Tony Maiello in esclusiva: “È stata la musica a salvarmi dai momenti oscuri”
02/07/2017 di Redazione
Dalla vittoria a Sanremo all’istante in cui ha pensato di mollare tutto, fino al momento della sua rinascita. Tony Maiello racconta come sia stata la musica a salvarlo da quel periodo oscuro.
Tony Maiello, classe 1989, concorrente della prima edizione di X Factor e vincitore nel 2010 del Festival di Sanremo nella categoria “Nuove proposte” con il brano “Il linguaggio della resa”. In questi anni ha indossato le vesti di autore firmando brani per alcuni dei più grandi nomi della musica italiana: da Laura Pausini, per la quale ha scritto “200 note” contenuta nell’album “Simili”, a Francesco Renga al quale ha ceduto diversi testi per l’album “Scriverò il tuo nome”, tra cui la title track e “Guardami amore”, a Giorgia per la quale ha invece composto “Credo”, terzo singolo estratto dall’album “Oro Nero”.
Ora, però, è pronto a ripartire con un album interamente autobiografico che uscirà in autunno. I primi due singoli, “In alto” e “Il mio funky”, hanno già anticipato i contenuti di un disco che rappresenta appieno Tony e la sua personalità: quella di un ragazzo un po’ razionale e un po’ folle, che si affida da sempre alla scrittura e che, nella musica, ha trovato la ragione per non arrendersi mai.
Immagina di viaggiare indietro nel tempo fino al 2010: cosa diresti a quel ragazzo di 21 anni che stava per salire sul palco dell’Ariston?
«Non farlo! (ride, ndr) Gli direi di viverla appieno, anche perché è stato tutto abbastanza frenetico. Gli direi di vivere ogni momento con leggerezza, con la spensieratezza di un ragazzo di quella età. Io credo molto in questo destino, anche se tante volte voglio cambiarlo e cerco di modificarlo, però sono anche convinto che se qualcosa è scritto, prima o poi si avvera.»
Non hai trascorso sempre momenti facili. Hai mai pensato di rinunciare al tuo sogno?
«Ci ho pensato tante volte di mollare, anche perché credo ogni passione trascini con sé gioie e dolori. Fa un po’ parte del gioco. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di lasciare tutto. Dopo Sanremo ho fatto il broker assicurativo, le torte per i bar, grafiche web durante la notte come extra. Stavo per mollare tante volte, ma tutte le volte era molto più forte poi il gancio che mi teneva attaccato alla musica. Non ho mai visto il lato negativo delle cose, ho sempre pensato che qualcosa di buono possa sempre arrivare. Credo molto nelle energie, soprattutto quella positiva. Per questo è necessario mettere in qualche modo in movimento la positività, alimentarla e crederci fortemente.»
In quel periodo buio, è stata dunque la musica la tua ancora di salvezza.
«Sì, è stata la musica a salvarmi da momenti oscuri, in cui non sapevo dove andare e avevo perso la strada. Era lei l’unica luce che si vedeva sempre in fondo, oltre agli affetti, alla famiglia, a quelle poche persone sulle quali potevo contare.»
Hai intrapreso la carriera di autore con risultati sorprendenti. Hai scritto per Laura Pausini, Giorgia, Francesco Renga. Cosa ti è rimasto di queste collaborazioni?
«Sai quando una cosa te la senti? È assurdo! In quei momenti oscuri, era come se dentro di me sentissi che prima o poi qualcosa sarebbe successo. Che fosse da autore o meno, qualcosa doveva muoversi. È stata una bella soddisfazione, soprattutto scrivere per la Pausini, che non capita tutti i giorni. Con loro si è instaurato un rapporto di stima reciproca, di confronto, a volte gli faccio ascoltare anche le mie cose per avere un parere. Si è creata una sorta di dialogo. Mi ha stimolato ancora di più a scrivere, non mi sono mai fermato in questi nove anni. Anche quando lavoravo in ufficio, tra quelle quattro mura, tra una pratica e l’altra io scrivevo. Non ho mai voluto abbandonare la scrittura, per me è veramente terapeutico vomitare i pensieri su un foglio.»
