Terra dei Fuochi: perché temere, perché sperare

13/06/2014 di Donato De Sena

Cosa stanno facendo le istituzioni a livello centrale e regionale per giungere ad un’adeguata mappatura della cosiddetta Terra dei Fuochi? L’apposita legge approvata lo scorso febbraio può essere considerata un buon punto di partenza per descrivere l’entità dei danni ambientali di quella ampia fetta di terra compresa nelle province di Napoli e Caserta? Fino a che punto è lecito allarmarsi e quanto tranquillizzarsi rispetto all’efficacia dell’intervento dello Stato e dei diversi enti pubblici? Quest’articolo certamente non fornirà delle risposte inconfutabili a questo tipo di quesiti. Ma attraverso il confronto del parere che ci hanno espresso due persone che osservano la vicenda da due prospettive diverse è probabile esso riesca a fare un po’ di chiarezza in più sulla reazione promessa e tentata dopo la grande mobilitazione campana degli ultimi tempi. A parlare con noi sono stati Lucio Iavarone, uno dei più noti attivisti dei comitati che denunciano roghi e sversamenti di rifiuti, e Pietro Vasaturo, dallo scorso anno commissario dell’Arpac, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania, uno degli enti pubblici che la legge sulla Terra dei Fuochi inserisce nel gruppo di lavoro per le indagini tecniche su quei terreni che si sospetta siano inquinati. Entrambi hanno ovviamente manifestato una massima attenzione per la questione ponendo però l’accento su aspetti diversi: nel primo caso sul rischio di aver imboccato una strada sbagliata, sul rischio cioè che la legge sulla Terra dei Fuochi possa risultare inutile o inattuata; nel secondo caso sul lavoro nelle mappature e nei campionamenti delle aree già svolto e prossimo ad essere svolto che potrebbe portare nel giro di breve tempo ad ottimi risultati.

 

Pozzuoli - Protesta comitati "Terra dei fuochi"(Foto: Marco Cantile / LaPresse)

 

DAL DECRETO ALLE INDAGINI – La storia comincia esattamente il 6 febbraio, quando il Parlamento approva definitivamente il decreto legge n. 136 del 2013, il quale dispone all’articolo 1 che diversi enti pubblici, come l’Iss (Istituto Superiore della Sanità), l’Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale), il Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura), l’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), l’Arpac, e non solo, svolgano indagini tecniche per la mappatura, anche mediante strumenti di telerilevamento, dei terreni della Regione Campania destinati all’agricoltura, al fine di accertare l’eventuale presenza di contaminazione legata allo sversamento o allo smaltimento illegale di rifiuti (oal rogo degli stessi). Ma non solo. La legge ha previsto anche l’introduzione del reato di combustione illecita di rifiuti e ha disciplinato l’istituzione di un Comitato interministeriale e di una Commissione con lo scopo di individuare gli interventi di monitoraggio da realizzare sui terreni e coordinare un piano di interventi finalizzati alla tutela della salute ed anche alla bonifica dei siti. Un passo in avanti viene compiuto con la presentazione dei dati di una vasta mappatura dei terreni destinati all’agricoltura. Un rapporto relativo a 57 comuni dell’area della provincia di Napoli e Caserta, la cosiddetta Terra dei Fuochi, elenca tutti i siti sospettati di essere contaminati, suddividendoli in cinque classi di rischio decrescenti. Dal testo, molto contestato dai comitati, emerge in particolare che solo il 2% dei terreni complessivamente mappati nella Terra dei Fuochi sono ritenuti sospetti di contaminazione (circa 1.600 siti per un totale di 21,5 km quadrati di cui 9,2 relativi ad aree agricole) e che per 51 siti (per un totale di 64 ettari) è necessario intervenire quanto prima per garantire la sicurezza della produzione agroalimentare. I risultati della mappatura vengono poi recepiti, l’11 marzo, da un decreto interministeriale che programma le attività di indagine sui 51 siti, appartenenti alle prime tre delle cinque classi di rischio. L’Agea viene scelta come ente coordinatore del gruppo di lavoro degli enti. Mentre al Corpo Forestale dello Stato, che svolge funzione di polizia giudiziaria, viene affidato il compito di garantire l’attività di notifica delle singole particelle catastali sulle quali dovranno essere effettuati i campionamenti e di garantire altresì l’accesso alle aree. Il campionamento interessa sia i suoli che le acque sotterranee (anche queste ultime vengono però campionate solo nelle aree in cui sono presenti i pozzi). Dopo una fase di preparazione il lavoro di campionamento comincia finalmente il 18 maggio, salvo poi interrompersi il 28, quando l’Agea, l’ente coordinatore del gruppo di lavoro, solleva perplessità sui mancati rilievi relativi alla radioattività previsti dalla legge, e che dovrebbero essere effettuati mediante telerilevamento. L’Agea in particolare si accorge che non vengono realizzati rilievi specifici per verificare eventuale radioattività e poi fare il punto della situazione e poi eventualmente ripartire. Il lavoro di campionamento, dunque, s’interrompe, per poi sbloccarsi solo tre giorni fa, quando ad un tavolo ministeriale (cui partecipano gli enti coinvolti, compreso presidente della Regione Campania e Assessore all’Ambiente) si decide il cambio in cabina di regia affidando alla Forestale il ruolo di ente coordinatore del gruppo di lavoro. Le reazioni, come detto, sono differenti.

