The Punisher, una serie TV Netflix quasi perfetta
21/11/2017 di Redazione

Ho finito due giorni fa di vedere “The Punisher” e dopo essermi concentrato sul personaggio principale, ecco la mia recensione della stagione.
The Punisher riparte da Daredevil 2
Seppur con un lievo stacco temporale, The Punisher riparte da dove più o meno eravamo rimasti dopo Daredevil 2, questo per dare modo a chi aveva visto la serie TV del diavolo di Hell’s Kitchen di ricollegarla e a chi non l’aveva fatto, di capire il punto di partenza della nuova serie Marvel/Netflix.
Ciò che colpisce in questa prima parte di “The Punisher” è la volontà degli sceneggiatori di dare subito un impronta certa sia all’ambientazione che al personaggio. Il mondo nel quale interagisce Frank Castle (Jon Bernthal) è a metà fra la sua personale guerra a coloro che hanno distrutto la sua felicità trasformandolo in “The Punisher” e il mondo dei reduci di guerra, una dimensione alla quale Frank appartiene in modo molto forte.
The Punisher vive il suo sviluppo, mettendo a nudo i contrasti e le contraddizioni di un mondo entro cui i confini di bene e male sono così flebili da essere quasi inesistenti. Per questo motivo il bene alla fine è qualcosa di estremamente interiore e personale, perché solo quello che per il protagonista è il lato positivo, diventa l’unico aspetto davvero chiaro di separazione fra ciò che è bianco da ciò che è nero.
Daredevil e gli altri eroi di Hell’s Kitchen o di Harlem non vengono mai nominati, questo microcosmo è qualcosa che sembra lontano mille miglia dai poteri di Luke Cage o Jessica Jones, dalle capacità di Daredevil e dal pugno di Iron fist. Credo che la produzione non abbia volutamente creato connessioni con quel mondo proprio perché il Frank Castle di questa stagione di The Punisher è lontano da ciò che The Defenders rappresentano.
Karen Page, l’unica connessione fra The Punisher e Daredevil.
Karen Page (Deborah Ann Woll) è il personaggio che in qualche modo lega i mondi seriali Netflix/Marvel con The Punisher. Ma non è esattamente così. La Karen che vediamo in questa serie, è già un personaggio diverso. Una donna pronta a difendere con coraggio le proprie idee, pronta a dare battaglia e anche morire per le cose in cui crede.

Sembrano lontani i tempi in cui, tremante e con una lama insanguinata nelle mani, l’abbiamo incontrata in Daredevil 1. In The Punisher vediamo venir fuori un lato quasi nascosto del mondo di Karen, entriamo nella sua casa che è essa stessa una metafora di chi è la bellissima giornalista del Bullettin. Frank Castle sente e vede oltre le apparenze, capisce che solo chi vive un lato oscuro così opprimente come lui, è capace di sentire il grido del suo animo devastato.
Karen sente tutto ciò proprio perché anche lei è un anima sola. Vedere Frank Castle e sapere che lui c’è per lei sempre è un qualcosa che la fa sentire meno sola. Se andate a vedere l’episodio di the Punisher in cui entrano in casa sua, vi accorgerete che alla dignitosa, ma modesta eleganza della casa fa da contrasto il soffitto rovinato, i tubi scoperti, un segno inequivocabile di quello che è Karen: un contenitore stupendo, ma che nasconde al suo interno un abisso oscuro.
Dinah Madani la donna forte ma ingenua.
Quando per Frank Castle, la vendetta sembra compiuta, quando anche l’ultima sanguinosa sparatoria ha eliminato parte della feccia che infesta i bassifondi di New York, ecco che la storia di “The Punisher” ricomincia e lo fa utilizzando, fra gli altri, un altro personaggio molto bello e interessante: l’agente della Homeland Dinah Madani (Amber Rose Revah).
Il ruolo di questo personaggio è veramente importante perché fa da chiaro spartiacque fra il giusto e lo sbagliato del governo USA. Lei è l’ago della bilancia necessario, nella sceneggiatura, fra la volontà di vendetta cieca di Castle e la ricerca, a volte senza speranza, di un minimo di giustizia e legalità.
