Strategia della tensione: cos’è e come funziona

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Da piazza Fontana alla strage di Bologna. Breve storia di quel filo che (non) collega insieme il terrorismo in Italia

Con la locuzione “strategia della tensione” si intende un’ipotesi di lavoro investigativa ma prima ancora della stampa e della pubblicistica intorno agli attentati organizzati in Italia nel dopoguerra. Secondo l’ipotesi, ci sarebbe un unico disegno intorno ai grandi fatti di sangue d’Italia, che sono stati utilizzati (oppure direttamente organizzati) allo scopo di instaurare leggi speciali che limitassero le libertà e, in alcuni casi, un regime fascista.



LA LISTA DELLA SPESA – Intorno al quadro (teorico) della strategia della tensione hanno preso posto e piede di mano in mano più o meno tutte le grandi stragi senza nome o con processi dalla conclusione poco chiara che sono accaduti in Italia. Dalla strage di Portella della Ginestra ai fatti del 1969, con gli attentati ai treni fino alla bomba di piazza Fontana a Milano. Dalla strage di piazza della Loggia all’attentato all’Italicus. Dalla strage della stazione di Bologna al rapido 904. Quest’ultimo caso, così come Bologna, si fregia dell’esistenza di colpevoli chiari, definitivi ed acclarati: un gruppo di mafiosi e camorristi che agivano tra Sicilia, Campania e Roma, il cui obiettivo era dirottare l’attenzione delle forze dell’ordine dalla lotta alla mafia a quella al terrorismo. Per la strage di Bologna sono stati condannati Valerio Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, oltre a Luigi Ciavardini.



LE CERTEZZE – Di certo c’è una cosa. Ovvero che in molti casi apparati dei servizi segreti e società più o meno segrete si sono mosse allo scopo di offrire salvaguardia e copertura a terroristi che avevano in programma o avevano realizzato attentati. Licio Gelli venne condannato per depistaggio in occasione di uno dei processi sulla strage di Bologna, perché la sua P2 aveva costruito una falsa pista su cui cercò di infilare gli inquirenti. Ma il caso più clamoroso è quello del generale del Sid Gianadelio Maletti. Nel 1971 diventò capo dei servizi segreti in Italia:

Appena arrivato ai vertici del Sid, ha iniziato a interessarsi alla strage di piazza Fontana, avvenuta meno di due anni prima, aiutando attraverso varie operazioni di depistaggio i neofascisti accusati di aver messo la bomba. Per questo è stato condannato in via definitiva a due anni di carcere. Scappato in Sudafrica per non scontare la pena nel 1980, Maletti è diventato cittadino di quel paese e non più più essere estradato.



L’Espresso ricorda anche un’altra circostanza:

Negli ultimi anni, dalla sua casa di Johannesburg, l’ex ufficiale ha iniziato a fare rivelazioni molto pesanti su piazza Fontana, sostenendo che la bomba a Milano era stata voluta dalla Cia (lo stesso Nixon ne sarebbe stato a conoscenza) con l’intento di creare in Italia un clima di paura che portasse a una svolta autoritaria e anticomunista. […] Secondo Maletti, anche Giulio Andreotti sarebbe stato al corrente del fatto che la bomba era stata fisicamente piazzata da alcuni neofascisti del gruppo Ordine Nuovo, ma con una regia straniera, nell’ambito di una strategia politica che allontanasse la temuta “svolta a sinistra” dell’Italia dopo l’autunno caldo sindacale del 1969.

IL SUPERSISMI – Maletti non è l’unico. Nel 1984 venne arrestato Pietro Musumeci, ex capo dell’ufficio controllo e sicurezza del Sismi (il servizio di raccolta informazioni militare, che all’epoca si differenziava dal Sid). Le accuse erano associazione a delinwquere, peculato, favoreggiamento personale, interesse privato in atti d’ufficio e detenzione di armi ed esplosive. E’ importante sottolineare che nella circostanza si trasformarono in accuse giudiziarie tutte le ipotesi comparse sulla stampa sui depistaggi operati dal Sismi sulla strage di Bologna e altre vicende oscure dell’epoca. La sentenza dell’epoca recitava:

“Si è parlato a riguardo di una struttura parallela deviata, da intendersi come uno spezzone dell’organismo di sicurezza che si muoveva degradandolo e alterandone la funzione. Intorno al Sismi si rea formato un centro di potere arbitrario e occulto, che comprende più persone, alcune organicamente inserite nel Servizio ed altre esterne ad esso, ma tra loro unite per abusare del servizio allo scopo di conseguire finalità proprie ed incompatibili con quelle istituzionali” (Cipriani, De Lutiis, Giannuli, “L’Italia delle stragi e dei segreti”).

