Stefano Gabbana contro l”etichetta’ di omosessuale. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il noto stilista, 55 anni, venti dei quali trascorsi in coppia con Domenico Dolce, oggi dichiara: «Non voglio essere chiamato gay, perché sono un uomo. Mi sembra incredibile che ancora oggi si usi questo termine: sono biologicamente un maschio: lo stesso vale per una donna, che è una donna punto e basta, al di là di tutto». «La parola gay – ha proseguito – è stata inventata da chi ha bisogno di etichettare e io non voglio essere identificato in base alle mie scelte sessuali».
Gabbana si dice dunque stufo di essere etichettato in base al suo orientamento sessuale e attacca: «Del resto ho sempre fatto così: quando per strada mi urlavano ‘frocio’, io li inseguivo». «Una volta – racconta – uscendo di casa una macchina con quattro ragazzi mi ha gridato dal finestrino qualcosa del genere. Sfortuna per loro nel frattempo il semaforo è diventato rosso, li ho raggiunti e gli ho detto di scendere dalla macchina. Erano spiazzati». Lo stilista dice di aver maturato un anno fa la scelta di rifiutare l’etichetta di gay: «Ho pensato che essere un personaggio pubblico poteva aiutare a diffondere una nuova cultura, non più basata sui diritti gay, ma sui diritti umani. Prima che gay, etero o bisex siamo esseri umani». E sulle posizioni delle associazioni gay: «Le sigle spesso servono per difendersi, ma io non voglio essere protetto da nessuno, perché non ho fatto nulla di male. Sono semplicemente un uomo».
Gabbana dice di aver fatto una t-shirt («che presto indosserò») con la scritta ‘I am a man, I am not a gay’. «Classificare – afferma – crea solo problemi: cinema-gay, locali-gay, cultura-gay… Ma di cosa stiamo parlando? Il cinema, i libri e la cultura sono di tutti, anche se capisco che le lobby nascondo quando c’è bisogno di proteggersi da un clima avvelenato». Gabba dice comunque di sentirsi ancora discriminato: «Qualcuno invece di Stefano Gabbana mi chiama Gabbana-Gay! Per fortuna i miei problemi li ho superati quando ero più giovane. Ma non tutti hanno la fortuna di essere famosi, lavorare nella moda e vivere a Milano: c’è gente che abita in centri piccoli, presi in giro di continuo».
(Foto Abaca da archivio Ansa)