I TIMORI DEI COMITATI – Gli attivisti che si sono battuti in questi anni sono scettici e temono quella che definiscono «un’ennesima presa in giro». «Noi l’abbiamo detto fin dall’inizio che era un provvedimento legislativo che mostrava tutti i suoi limiti, la sua sicura scarsa efficacia. Questo lo stiamo vedendo oggi», ci ha detto Iavarone, rappresentante del Coordinamento Comitato Fuochi, che abbiamo ascoltato telefonicamente alcuni giorni fa, durante lo stop ai campionamenti decisi dall’Agea. Come lui tutti gli attivisti dei comitati sono scettici innanzitutto rispetto al dato del 2% di terreni contaminati, un dato che – spiegano – è stato elaborato semplicemente «mettendo insieme i dati che diversi enti avevano nei cassetti da tempo», senza fare affidamento quindi ad alcuna indagine recente. Ma i comitati mettono in dubbio anche l’organizzazione degli enti che lavorano sul campo e considerano la sospensione degli ultimi giorni un valido indizio per alimentare il sospetto. «Il nostro sospetto – ci ha raccontato Iavarone prima che arrivasse il via libera per la continuazione – è che: o siamo di fronte per l’ennesima volta ad una profonda disorganizzazione e quindi a negligenza o incompetenza, o alla volontà di voler insabbiare tutto e puntare affinché tutto cada nel dimenticatoio per evitare le campionature». Insomma, dall’approvazione del decreto Terra dei Fuochi non sarebbe cambiato nulla. «Nulla, nella maniera più assoluta», precisa Iavarone. «Abbiamo fatto il D-Day, il denunce day, proprio il 16, 17 e 18 maggio. Siamo tornati su tutti i territori. Siamo tornati a fare le foto. Siamo andati a fotografare lo stato dei luoghi, per capire rispetto ad un anno fa com’è cambiata la situazione. La situazione è rimasta inalterata. Questo è dimostrabile dalle foto che abbiamo fatto, in 30 comuni delle province di Napoli e Caserta», dice l’attivista. Delusione viene poi manifestata anche rispetto all’intervento dell’esercito con il compito di vigilare per evitare roghi e sversamenti. «Ci hanno detto che avrebbero mandato 800 unità, benché noi non lo volessimo. Ma sul territorio non si vedono. Sappiamo che ci sono solo 100 unità», denuncia ancora Iavarone nel corso della nostra conversazione. Le accuse ricadono quindi ancora sulle istituzioni e sul Ministero dell’Agricoltura che non si sarebbe adoperato per mettere insieme, al di là del dossier presentato a marzo, più dati in possesso di Agea, Arpac, università, Corpo Forestale o altri. «La Forestale ha fatto rilievi con foto fatte dall’alto dagli aerei, con una strumentazione particolare, risalivano al 2008. Sulla base di quelle foto sono andati ad indagare dove c’era rilevamento terra. Il Corpo Forestale dello Stato ha richiesto in più occasioni che queste ortofoto, visto che ce ne sono altre anche più recenti, risalenti al 2012, in possesso dell’Agea, dell’Università Federico II, venissero messe tutte insieme. La Forestale al proprio centro tecnologico di ricerca che si trova a Castel Volturno poteva mettere a fattor comune tutte queste foto già esistenti e andarle poi a sovrapporre per capire anche con delle foto più recenti situazioni che magari a loro erano sfuggite. Tutto questo non è stato fatto. Il Corpo Forestale dello stato non è stato assolutamente preso in considerazione. Il ministero dell’Agricoltura ha fatto in modo che questo non fosse possibile, realizzato. Poteva servire per avere una maggiore estensione al di fuori di quel 2%».