Di chiare origini Iraniane, la Madani è una reduce dalle zone calde del mondo e malgrado il richiamo nella sezione di New York, non ha rinunciato a scoprire la verità sulla morte di un civile Afgano. Ricomponendo i pezzi arriva a capire che Frank Castle è parte integrante di una squadra di Marines reclutati dalla CIA, ma ha bisogno di prove.
Dinah è la figlia di una ricca famiglia, che ha trovato negli USA la proprio realizzazione sia economica che personale, è giovane ma molto in gamba, tanto che alla morte del direttore della sezione di New York, lei diventa di fatto il capo. Purtroppo il suo essere un ottima detective ha un punto debole: la fragilità come donna.
Se colta dal punto di vista del privato, Dinah non è l’agguerrito agente Homeland a caccia di verità. Si trasforma in una donna insicura che ha le difese molto deboli perché vuole, lontano dai suoi doveri, vivere la vita che hanno tutte le sue coetanee, amare, divertirsi, ubriacarsi a volte.
Qui fa breccia Billy Russo (Ben Barnes), che sfrutta a suo vantaggio l’ingenuità della Madhani per avere con lei una relazione sessuale, che però resta tale senza coinvolgere la coppia in sentimenti più profondi. La fiducia mal riposta rende la Madhani più umana e forse meno Str…a di quanto non hanno fatto pensare le prime scene in cui era protagonista.
L’incubo della guerra.
Il tema dei reduci, di coloro che, dopo aver servito il proprio paese, non riescono a ricollocarsi nel mondo civile è un aspetto molto importante di The Punisher. Difficile se non impossibile staccare questo aspetto dal personaggio di Frank Castle. Chi ha diviso tutto in guerra, capisce molto meglio di altri cosa davvero passa per la testa di questi ragazzi.
La ministoria di Wilson un giovanissimo soldato è emblematica di quanto gli incubi di una guerra non siano nulla confrontati con l’incubo di tornare in una società civile. I fantasmi di ciò che è stato fatto, delle mani che si sono sporcate di sangue in nome di una bandiera, restano e si annidano come spettri facendo andare in tilt anche le menti più salde.
Frank all’inizio è incapace di condividere questi fantasmi, non perché non senta il bisogno di farlo, ma perché per lui è fondamentale finire il suo lavoro, il vero scopo della sua vita è vendicarsi di chi ha massacrato la sua famiglia. La guerra è riportata nella serie con flashback brevi ma molto intensi che aiutano a capire il profondo legame che unisce Billy Russo con The Punisher e quanto sporca possa essere la guerra, sempre e comunque.
La famiglia felice di The Punisher.
Altro personaggio fondamentale di The Punisher è Micro, alias David Liebermann (Ebon Moss-Bachrach). Infatti lui è per certi versi la parte speculare di Frank Castle, lui ha fatto ciò che forse avrebbe salvato la famiglia di Castle. Ha finto di morire per salvare la propria famiglia. Da quel momento la segue ossessiviamente attraverso delle microcamere con cui silenziosamente divide la loro vita di tutti i giorni.
Il concetto di famiglia tipo, nella quale si inserisce una storia così forte e a volte violenta come The Punisher, è qualcosa di positivo da un lato, ma anche eccessiva dall’altro. La sceneggiatura a mio modesto avviso, ha risentito in parte della morale Disney del lieto fine, cosa che finora non aveva toccato, se non marginalmente, le altre serie Marvel/Netflix.
La famiglia di Liebermann è praticamente identica a quella di Frank. Due figli, una moglie bellissima e totalmente innamorata del suo uomo che vive in in una casa più che dignitosa per non dire bella e che se non fosse per la perdita, creduta tale, di David, non sfigurerebbe in uno spot pubblicitario come famiglia modello benestante e felice.
Credo che il ricongiungimento fra David e la sua famiglia sia stato un tocco di lieto fine che potrebbe starci, ma che a mio avviso stona totalmente con la crudezza con la quale avrei voluto si mantenesse questa serie TV.
La Cia, il male necessario.
