’avrebbe portato a dirigere un film di questo genere.
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Sin da piccolo abituato al padre, l’indimenticabile Ferruccio Amendola, doppiatore di star Hollywoodiane action come Robert De Niro, Al pacino e Sylvester Stallone, il regista ha da sempre vissuto nell’action, nel noir e nel crime fino ad interpretarlo, intorno alla metà degli anni ’80, in pellicole di indiscusso successo che lo resero popolarissimo tra i giovani e lo sdoganarono da volto pop della commedia all’italiana.
Proprio su queste fondamenta il regista ha deciso di buttarsi a capofitto e trasporre sullo schermo un racconto di Giancarlo De Cataldo già autore apprezzatissimo dal cinema dopo i succcessi di Romanzo criminale e Suburra. Ecco quindi la sua seconda fatica cinematografica con Il permesso – 48 ore fuori.
Alla presentaziona alla stampa romana, Claudio Amendola, assieme ai due attori principali Luca Argentero e Giacomo Ferrara, ed allo scrittore Giancarlo De Cataldo e il produttore Claudio Bonivento ha risposto alle domande dei giornalisti, ecco cosa ci hanno raccontato:
Hai esordito alla regia con La mossa del pinguino, quella era una commedia sui-generis, questo un film di genere con qualcosa in più. Perché questa scelta e cosa hai trovato nel tuo personaggio tanto da volerlo interpretare, a differenza de La mossa del pinguino dove avevi curato solo la regia ?
Claudio Amendola: è stato tutto molto facile perchè Claudio Bonivento (il produttore del film ndr.) un anno e mezzo fa è venuto a casa e mi ha portato una sceneggiatura che ho letto tutta d’un fiato, che mi ha entusiasmato, che raccontava quattro personaggi, secondo me molto interessanti, sui quali lavorare molto, e una struttura narrativa con un linguaggio molto bello, con questo intreccio di storie e poi, soprattutto perchè, ho riconosciuto nel film quel genere di cinema che mi ha fatto diventare un attore, quel genere che Claudio (Bonivento ndr.) mi ha fatto fare per tantissimi anni. Lui è stato il primo ad offrirmi un ruolo diverso dalla commedia con Soldati – 365 giorni all’alba, era il 1986 e da lì a cascata Mary per sempre, Ultrà, La scorta, Un’altra vita, i film della Labate; queste sono le opere che mi hanno un po’ creato come attore, ma soprattutto è il genere di film con i quali sono cresciuto, da spettatore ma anche da figlio di mio padre (Ferruccio Amendola, ndr.), io tutta quella cinematografia, grazie a lui, l’ho potuta vedere in anteprima in sala di doppiaggio, e quindi poi al cinema io ci sono cresciuto con Scorsese e Michael Cimino. Quando ho letto la sceneggiatura ho detto: “questa è roba mia” e, a differenza de La mossa del pinguino, che mi aveva entusiasmato per la delicatezza della sceneggiatura e perchè c’èera una storia che mi piaceva raccontare con dei temi come lo sport e l’amicizia ai quali sono molto legato, in questo secondo film ho letto e ritrovato proprio ciò che io oso definire “roba mia”, roba che conosco, e quindi mi sono trovato molto a mio agio.
Le opere di Giancarlo de Cataldo sono state già ampiamente valorizzate dal cinema con Romanzo Criminale prima e Suburra poi, qua cosa è cambiato nel soggetto e poi con Roberto Iannone in fase di sceneggiatura. Che differenze ci sono?
Giancarlo De Cataldo: intanto non chiederti quello che fai tu per il cinema ma quello che il cinema può fare per te. In questo caso c’è stato un incontro molto fortunato con Claudio Bonivento prima, poi con lo sceneggiatore Roberto Iannone e poi con Claudio (Amendola ndr.) che è entrato con grandissima delicatezza ma anche con grande autorevolezza in uno schema già costruito e con lui ci siamo integrati a perfezione. Io ho scritto un soggetto; il soggetto era la storia di quattro persone, esseri umani che escono da un carcere ed hanno un certo periodo di tempo per riprendere, riacchiappare per i capelli la vita o per perdersi, perchè siamo di fronte ad una storia in cui sono presenti sia il riscatto che la perdizione in egual misura. Abbiamo sviluppato questa storia a cui Claudio Bonivento ha lavorato per molti anni tenacemente affinchè riuscisse a produrla e portarla sul grande schermo. Con Roberto (Iannone ndr.) poi abbiamo scritto il film, un film che è molto nelle mie corde, in quelle di Roberto; io e lui ci conosciamo dai tempi di “La squadra”, quando scrivevamo assieme gli episodi della serie televisiva e poi andavamo assieme alle riunioni periodiche della produzione guardandoci negli occhi e dicendo: “andiamo a questa mesta cerimonia”. Poi, finita la fase della scrittura il film, questa è una mia personale opinione, della quale sono convintissimo, e per la quale mi batterò sempre, il film diventa del regista, degli attori, del direttore della fotografia, del musicista, del montatore etc. etc.. Il film si stacca da chi lo scrive e diventa un’altra cosa. Se quella cosa, come in questo caso, funziona e ti emoziona, allora è anche tua.
Roberto Iannone: posso solamente aggiungere una cosa, il soggetto di Giancarlo quando lo ho letto mi ha appassionato molto ed ho notato che erano semplicemente quattro storie d’amore. Sotto la violenza di certi momenti, anche molto aspri, molto duri, poi alla fine i protagonisti sono quattro persone che amano, o che scoprono l’amore. Claudio Amendola nel film ama suo figlio e per quello agisce; i due ragazzi sdi innamorano e in quello c’è una specie di riscatto; Luca Argentero agisce per amore di sua moglie diciamo; è un modo violento, distorto di esprimere quei sentimenti, ma è un modo profondamente autentico, profondamente vero di quattro persone che la vita ha toccato con estrema severità.
Claudio, visto che è la prima volta che si autodirige, quanto è stato severo con se stesso in sede di regia?
Claudio Amendola: non è stato facile. Io temevo il confronto tra l’attore e il regista; mi domandavo sempre se avessi avuto la serenità per giudicarmi e l’obbiettività per riconoscere sbagli, lacune, difficoltà. Ho avuto una grande fortuna e la devo a tre persone che sono: Maurizio Calvesi (il direttore della fotografia ndr.) che finito di fare la luce si metteva al monitor e mi controllava; Simone Spada, l’aiuto regista del film che è stato prezioso come nessuno, e poi, nei giorni in cui giravo da attore, veniva Francesca (Neri ndr.) mia moglie sul set, ed era lei la vera mentore ed anche la più severa, ma forse anche la più utile. Quindi si, devo dire che mi sono molto fidato delle persone che stavano con me e soprattutto mi hanno dato la possibilità di non pensare a fare il regista, una volta impostata la scena, ma di pensare solamente ad interpretare il personaggio mentre al resto ci pensavano egregiamente loro.

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