IL LAVORO DELL’ARPAC – Vasaturo, il commissario alla guida dell’Arpac, ci fornisce una visione diversa del problema, garantendo che tutti gli attori in campo, compreso ovviamente il suo ente, stanno mettendo in campo le loro migliori energie, e sottolineando che il lavoro finora svolto prosegue sostanzialmente in linea la legge Terra dei Fuochi e nello specifico con il relativo decreto interministeriale che ha programmato le attività d’indagine tecnica. Nei pochi giorni trascorsi tra inizio dei campionamenti sui terreni e sospensione richiesta dall’Agea (e il successivo sblocco dell’impasse) in particolare l’Arpac avrebbe concluso tutte le sue operazioni relative ai siti di area 4 (la prima tranche da esaminare). «L’Arpac – ci dice il commissario – ha fatto il suo dovere e continuerà a farlo. L’Agea aveva chiesto l’interruzione dei lavori perché aveva ritenuto opportuno fermarsi solo per valutare l’opportunità di effettuare il telerilevamento per verificare la presenza di eventuale radioattività a tutela degli operatori». Dunque, non ci sarebbero affatto ritardi, anche in virtù del fatto che tra gli enti del gruppo di lavoro, la Forestale, che è l’unico componente avente funzione di polizia giudiziaria, essa si è dovuta da sola far carico di tutte le notifiche e dei permessi per l’accesso ai terreni privati. «Il Corpo Forestale è stato encomiabile – aggiunge Vasaturo –. È partito un po’ prima. Ha avvisato i proprietari, che non hanno fatto eccezione. Siamo entrati nelle aree per i prelievi senza difficoltà. Le analisi ora sono già in corso». I tempi dunque non sarebbero lunghi, come tra l’altro indicato dallo stesso decreto, per arrivare alla conclusione del lavoro. Tutto perfetto, dunque? Non proprio.

UN DECRETO FARRAGINOSO – Per Vasaturo la legge può essere definita «ottima», ma il seguente decreto interministeriale che ha avuto il compito di definire meglio il lavoro tra gli enti coinvolti (e la road map per i campionamenti dei terreni) pecca un po’ di «farraginosità». «È fuor di dubbio che forse necessitava di dargli basi di concretezza, di tempistica e di metodologia più precise», dice il commissario. «La critica può nascere nel tipo di concertazione di intervento degli enti. Alla fine ci si è persi un po’ nei meandri della regolamentazione, delle competenze. Come in tutte le attività umane, quando si vuole fare presto e si parla in troppi nasce un po’ di confusione». E i risultati? Un problema serio riguarda la radioattività non superficiale (la stessa per la quale Agea ha chiesto la sospensione). Appena iniziamo il colloquio, il commissario ci spiega che Arpac è in grado con i suoi mezzi di scoprire solo forme di radioattività superficiale. «Se sono stati interrati materiali radioattivi ad una certa profondità, a 10, 15, 20 o 30 metri, noi (Arpac, nda) non abbiamo i mezzi per individuarli. Ma nessuno li ha (tra gli enti coinvolti, nda)». Insomma – ci spiega Vasaturo – mentre il campionamento e le analisi procedono anche ad un ritmo sostenuto e in linea con i tempi stabiliti dal decreto interministeriale, per la radioattività sarà necessario individuare le modalità in base ai mezzi di cui dispongono tutti gli enti e probabilmente coinvolgere altri corpi, come l’Esercito ad esempio. La domanda a questo punto ritorna: potranno le indagini tecniche sui terreni indicati nel percorso della legge (che i comitati – è bene ricordarlo – considerano irrisori) renderci soddisfatti?