Ad esempio, si ricorda nel libro citato, era stato permesso al pregiudicato Domenico Balducci di usare aerei del servizio: Balducci fu anche assistito da agenti del Sismi in occasione del transito attraverso gli uffici di frontiera degli Aeroporti di Roma. Ma la sentenza venne profondamente riformata in appello.

FEDERICO UMBERTO D’AMATO – Un’altra mitica figura chiamata in causa dalla pubblicistica è quella di Federico Umberto D’Amato, capo dell’Ufficio Affari Riservati, un distaccamento del ministero dell’Interno che si occupava di indagini e dossieraggio. Ricorda di lui Wikipedia:

E’ stato anche un agente angloamericano, durante la guerra ha lavorato alle dipendenze di James Angleton, capo del Servizio Segreto USA, l’OSS (Office of Strategic Services). Nel biennio 1943-1945 si mette in luce con operazioni di controspionaggio. In seguito diventa il sovrintendente alla Segreteria Speciale Patto Atlantico che rappresenta l’anello di congiunzione dell’Italia con la NATO e gli Stati Uniti. Nel 1957 entra all’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno: qui, compie tutta la carriera fino a diventarne il capo; viene rimosso nel 1974, due giorni dopo la Strage di Piazza della Loggia e inviato alla Polizia di confine, ma fino alla metà degli anni ’80 continuerà ad avere grande influenza sull’ufficio. Come capo dell’Ufficio Affari Riservati, tra il 1969 e il 1974 è stato accusato di aver svolto un’intensa attività di depistaggio delle indagini e per la copertura dei responsabili delle stragi. Nato a Marsiglia da padre piemontese e madre napoletana, viveva tra Parigi e Roma. Fu insignito di una medaglia della Cia (la Bronze Star) e una della Legion d’Onore francese. Fu iscritto alla P2 di Licio Gelli del quale disse «politicamente, un cretino. Ma come si fa a dire che uno così doveva fare un golpe?». Andò in pensione nel 1984. Gastronomo, diresse una rubrica di cucina per L’Espresso, sotto lo pseudonimo Federico Godio.

Di lui si è parlato anche di recente nella circostanza di una testimonianza di Adriano Sofri pubblicata sul Foglio, nella quale l’ex leader di Lotta Continua dice di aver ricevuto nella sua casa un alto ufficiale di Stato (identificabile, forse, in D’Amato) che gli avrebbe proposto di commettere omicidi di “nemici comuni”, offrendosi per la copertura. Una storia che non ha trovato conferme.

STRAGI DI STATO – Il punto di nascita delle ipotesi sulla strategia della tensione si può considerare il libro La strage di Stato, pubblicato nel giugno del 1970 (se ne parla in Aldo Giannuli, Bombe a inchiostro, Bur). Il titolo richiamava un articolo pubblicato dal Guardian nel 1969, poco prima del botto di Piazza Fontana, in cui si ipotizzava un colpo di stato in Italia fomentato dai colonnelli greci. La strage faceva quindi parte di un piano che prevedeva l’espulsione dei socialisti dal governo e l’entrata del Movimento Sociale Italiano. Sempre secondo il libro, dietro il complotto c’erano gli “americani” (ovvero gli esponenti di partiti italiani più vicini agli Usa), e per questo la strage non veniva chiamata “fascista” ma “di Stato”. Secondo il libro Piazza Fontana era opera di Avanguardia Nazionale e la pista anarchica, che portò all’accusa di Pinelli e Valpreda, era già preparata come depistaggio. Nomi e cognomi di personaggi in odor di doppio gioco tra destra eversiva e legalità, e dati sulla presenza di agenti greci in Italia. Il libro indicava come colpevoli della strage Delle Chiaie e Borghese: una pista che portò a un processo e all’assoluzione con formula piena per i due, sia in primo grado che in appello.

