Tasse Partite Iva, il fifty-fifty di Stato: ecco quanto si paga in un anno
03/12/2014 di Redazione
Se c’è bisogno da riassumere in pochissime parole la tassazione sui lavoratori autonomi italiani, professionisti e non, l’espressione aglofona «fifty-fifty» si rivela certamente una delle più adatte allo scopo. Non si sbaglia di molto infatti chi in giro, denunciando un elevato prelievo fiscale, osa ripetere quasi fosse un’ossessione: «50 e 50: metà a te e metà allo Stato». La verità è vicina e non si tratta di un luogo comune. Le cifre variano da caso a caso, ma ballano di poco. Infastidiscono. Preoccupano. Allarmano. E con la nuova legge di Stabilità una sostanziale inversione di tendenza non si vede.
LEGGI ANCHE: La protesta delle partite Iva: «Non siamo il bancomat dello Stato»
INPS – Il cosiddetto popolo della partite Iva, nel quale rientrano commercianti, artigiani, piccoli imprenditori e liberi professionisti, e che spesso include anche lavoratori dipendenti a tutti gli effetti, si ritrova ancora oggi a fare i conti con oneri fiscali e contributivi particolarmente pesanti. Sul groppone degli autonomi pesa soprattutto il saldo dell’Inps o degli altri enti previdenziali (ovvero quelli realtivi ai diversi ordini professionali, come ad esempio l’Inarcassa, la Cassa nazionale previdenza e assistenza ingegneri e architetti liberi professionisti, o la Cnpadc, la Cassa di previdenza tra dottori commercialisti). Sull’intero fatturato un libero professionista deve versare quote diverse. Inarcassa, ad esempio indica al 14,5% sul reddito il contributo soggettivo con un contributo minimo fissato a 2.275 euro, e al 4% sul volume di affari il contributo integrativo con un minimo di 670 euro. L’ente Cnpadc, invece, indica a partire dal 12% il contributo soggettivo con un minimo di 2.590 euro e un contributo integrativo di 777 euro. L’Inpgi, la cassa dei giornalisti, invece, stabilisce il contributo soggettivo al 10% sul reddito con un 2% di contributo integrativo a carico del committente. Infine è opportuno versare un contributo di maternità di alcune decine di euro. Per chi invece non è iscritto ad alcuna cassa (chi ad esempio non è ingegnere, architetto, commercialista, medico o farmacista) l’aliquota Inps della Gestione separata è del 26,72%. Sostanzialmente, insomma, il peso dei contributi può anche sfiorare il 30% del fatturato.
IRPEF – Discorso a parte va fatto per l’Irpef. Lo schema in vigore prevede una notax area fino agli 8mila euro e un’aliquota al 23% fino ai 15mila euro di reddito, che sale al 27% fino ai 28mila e poi al 38% fino ai 55mila. È proprio su queste percentuali che in questi giorni è montata una polemica. Fino ad oggi è prevista un abbassamento dell’aliquota al 5% fino ai 30mila euro di volume d’affari per le nuove partite Iva. Si tratta del cosiddetto “Regime dei minimi”, ovvero dei minimi contribuenti, giovani imprenditori o professionisti, disoccupati e lavoratori in mobilità che iniziano una nuova attività. Essi possono adottare un regime fiscale di vantaggio (valido per i primi cinque anni di attività o fino al 35esimo anno di età) che prevede un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali pari (come detto) al 5%. La nuova legge di Stabilità, approvata alla Camera ed ora in discussione al Senato, ha previsto però un innalzamento dell’aliquota al 15% con estensione fino ai 40mila euro di reddito (dagli attuali 30mila). La decisione non è stata affatto gradita da organizzazioni di categoria di consulenti, freelance, autonomi e professionisti, che hanno chiesto, a quanto pare inutilmente, al governo una marcia indietro. Una notizia positiva per le partite Iva è giunta sul fronte dei contributi. Un emendamento approvato alla Camera prevede, per gli iscritti alla Gestione separata Inps (non asssicurati verso altre forme pensionistiche obbligatorie) il blocco dell’aliquota al 27% (che per gli altri dovrebbe crescere fino a raggiungere il 33,72% nel 2019).
ALTRI COSTI – Poi ci sono i costi per lo svolgimento della professione (solo in parte o per nulla deducibili o detraibili). Alle tasse e ai contributi si sommano poi altri costi fissi o quasi fissi. Ma è possibile limitare il reddito imponibile detraendo spese come quella per la cancelleria,l’energia elettrica, benistumentali come pc e stampanti, ma anche spese di rappresentanza o addirittura cene per i clienti e trasferte.
(Foto da archivio LaPresse)