Quando un padre: la recensione, Gerard Butler da spietato manager a tenero Padre
08/06/2017 di Redazione
Quando un padre, è il nuovo film con protagonista Gerard Butler che da spietato manager si trasforma in tenero Padre per fronteggiare la malattia del figlio.
Quando un padre, il titolo originale recita A family man, un semplice uomo di famiglia. In realtà il nuovo film, porta l’attore sempre attento alle sue produzioni, da drammatici action movies a tenere storie familiari con successo.
In questo caso Gerard Butler si muove bene nel ruolo di uno spietato manager che procura lavoro ai disoccupati, un cacciatore di teste che procura dietro ricca commissione, il miglior candidato possibile alle aziende. Un’aspetto forse inedito per il nostro paese, dove in realtà si trova lavoro solo con il passaparola o la famosa “raccomandazione”, ma che rende il film molto interessante nella sua prima parte dove nei panni del capo di Gerard troviamo Willem Dafoe, che spinge ai limite i suoi dipendenti in una retorica che potrebbe indicare un nuovo genere di pellicole dedicate all’era Trump.
In realtà il duro lavoro di Gerard che mantiene una famiglia di 3 bimbi e moglie casalinga in una bella casa, sacrificando gli affetti per guadagnare il più possibile verrà interrotto dalla brusca scoperta di un tumore del figlio più grande, che ha appena 10 anni.
Il film diretto dal debuttante Mark Williams (a riprova che ad Hollywood non si fanno problemi ad offrire grosse produzioni a giovani registi), il film segue i classici clichè come dichiarato dallo stesso Mark: “Semplice, elegante, classico. Un film come si facevano una volta. Un dramma familiare che si scontra con dilemmi esistenziali di ogni essere umano. L’obiettivo è sempre stato quello di rispettare i personaggi e il mondo in cui vivono.”
L’obiettivo del film è pienamente centrato e Gerard Butler, ormai attore più maturo riesce a trasmettere i sentimenti agli spettatori, grazie anche un Willem Dafoe perfettamente in parte nel ruolo del rude capo privo di affetti familiari che si gode splendide modelle con i suoi soldi, ma che forse in cuor suo invidia gli affetti familiari del suo dipendente.
Semplice nella sua storia, Quando un padre girato attraverso i palazzi di Chicago antichi di 150 anni, cosa che potrà far sorridere noi figli dell’Impero Romano e del Rinascimento, ma che in sostanza centra il suo obiettivo di onesta pellicola dove non si fa mancare nulla al sentimento e al desiderio di una famiglia. Un tema portante nella cinematografia americana di cui Spielberg è sempre stato il più grande portabandiera di determinati valori legati alla famiglia.
In conclusione Quando un padre si lascia guardare, richiede fazzoletti ai più sensibili, ma piacerà anche ai più smaliziati che troveranno alcune trovate originali all’interno di una sceneggiatura molto ben scritta, cui va il merito di riuscire ad evitare i troppi déjà vù delle pellicole del genere. Nota di merito al giovane bimbo debuttante Max Jenkins, segnatevi il suo nome perché quando arriverà a maggiore età lo troveremo sicuramente tra i nuovi volti di Hollywood.
Scena dell’anno però va ad Alfred Molina in un ruolo marginale, dove interpreta un 59 enne che ha perso il lavoro nonostante la sua grande esperienza e lo ritrova grazie all’aiuto del suo cacciatore di teste a cui restituirà il favore. La scena del suo momento di gioia quando ha ritrovato il lavoro, siatene certi, verrà utilizzata a breve dallo staff di Trump, se riuscirà nella sua ardua impresa di ridare il lavoro a tutti gli americani che lo hanno perso. Per parte nostra vorremmo tante che nelle agenzie interinali fossero tutti come il protagonista del film, sparirebbe la disoccupazione nel nostro paese in meno di sei mesi, ma lo sappiamo bene stiamo solo parlando di un film !
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