LA GENESI E LA NASCITA –  In principio era un convegno. Fonti istituzionali e di stampa individuano  la nascita delle trame nere nel convegno dell’Istituto Pollio che si svolge dal 3 al 5 maggio 1965 all’Hotel Parco dei Principi di Roma:

Sono presenti uomini come Guido Giannettini, finanziato dal Sifar sin dal 1965 e Pino Rauti, indicato in una informativa del Sid datata 25 novembre 1968, come “segretario generale di Ordine Nuovo collegato al Fronte nazionale di Valerio Borghese”, che ipotizzano soluzioni golpiste con la protezione dell’ombrello atlantico. Ed è presente anche Stefano Delle Chiaie, come riusciamo a sapere grazie ad un ‘galleggiante’ redatto sul suo conto dal Servizio segreto spagnolo (allorché evidentemente lo arruola) sulla base di notizie che non possono che provenire dall’interessato, in quell’occasione interrogato in quanto ritenuto responsabile del sequestro Oriol

Altri puntano il dito su Gladio:

Gladio è il nome in codice di una struttura paramilitare segreta di tipo stay-behind (“stare dietro”, “stare al di qua delle linee”) promossa durante la guerra fredda dalla NATO, per contrastare un eventuale attacco delle forze del Patto di Varsavia ai Paesi dell’Europa occidentale. Il termine Gladio è utilizzato propriamente solo in riferimento alla stay-behind italiana. Il gladio era il simbolo dell’organizzazione italiana, mentre quello internazionale era la civetta. Durante la guerra fredda, quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale crearono formazioni paramilitari, riunite nella “Stay Behind Net” sotto controllo NATO. L’esistenza di Gladio, sospettata fin dalle rivelazioni rese nel 1984 dal membro di Avanguardia Nazionale Vincenzo Vinciguerra durante il suo processo, fu riconosciuta ufficialmente dal presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti il 24 ottobre 1990, che parlò di una “struttura di informazione, risposta e salvaguardia”. L’esistenza della struttura tuttavia era già esplicitamente rivelata nel libro edito nel 1979 (edizione italiana 1981) da William Colby La mia vita nella CIA

In più, è verita giudiziaria che addirittura un omicidio vide coinvolto il Sid:

 

Significativo è il racconto del collaboratore Carlo Digilio a proposito dell’attentato al Gazzettino di Venezia avvenuto il 21 febbraio 1978 nel corso del quale fu uccisa una guardia notturna, Franco Battagliarin. All’alba di quel giorno, la guardia giurata aveva notato un ordigno deposto su un gradino dinanzi alla sede del quotidiano, ma appena egli si era avvicinato e aveva tentato di rimuovere l’ordigno, questo era esploso uccidendolo quasi sul colpo. L’attentato era stato rivendicato telefonicamente da Ordine Nuovo e gli accertamenti tecnici avevano consentito di appurare che l’innesco dell’esplosivo (rinchiuso all’interno di una pentola a pressione al fine di aumentarne la potenzialità offensiva) era caratterizzato dalla presenza, come temporizzatore, di una sveglia di marca Ruhla, vero “marchio di fabbrica” della struttura di Ordine Nuovo sin dai tempi degli attentati ai treni dell’agosto 1969, commessi appunto, come molti altri successivi, utilizzando orologi o sveglie Ruhla. Digilio ha raccontato i retroscena di quell’azione terroristica: “[…] parecchio tempo dopo, durante un incontro con Giampietro Montavoci sulla riva degli Schiavoni, questi, in un contesto di vari discorsi sulla destra, mi confessò di essere l’autore dell’attentato al Gazzettino. Durante questo incontro, quando Montavoci fece il primo accenno all’episodio, avevo fatto in modo che si aprisse ed egli, oltre alla sua responsabilità personale, aggiunse che l’attentato era stato una ritorsione contro il Gazzettino che da tempo aveva fatto una campagna di stampa contro la destra”127. Dunque Giampietro Montavoci, fonte Mambo del Sid, era stato l’autore materiale di un attentato che era costato la vita ad una guardia notturna. Partecipava ad azioni terroristiche e nel contempo riceveva i compensi da parte di un’istituzione dello Stato democratico.

I TRATTI CARATTERISTICI – Dopo questo brevissimo excursus possiamo cominciare a tratteggiare le caratteristiche fondamentali dell’ipotesi di indagine chiamata “strategia della tensione”: nasce per reazione al Sessantotto e alle lotte operaie, all’allargamento a sinistra del governo e delle maggioranze parlamentari, coinvolge per lo più figure di assassini alla base e ufficiali di Stato al vertice. E’ importante notare che arriva in un’Italia che sta terminando il suo periodo di maggiore crescita economica e comincia a governare la maturità di un paese ormai diventato potenza industriale. Ed è certamente vero che coinvolge varia ed avariata fascisteria, in quella che sembra essere una vera e propria strategia “negativa”, ovvero, più che pronta al golpe, volta a impedire l’accesso dei socialisti prima e dei comunisti poi al governo.