A quale dei brani scritti per questi artisti sei più legato?
«“Credo”, che è quella più recente, mi sta dando tante soddisfazioni. Il brano a cui sono più legato, ma proprio per una questione di scrittura, è però quello un po’ più vecchio rispetto agli altri: “200 note” della Pausini. Quel brano per me è stato una rivincita. L’avevo presentato a Sanremo nel 2011, l’anno successivo alla vittoria nella categoria Giovani, e non ho mai ricevuto risposta. La mia soddisfazione è stata quella di vederlo cantato da Laura.»
Non ti fa rabbia che le tue parole siano state ascoltate solo nell’istante in cui a cantarle siano stati grandi nomi della musica italiana? Non hai mai provato un po’ di gelosia per i tuoi testi?
«Gelosia no, anche perché viviamo in un Paese in cui, prima di riuscire a dimostrare qualcosa, deve esserci prima qualcuno che ti dia alla luce. L’Italia è dominata momentaneamente dalle lobby, che fanno il loro gioco. Nel tempo ha dimenticato un po’ anche la meritocrazia. Con questo non voglio dire che io lo merito e altri no. Ci sono tanti autori che scrivono benissimo e che magari non hanno la luce che meritano. Non è Tony che è soddisfatto, ma è chi, come Tony, insegue i propri sogni e se li va a prendere strappandoli dalle mani di persone che in qualche modo li detengono. In realtà non ha vinto Tony, hanno vinto tutte le persone che si impegnano, che lottano contro questo sistema.»
Senti di essere stato fortunato?
«In parte mi sento fortunato e in parte no. Tutt’ora voglio cantare e proseguire la carriera da cantante e, se dovrà succedere, succederà. Sento che ce l’ho messa tutta e ce la sto mettendo tutta. La bilancia non può pesare sempre in maniera negativa, deve mettersi in pari ogni tanto. Le cose belle poi succedono, perché vuoi che succedano e ci credi.»
Continuerai a scrivere per altri?
«Assolutamente sì, anche perché negli ultimi anni la scrittura è veramente la mia ancora. Il fatto di potermi esprimere attraverso altre voci è per me motivo d’orgoglio. Questo fa capire la forza, la potenza che ha la musica unita alle parole. Si trasferisce da un autore all’altro e riesce comunque a trasmettere emozioni, non perde di valore. L’amore che ci metti mentre scrivi si trasferisce automaticamente nella voce di chi poi la canta. Questa è alchimia, non la spieghi. Dunque continuerò a farlo, perché è una cosa che mi dà emozioni, e tutto quello che mi provoca emozioni lo faccio. Al contrario, tutto quello che mi fa stare male, da un po’ di anni, cerco di evitarlo.»
Qualche artista con cui ti piacerebbe collaborare?
«Ce ne sono un po’ e penso sempre in grande: Tiziano Ferro, Jovanotti, Giuliano dei Negramaro. Sono cantautori, quindi è già un po’ più difficile arrivarci. Con Tiziano sono, per assurdo, editore di un brano che è “Potremmo ritornare”. Mi vede in veste di editore e non di autore, quindi mi piacerebbe essere anche autore, un giorno.»
Nella tua edizione di X Factor c’era anche Emanuele Dabbono, che sta collaborando da qualche anno con Tiziano Ferro.
«Sì, ha firmato un bel po’ di brani. Sono contento per lui perché è una persona stupenda e buona. Se lo merita. Anche lui è uno che non si è mai fermato e non ha mai smesso di crederci. Così come Ermal Meta e Francesco Gabbani. C’è qualcosa che sta cambiando nell’aria.»
