The Secret Scripture, Jim Sheridan in conferenza stampa critica la religione in Irlanda
18/10/2016 di Redazione
Il regista de “Il mio piede sinistro” ha diretto un film che vede protagoniste Rooney Mara e Vanessa Redgrave nel ruolo della protagonista del romanzo di Sebastian Barry
Il maggior protagonista della settima giornata dell’undicesima Festa del Cinema di Roma è, insieme a David Mamet, sicuramente Jim Sheridan. Il regista, sceneggiatore e produttore cinematografico irlandese, diverse volte nominato all’Oscar per la regia, ha presentato nella capitale italiana “The Secret Scripture”, il romanzo scritto da Sebastian Barry nel 2008 che racconta la storia di una donna Irlandese rinchiusa per anni in un ospedale psichiatrico. Protagoniste del film sono Rooney Mara e Vanessa Redgrave, entrambe nel ruolo della protagonista Roseanne McNulty: la prima nella versione giovanile, l’altra in quella anziana. Queste sono le principali impressioni del regista in conferenza stampa.
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Come è riuscito a raccontare una storia così lunga in 108’ di film? Ha modificato la storia originale?
Ho compresso il passato in un anno, e la storia del presente l’ho mantenuta uguale al romanzo originale, mentre altre cose le ho cambiate, in comune accordo con Sebastian Barry, con cui mi sono regolarmente sentito. È difficile prendere una storia che in gran parte avviene nella mente dei personaggi, io ci ho provato, spero di esserci riuscito, e la cosa che mi ha colpito di più di questa storia è il rapporto tra la madre e il figlio. Lei non lo avrebbe mai voluto abbandonare.
Molti dei suoi film sono dedicati alla famiglia. Il perché di questa scelta?
Mi sono spesso occupato di storie riguardanti il nucleo familiare perché da ragazzo i miei genitori avevano aperto in casa nostra un bed and breakfast e quindi la famiglia in un certo senso si allargava. Poi ho sempre cercato di mettere in risalto il senso di giustizia ed identità, e questo mi è stato dato dal momento in cui ho assistito ai primi problemi con i profughi.
L’Irlanda religiosa è stata spesso colpevole di brutte vicende come quelle raccontate in questo film e in altri. La sua opinione a riguardo?
È vero, infatti abbiamo già visto al cinema la storia di Philomena. Io in “The Secret Scripture” ho reso tutto più radicale. Ho messo in risalto il ruolo del prete, che è vittima di una frustrazione d’amore. Penso che questo sia dovuto per via della legge di castità, che spesso e volentieri ti rende strano, facendoti compiere cose che non vorresti mai fare.
Nel film vi è la frase “Vi è una malattia nelle persone che gli fa smettere di vedere la verità”. Può dirci la sua in merito?
La frase pronunciata da Vanessa per me è giusta, storie come questa dimostrano che la Chiesa è oppressiva ma gli altri decidono di non vedere. Pensiamo alle donne dell’era delle caverne: loro dipendevano dalla loro capacità di essere attrici, di saper mentire al compagno violento per sopravvivere, e loro sono brave in questo anche perché essendo donne sono in grado di fare più cose contemporaneamente. Siamo tutti complici quando vediamo la verità e decidiamo di ignorarla, perché accettare la menzogna è come controllare chi la dice.
Lei essendo Irlandese nei suoi film ci ha spesso raccontato il suo Paese in maniera del tutto particolare.
Si, perché ho sempre avuto interesse nel raccontare il modo in cui l’Irlanda si è spesso cacciata nei guai. Col passare del tempo ho scoperto che spesso questi problemi sono legati all’identità sessuale, infatti ogni volta che ci sono stati problemi politici in Irlanda erano legati a degli scandali sessuali per colpire qualcuno. Per fortuna sembra che Hillary Clinton sembra essere riuscita ad uscire dalla storia che l’ha per tanto tempo etichettata.
Cosa la spinge, ancor oggi, a voler fare il regista?
Credo che ciò che ho sviluppato di più è avere una causa su cui lavorare, avere qualcosa di importante da dire. È invece difficile fare film su realtà in cui non si è cresciuti, come quelli di stampo Hollywoodiano. A volte infatti faccio filmetti, come quello sull’11 settembre, ma sono comunque importanti per me perché io quando lavoro a un film mi accorgo di quanto sia faticoso. È difficile ma importante collegarsi al subconscio delle persone per raccontare una storia, anche a costo di fare un po’ il tiranno sul set.
Come si è trovato a lavorare con Rooney Mara e Vanessa Redgrave?
Rooney e Vanessa sono due attrici molto diverse. Vanessa è una vera forza della natura, con una grande forza di volontà, sa quello che vuole, è estremamente sincera, spettacolare sullo schermo, e infatti c’è sempre il pericolo che metta (involontariamente) in ombra gli altri. Anche Rooney è come lei anche se è una persona molto più calma. Con quest’ultima ho fatto pochissimo, l’ho lasciata molto improvvisare, e credo che avrei potuto fare lo stesso con Vanessa anche se lei arriva sempre sul set molto preparata e non vuole cambiamenti.
Nel film vi è in risalto un problema diffuso nelle religioni, nell’Islam ma in effetti anche nel Cristianesimo, cioè che per una donna essere bella sia una colpa e deve restare coperta allo sguardo degli altri uomini.
È vero, ma il problema è ancor più grande. In varie culture sembra che essere donne sia la vera colpa, basta pensare ad Eva che è colpevole di essere tentatrice, o a Elena colpevole di aver portato la guerra a Troia. Un problema molto probabilmente psicologico, noi vediamo il mondo in maniera binaria, 0 o 1, bianco o nero, credo o non credo, uomo o donna. Questo porta tante volte a cercare un capro espiatorio da fare fuori.
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