Se dovessimo ridurre tutto The Punisher a una spasmodica ricerca di vendetta, alla contrapposizione netta di giusto e sbagliato, potremmo cadere in un clamoroso errore di valutazione. Rawlins, capo della CIA in Afghanistan altri non è che uno strumento, un mezzo che la CIA usa per fare la guerra a modo suo.
Purtroppo anche Rawlins ha un concetto di guerra tutta sua e il traffico di droga, il reclutamento a scopo di torturare civili afgani, fa più parte della natura contorta e ambiziosa di Rawlins e Russo che della stessa agenzia spionistica americana.
Se per Wilson, Curtis, Castle e gli altri ex marine, la guerra è stata un incubo da rivivere ogni notte, per gente come Rawlins è stato il mezzo per acquisire potere, per diventare ricchi, per usare le pieghe del gioco sporco della CIA per trarne vantaggio e per difendere questo benessere macchiato di sangue, si diventa spietati mostri, essi stessi incubi viventi.
La radice del male stesso è in ciò che Frank ha fatto in Afghanistan. Perfino la negazione della sua felicità è partita da lì. Nessuno fa sconti a The Punisher, in tempo di guerra se un superiore in grado ti ordina di sparare ad un prigioniero, lo fai perché quello è il tuo dannato dovere, sei certo di servire i buoni, una giusta causa.
Quando però quello in cui hai creduto, ti si rivolta contro e dilania ogni più piccola parvenza di normalità, allora ti accorgi che per quelle persone, ti sei sporcato le mani di sangue innocente e che quel sangue te lo sei portato dietro come una maledizione che ha distrutto il tuo diritto a essere felice.
Episodio 12 di The Punisher e finale troppo mieloso.
Credo che l’episodio 12 sia stato per certi versi il vero capolavoro di tutta la serie. Potevano chiuderla lì con Castle che spariva nella caotica New York, o al massimo inserire la parte relativa a Russo allungando di 10/15 minuti lo stesso episodio.
Dico questo perché, come già detto prima, ho trovato il finale di serie troppo buonista e l’odore della mano Disney in tutto questo è molto forte e non lo trovo in linea con ciò che rappresenta The Punisher.
L’apoteosi della violenza subita e poi resa da The Punisher è stata ben evidenziata da una fotografia capace di dare livido vigore alle ambientazione tetre. Il sangue è stato reso il più possibile realistico, così come i volti tumefatti e la violentissima morte di Rawlins mi ha ovviamente ricordato per angolazione di ripresa, quella vista in Game of Thrones di Oberyn Martell.
Qui troviamo mai come in altri episodi, la vera essenza di The Punisher dei fumetti. Rimodernato, riscritto, ma pur sempre lui, sempre un uomo divorato dalla sua sete di vendetta e non di giustizia, incapace di avere pietà di chi lo ha ucciso mille volte nell’animo anche se non fisicamente.
Non esiste la pietà in Frank Castle, non sarebbe da lui. Nell’episodio 12 tutto questo ci viene finalmente mostrato con grande potenza narrativa e considero anche il regolamento di conti alla giostra con Billy Russo, una sorta di prolungamento di ineffabile violenza che troviamo nella punta finale.
Conclusioni su The Punisher.
Consiglio “The Punisher” a tutti quelli che hanno amato il personaggio dei fumetti, ma tenete presente che, per quanto la regia e gli sceneggiatori abbiano fatto di tutto per mantenere il personaggio entro i confini segnati dal fumetto, la versione televisiva riscrive molte parti e alcuni aspetti sono addolciti.
The Punisher potrebbe non essere apprezzata da coloro che hanno finora amato le serie Netflix/Marvel perché si troveranno davanti a qualcosa di totalmente diverso, qualcosa che non segna confini netti fra bene e male, non esiste “La mano” portatrice di ogni incidenza malevola. I confini fra giusto e sbagliato, fra vendetta e giustizia sono estremamente flebili in The Punisher.
Personalmente ho amato The Punisher per tutti i 13 episodi. Ho solo trovato abbastanza desolante il lieto fine, che alla fine è la cosa più forzata e lontana dal personaggio di Castle. Per il resto ancora un ottimo lavoro per Marvel, Netflix e ABC productions. Prossime tappe: Jessica Jones 2, Luke Cage 2 e Daredevil 3.
Passo e chiudo.