Roots – Radici: Levar Burton e Malachi Kirby presentano la serie (Intervista e Commento Pilot)

Levar Burton e Malachi Kirby, i Kunta Kimte di ieri e di oggi hanno presentato a Roma in anteprima per l’Italia la nuova mini serie evento “Roots – Radici”, remake della serie del 1977. Abbiamo assistito in anteprima al primo episodio e partecipato all’incontro stampa, ecco il nostro resoconto.

Il primo episodio della nuova serie di “Radici-Roots” presentato in anteprima italiana al Roma Fiction Fest (leggi la nostra intervista esclusiva ad Annabel Scholey) è un ritorno per Levar Burton, storico Kunta Kinte a soli 19 anni alla serie che lo fece conoscere in tutto il mondo, questa volta nel ruolo di produttore esecutivo , in una miniserie di 4 puntate che vedremo dal 16 dicembre sul canale “History Channel” della piattaforma Sky.

I mezzi moderni hanno reso possibile una maggiore accuratezza nella ricostruzione storica e anche un taglio molto adulto da parte della serie, che non risparmia scene terribili e linguaggio dell’epoca, immergendo gli spettatori del 21esimo secolo nella tragica storia della tratta degli schiavi, che continua in forme diverse, a causa delle migrazioni, sul nostro piccolo pianeta. La serie di altissima qualità è diretta da un navigato professionista come Phillip Noyce,  vanta un cast di primo ordine e mantiene intatto l’impatto che ebbe la prima serie tratta dal best seller letterario di Alex Haley. Leggi il nostro incontro con i due protagonisti

Nel 1977 questa serie è diventata un fenomeno di costume, secondo voi perché questo successo planetario?

Levar Burton: “Credo prima di tutto perché i temi di “Radici” sono universali. A prescindere da quale paese provieni l’idea della libertà, della giustizia e della coesione familiare sono elementi importanti se sei un essere umano”.

Stiamo per concludere la presidenza Obama, ma le questioni razziali sono sempre più forti. Come mai il primo presidente afroamericano non è riuscito a smorzarle? Che reazioni ha avuto in America?

Levar Burton: “Abbiamo realizzato questa nuova serie in maniera tale che le nuove generazioni potessero venire a conoscenza di questa storia. Gli spettatori di Radici non rientravano nelle nostre aspettative, considerato il nuovo universo in cui ci troviamo a vivere e le scelte per gli spettatori non sarebbe mai stato possibile raggiungere le statistiche di 40 anni fa. Sono felice che abbiamo avuto successo presentando questa storia americana alle nuove generazioni e in tutto il mondo con 220 paesi che hanno acquistato la serie. Obama non è riuscito ad avere più successo perché è l’America”.
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La difficoltà di realizzare la serie con un altissimo realismo e un suo ricordo di quando ha debuttato? Per il giovane attore se hai visto la vecchia serie e il pensiero sugli antenati?

Malachi Kirby: “Ho visto l’originale e dall’inizio ho deciso di fare delle cose diverse, quello che hanno fatto Levar e gli altri mi ha colpito ma ho deciso di non voler ricreare la stessa cosa. Ho deciso di crearmi la mia strada, il mio percorso, scoprendo cosa provasse questo personaggio. Per quello che riguarda i miei antenati la mia famiglia è di origine Giamaicana e ho scoperto che il 75% del mio DNA viene dall’Africa occidentale. Purtroppo non so bene da quale parte dell’Africa, ma questo dimostra che questa storia l’abbiamo in comune con queste persone di cui non si riesce a scoprire il passato andato perduto per via della schiavitù. Io non ho un nome africano, ma il 75% viene da lì e questa era la mia storia. Pochissimo di quello che hof atto è recitato, l’ho vissuto. Siamo stati in Africa e nelle piantagioni americane. Questo è un pezzo di cultura che abbiamo dentro, ha tirato fuori una reazione in risposta a quello che succedeva”.