REGIONE PRONTA ANCHE AD INTERVENIRE DA SOLA – Vasaturo spiega che bisogna muoversi rigorosamente entro i confini delle leggi e attentamente, su basi scientifiche. Il commissario ripete che l’Arpac e gli altri non possono agire in via straordinaria se non accompagnata dalla polizia giudiziaria e che quindi non possono rispondere nemmeno alle segnalazioni dei cittadini, se non su ordine di Procura, Carabinieri, vigili urbani, Polizia di Stato o altri. Bisogna senz’altro garantire la trasparenza – dice ancora Vasaturo -, i cittadini devono avere a disposizione i dati delle analisi, e non bisogna nemmeno «fare spauracchi»: bisogna cioè «verificare se l’elenco dei siti è aggiornato», ma seguendo l’iter del decreto. Per far questo – ci spiega – le professionalità ci sono, soprattutto in virtù del fatto che la legge mette insieme più enti con disponibilità diverse. Ma c’è di più: perfino se la richiesta di sospensione dei lavori avanzata dall’Agea fosse andata in porto, se cioè si fossero bloccati i lavori, non sarebbe stata affatto messa in discussione la possibilità della Regione di andare ugualmente ad indagare sui terreni. «Noi siamo il braccio armato della Regione per la lotta all’ambiente» e «riceviamo solo fondi ordinari dalla Regione» che, tra l’altro, «non vengono adeguati da anni», dice il commissario Arpac. Sarebbe naturalmente un controsenso se lo Stato varasse una legge per una Regione e poi la lascia sola. «In ogni caso se il governo regionale – continua a spiegare il commissario – decidesse o fosse costretto per qualsiasi motivo a risolversi il problema da solo, noi possiamo completare il lavoro da soli che la norma affida a più enti». In che modo e con quali tempi?

L’INDAGINE DIMENTICATA – Nel caso dovesse fallire il decreto interministeriale, ipotesi paventata con lo stop ai campionamenti e che sembra oramai del tutto svanita, l’Arpac e la Regione potrebbero avvalersi di una sorta di ‘piano B’, un progetto partito lo scorso anno e che dovrebbe concludersi entro il 2014, il cosiddetto Miapi (Monitoraggio e individuazione delle aree potenzialmente inquinate nelle regioni Obiettivo Convergenza), progetto che viene finanziato con fondi comunitari e che coinvolge i Carabinieri Tutela Ambiente che le varie Arpa. Mentre il Parlamento ha approvato una legge sulla Terra dei Fuochi, anche su una «spinta emotiva» – come afferma Vasaturo – «l’Europa ha finanziato un progetto che si chiama Miapi, che lo stesso ministero dell’Ambiente sta realizzando con il Noe». Insomma, mentre il legislatore scriveva un decreto interministeriale e prima ancora una legge basandosi su dati di terreni estrapolati da archivi non proprio aggiornati all’ultimo momento, evitava di chiamare in causa dei rilievi che avvengono per via aerea, vengono realizzati dai Carabinieri con risorse comunitarie, proprio in questi mesi e sull’intero territorio regionale. Un’opportunità che, insomma, bisognerebbe cogliere al volo, evitando una «duplicità d’intervento». In altre parole, mentre sono cominciati i campionamenti sul 2% di terreni agricoli contaminati in 57 comuni delle province di Napoli e Caserta indicato dal rapporto che accompagna il decreto interministeriale, il Miapi monitora l’intero territorio campano, Terra dei Fuochi e non, con quel telerilevamento di cui c’è bisogno per approfondire le indagini sulla radioattività nell’ambito del decreto. L’Arpac vuole tenere in forte considerazione la ricerca ed ha già cominciato a pubblicare sul proprio sito i primi dati, relativi a rilevazioni aeree. Vasaturo, in carica dallo scorso anno e per la prima volta a capo di un ente terzo, promette che man mano che i dati saranno raccolti verranno aggiunti online in una classificazione per comune, e fa sapere poi che il Miapi verrà terminato entro quest’anno e fornirà anche dati raccolti con strumentazione non aerea. «Sul nostro sito – dice – abbiamo inserito i dati di questo progetto che è curato dal Ministero dell’ambiente, dalle Arpa e dai carabinieri del Noe: è già a buon punto, hanno monitorato nell’ambito della Campania. Stiamo inserendo nel nostro sito in un link dedicato i dati relativi alla gran parte dei comuni dell’area cosiddetta Terra dei Fuochi e dell’intera Regione Campania. Naturalmente sono dati orientativi in ausilio per iniziare anche a fare una verifica successiva. Il Miapi si concluderà entro il 2014. Verranno inseriti anche i dati di terra. I dati riguardano la radioattività e tutte le anomalie. Man mano li pubblicheremo tutti. In maniera trasparente». Già, la trasparenza, forse la proprietà necessaria per enti ed istituzioni per riconquistare la fiducia e la credibilità di cittadini allarmati e indignati da decenni di inquinamento spropositato. Forse la miglior proprietà per dimostrare che non necessariamente amministratori e controllori siano distanti dalla realtà o abbiano perso di vista il nocciolo della questione da affrontare. «Certo – riflette il commissario dell’Arpac – la gente va spronata, ma va compreso anche che c’è chi non resta a guardare».

(Foto copertina: Marco Cantile / LaPresse)

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