Il tuo disco uscirà in autunno ed è stato anticipato da due singoli diversi tra loro, ma che hanno riscosso entrambi consensi positivi. Il resto dell’album verso quale direzione è orientato: quella più intimista di “In alto”, che hai definito una sorta di preghiera moderna, o quella più spensierata de “Il mio funky”?
«Entrambi, per assurdo, rispecchiano la mia personalità. Io credo di essere formato da due parti: una più oscura e una di luce. Da una parte c’è il Tony che inizia a fare discorsi abbastanza criptati, anche per quanto riguarda questa ascesa spirituale, questo voler puntare in alto. Dall’altra c’è invece il Tony solare, che si diverte, quello un po’ pazzo. Mi reputo un pazzo che fa finta di essere normale. Sarei capace di tutto, però mantengo quell’altro lato di me un po’ più razionale, illuminato, quasi da santone. Ho scelto di lanciare “Il mio funky” proprio per mostrare un altro aspetto di me. Tutto il disco parla di me, è autobiografico. Sono 11 tracce che raccontano la mia visione del mondo. Non c’è un filo logico, un filo conduttore, se non la verità, che poi è quella che abbatte ogni muro e arriva più velocemente.»
Tra l’altro hai recentemente presentato l’ultimo singolo sul palco del Wind Summer Festival. Cosa avrebbe significato per te uscirne vincitore?
«Credo che non avrei mai vinto se non fossi stato con una Major. Mi serviva vincerlo, così come non mi serviva farlo. In passato ho vinto Sanremo, che comunque non mi ha portato fortuna. Quindi, in un certo senso, sono contento di non aver vinto: magari mi porterà qualcosa di bello.»
Come ti fa sentire, dopo tutti questi anni, l’essere considerato ancora un emergente?
«Nonostante non sia arrivato chissà dove, io non mi sento emergente. Sento di aver fatto un percorso un po’ diverso dagli altri. Se però emergente vuol dire presentare nuova musica e rimettersi in discussione, allora ben venga. Sono sempre pronto a ripartire da zero. L’importante è fare quello che ti fa smuovere il cuore e ti rende felice. Non l’ho mai fatto per dimostrare di essere primo in classifica. Per me è sempre stata una necessità, sin da bambino. Mi registravo e facevo finta di essere su Radio Maiello, mi faceva stare bene. Manca ancora in casa un quadro con qualche disco d’oro e quello mi piacerebbe, ma questo è il lato materialista. Per me conta di più vivere le emozioni, lasciare un segno sotto terra. È quello che dico sempre: lasciate un segno, in qualsiasi modo, che sia positivo.»
Tempo fa hai scritto sulla tua pagina “Ci vuole coraggio per fidarsi di questo universo, ci vuole coraggio per arrivare a sfidare te stesso”. Pensi di avere questo coraggio?
«Sono le parole di una nuova canzone che ho scritto. L’ho dovuto acquisire per forza, ma in fondo è il coraggio che ci mantiene in piedi. Penso che alla fine l’universo cospiri affinché i tuoi sogni poi si avverino. Prima di riuscire a fidarsi però ci vuole tempo. Sono tanti i momenti in cui le cose non vanno, in cui inizi a combattere anche con te stesso. Ma vale sempre la pena. Anche se si tratta solo di un attimo fuggente, anche se dura un secondo, vale sempre la pena di combattere.»
Oggi ti senti regista o spettatore della tua vita?
«Credo di avere imparato ad essere un po’ regista, a far funzionare le cose se le vuoi far funzionare. Ogni tanto però mi godo anche lo spettacolo, per vedere se sta funzionando. Bisogna godersi questi momenti belli che accadono, perché in qualche modo li crei. In fondo sono convinto che il pensiero crea. Se inizi a pensare a qualcosa che può portarti a cose positive, alla fine succedono. Quindi mi sento sì regista, ma anche spettatore. Da quella prospettiva magari vedi qualcosa che non ti piace e vai a riscrivere il copione. Come ho scritto in “In Alto”, siamo sempre in cambiamento e ovviamente ci vuole coraggio anche per cambiare.»