La strategia della tensione e le predisposizioni ai tentativi golpisti sono stati il frutto dell’attuazione di indirizzi politici, strategico-militari e psicologici volti a ridurre nei paesi occidentali – e in particolare in Italia – l’influenza dei partiti comunisti e, in generale, dei partiti e dei movimenti di sinistra che non fossero rigidamente ancorati nel campo occidentale. Il dispositivo, che trovava la sua scaturigine all’interno dei settori atlantici più oltranzisti ed era in grado di condizionare e orientare le scelte dei governi nazionali – in questo caso dell’Italia – in tema di politiche di difesa e di sicurezza, prevedeva:
1) un complesso di reti clandestine composte di militari e civili di ampiezza ben superiore al livello ufficializzato di Gladio, non ancora conoscibili nel dettaglio – in particolare per quanto riguarda la loro riferibilità ad un unico centro di comando e controllo – nelle quali la finalità di controinsorgenza e più in generale anticomunista era divenuta prevalente sul compito originario di attivazione nella eventualità, sempre più improbabile, di una occupazione da est del territorio nazionale da parte di eserciti nemici;
2) gruppi clandestini di estrema destra che avevano come finalità quella di determinare una forte involuzione autoritaria delle istituzioni dello Stato. Questi gruppi, come emerge da molteplici e concordanti documenti e testimonianze, mantennero ininterrottamente un ambiguo rapporto di internità/esternità con il Msi-Dn, grazie anche alla connivenza con la dirigenza missina, come dimostrano, per tutti, i rapporti tra Almirante e Delle Chiaie e il comandante Borghese;
3) rapporti di contiguità e di connessione tra settori istituzionali dello Stato e gruppi della destra eversiva;
4) rapporti di contiguità tra gruppi di terroristi fascisti e apparati informativi riconducibili agli Stati Uniti d’America.

Ciò detto, c’è anche da notare che per ragionare attorno all’esistenza di una grande struttura servirebbero prove più consistenti rispetto alle riflessioni dal carcere di Vinciguerra e alle confessioni postume (rispetto al periodo in cui ricopriva ruoli di potere) di Gianadelio Maletti. Anche perché quelle parole vennero proferite mentre il colonnello compariva in veste di imputato e non in quelle di testimone nei processi in cui ha deciso di presenziare. Più che destabilizzanti, le stragi sono sembrate sempre stabilizzanti, ovvero funzioni del mantenimento dello status quo. E soprattutto: molti indizi, ma poche prove sono state fornite per il collegamento tra quanto facevano militari e civili e i loro capi politici, anche se è difficile sostenere la tesi di una totale misconoscenza di quanto accadeva: il caso Giannettini e quelli di Gladio, entrambi con protagonista Andreotti, sono sintomatici di una connivenza e simpatia difficilmente falsificabili. C’è anche da dire che in molti casi si è ipotizzata una connivenza tra le Brigate Rosse e i settori dell’intelligence americana: tutte ipotesi che sono rimaste senza verifica o con verifica negativa.

STRATEGIA DELLA TENSIONE OGGI? – Lontane sembrano invece le analogie con la situazione odierna. Oggi, a prescindere da Guy Fawkes, l’Italia, l’Europa e il mondo si trovano a fronteggiare la crisi economica più grave da due secoli a questa parte. Non ci sono spinte di rinnovamento sociale così forti e che raccolgono intorno a sé un grande consenso come fu la stagione degli anni Sessanta e Settanta. Non c’è più un pericolo rosso all’orizzonte, e nemmeno un pericolo nero dietro l’angolo. Persino il “riformatore” (così si era presentato) Monti, alla fine, è a capo di un governicchio che, come i precedenti, s’è dovuto piegare ai taxi (e figuriamoci come potrebbe osteggiare le altre lobby). La svolta autoritaria, sebbene richiamata da un sacco di manifestini condivisi su Facebook, non sembra sia stata evocata da nessuna forza politica. L’attentato di Brindisi è stata invece utilizzata da Beppe Grillo proprio per paventare il rischio di una svolta autoritaria per fermare il suo MoVimento 5 Stelle. Vedremo nel futuro se esiste davvero un parallelo tra i due casi, e soprattutto se davvero si può collegare quanto accaduto a Brindisi all’eversione politica e alla mafia. In attesa, c’è da ricordare che tanta pubblicistica, con lavori di indagine ha guadagnato dall’agitare il fantasma della strategia della tensione. Facendolo diventare anche strumento di campagna elettorale e lotta politica. Con l’uscita di Beppe Grillo la storia si ripete.