Levar Burton: “Nel rivedere questa storia c’era un’opportunità. La possibilità era quella di sfruttare le borse di studio che non erano disponibili quando sono state fatte le ricerche per la prima serie. Nella serie originale il villagio di Kunta Kinte era un piccolissimo villaggio, ora sappiamo che Juffree era un importantissimo centro di scambio commerciale. La famiglia di Kunta era una tribù guerriera, ma oggi sappiamo che erano guerrieri che utilizzavano i cavalli. Questa serie è molto più accurata e dettagliata dal punto di vista storico”.

Quelli di Roots sono temi universali, ma anche attuali con altre forme di schiavitù con mura e recinzioni. Avete pensato anche a questo? Ha dato qualche consiglio al nuovo Kunta Kimte?

Levar Burton: “L’unico consiglio che gli ho dato era di fare suo questo personaggio e però la cosa bella è stata di avere l’opportunità di stare lì vicino a lui con il personaggio che ho creato 40 anni fa. Ero lì al suo fianco nelle scene più difficili da vivere, volevo sostenerlo da un punto di vista spirituale”.

Malachi Kirby : “Io ho accettato il consiglio”.

Levar Burton: “Quanto alla prima domanda è vero sono d’accordo, in realtà la schiavitù non è stata sradicata da questo pianeta. In un certo senso possiamo dire che siamo riusciti a raccontare questa storia perché la condizione delle nuove forme di schiavitù era ben presente nella nostra mente. Questa non era altro che una migrazione forzata verso l’America. Quando le grandi masse di popolazione si spostano e si insediano l’umanità ha una reazione che ti porta ad avere paura dell’altro. Questa storia per colpirti non è necessario essere americano, è una storia universale ed è confermato non soltanto dalla popolarità della prima mini serie ma anche dal fatto che la nuova serie è stata venduta in moltissimi paesi”.
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Quali sono stati i momenti più difficili, anche perché si è confrontato con un modello importante? Levar cosa ti passava nella testa quando ha 19 anni sei finito su tutti i giornali?

Levar Burton: “Ero un ragazzino e mi sembrava una cosa strafiga. Ho imparato rapidamente che la fama e il successo sono un’arma a doppio taglio, anche se non vorrei mai trovarmi nei panni di Malachi Kirby perché oggi con tutti i social media che ci sono non si possono compiere errori in privato. Non conosco nessun 19enne che non commetta errori, io ne ho commessi 5 da stamattina e l’idea che possano essere diffusi immediatamente attraverso internet non è gradevole”.

Malachi Kirby: “Sin dall’inizio, da quando sono stato coinvolto ho provato un grandissimo senso di inadeguatezza, non ritenevo di essere all’altezza del ruolo Non pensavo di essere in grado di raccontarlo, ma mentre facevo le prove gli altri mi sembravano i veri protagonisti e io non mi sentivo all’altezza. A un certo punto mi sono messo in preghiera, io ho capito che dovevo essere semplicemente il mezzo di espressione per raccontare le sue esperienze e i suoi sentimenti. Ovviamente le riprese sono state una sfida continua. C’è stata la scena della nave e quella delle frustate, sono state le più difficili”.

In America c’è stata molta polemica per gli Oscar con nessun attore di colore, quest’anno ci potrebbe essere una rivincita? La vittoria di Trump potrebbe essere un blocco? Avete ispirazione per i Golden Globe?

Levar Burton: “Per quanto ne so Trump non è un membro dell’Academy. Anche se dovesse diventare un membro lui vale come un solo voto. Comunque sono incoraggiato dalla situazione quest’anno, questo sta a identificare una varietà di progetti sia davanti che dietro la macchina da presa per protagonisti di colore. Questo è indicativo anche dall’importanza della diversità delle storie a livello di narrazione. Ci sono storie che vengono raccontate da punti di vista differenti e questo atteggiamento sta prendendo forma ad Hollywood. Raccontiamo storie che entrano a far parte del sistema”.
Lei è stato anche in un’altra serie famosa e se dovremo aspettare il XXIII secolo per vedere l’abolizione della schiavitù su questo pianeta?
Levar Burton: “Mi piace pensare che ci riusciremo prima”.

In serata abbiamo potuto anche intervistare Levar Burton e Malachi Kirby sul red carpet in esclusiva:

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