Asia Bibi, la giovane donna cristiana condannata a morte per blasfemia

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Chi è la giovane donna pakistana in carcere da cinque anni e condannata a morte per blasfemia. La sua colpa? Essere cristiana.

ASIA BIBI

Asia Bibi ha 33 anni. E’ cristiana, e questo le costa la vita. Infatti, accusata di blasfemia, rischia ora di essere impiccata. A confermare la risibile accusa non c’è alcun riscontro, se non la parola di due donne del suo villaggio con cui avrebbe avuto un alterco. Le pene e la sofferenza di Asia Bibi sono frutto di una guerra tra chi sostiene la legge che in Pakistan punisce la blasfemia e quanti la ritengono un retaggio di un passato da dimenticare. La giovane donna è stata catapultata così al centro di un caso che ha assunto risonanza internazionale e che la tiene in prigione da cinque anni.



Asia Bibi con Salman Taseer, governatore della Provincia del Punjab (poi assassinato nel 2011) Foto: AP Photo/LaPresse

ASIA BIBI UNA FAMIGLIA DI CRISTIANI  –

Aasiya Noreen, conosciuta come Asia Bibi è una pachistana cristiana, oggi trentatrenne, condannata a morte dal tribunale di Sheikhupura per blasfemia perché nel 2009 avrebbe insultato Maometto nel corso di una discussione con le compaesane di un remoto villaggio, nel quale la sua è l’unica famiglia cristiana. 

ASIA BIBI: LA CONDANNA ALL’IMPICCAGIONE –

Condannata per questo da un tribunale locale all’impiccagione, Asia si è presto trovata al centro di un caso più grande di lei, che secondo alcuni osservatori si sarebbe già risolto se più di un attore estraneo non si fosse lanciato sul procedimento giudiziario cercando d’influenzarlo in un senso o nell’altro.



Foto: LaPresse

I TENTATIVI DI SALVARE ASIA BIBI –

In attesa del parere della Corte Suprema il procedimento giudiziario si è trascinato stancamente mentre tutt’intorno si è scatenata una vera e propria battaglia che vede da una parte i fanatici islamici e plotoni d’avvocati schierati a difesa della legge sulla blasfemia e dall’altra ONG e progressisti che denunciano l’assurdità della condanna, anche perché l’accusa ad Asia sarebbe fondata solo sulla testimonianza di un paio di donne che insieme a lei quel giorno fatale lavoravano nei campi.  In difesa di Asia si sono distinti in particolare il ministro per le minoranze Shahbaz Bhatti e il politico pachistano Salmaan Taseer, governatore del Punjab. Questo loro slancio non è servito ad Asia ed è risultato però fatale ai due, uccisi a colpi d’arma da fuoco in due distinti agguati, il primo da una delle sue stesse guardie del corpo e il secondo da due uomini armati che si sono introdotti in casa sua. Almeno nel caso del primo c’è la certezza che la sua morte sia legata alla sua presa di posizione riguardo al caso. Una sorte che potrebbe toccare anche ad Asia se rilasciata e alla sua famiglia, che da tempo vive in un luogo sicuro protetta dalla «Renaissance Education Foundation» di Lahore che ha offerto cura e accoglienza, curando anche l’istruzione dei suoi figli. Alle minacce di talebani e altri fanatici si sono infatti aggiunte le richieste per una sua rapida esecuzione e persino una taglia, offerta dagli estremisti a chi la ucciderà.



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 I CRISTIANI IN PAKISTAN –

Asia viveva in un villaggio a circa 40 chilometri da Lahore, nel Punjab, e la sua famiglia era l’unica a professare la religione cristiana. L’alterco con le vicine sarebbe nato dal fatto che Asia si sarebbe dissetata usando un bicchiere comune e quindi «contaminandolo» in quanto cristiana. Da lì è nata una lite nella quale Asia avrebbe detto che non prega Maometto: tanto è bastato per farle ricevere una condanna a morte. In realtà il pretesto della blasfemia è più frequentemente usato per liberarsi di qualche persona sgradita che per perseguitare i cristiani, modesta minoranza in Pakistan e per di più di solito al di sotto di possibili invidie, visto che per lo più ai cristiani è concesso occuparsi solo di lavori modesti e poco remunerati. Anche in questo caso c’è il sospetto che l’accusa nasconda altro, visto che la famiglia dell’accusatrice e quella di Asia avevano in passato avuto una lite a proposito della proprietà di un terreno.

LA BLASFEMIA È UN PRETESTO –

L’accusa delle vicine aveva provocato un pogrom, dal quale Asia e la sua famiglia sono stati salvati dalla polizia, ma solo per finire prima sotto accusa e poi condannata all’impiccagione dal tribunale locale. Il grande rumore attorno al caso ha poi spinto la corte di Lahore a decretare che Asia non potrà godere del perdono presidenziale, opzione ventilata dall’ex presidente Zardari e ora comunque molto meno probabile con il suo successore, a capo di un partito d’ispirazione islamica. Asia non può nemmeno liberarsi dall’accusa com’è possibile ai musulmani, i quali possono dichiarare il loro amore per il Profeta e rimediare.

LE ULTIME SPERANZE –

Resta solo la Corte Suprema, ma intanto sono passati cinque anni e Asia li ha trascorsi in prigione, c’è voluto un anno solo perché fossero formalizzate le accuse e per di più in prigione Asia è tenuta separata dalle altre detenute perché in passato altri accusati di blasfemia sono stati aggrediti e uccisi in prigione.

A nulla sono valsi gli appelli internazionali e le pressioni di diversi governi, il Pakistan continua a dichiarare di aver fiducia nel suo sistema giudiziario e nel fatto che riuscirà a correggere una sentenza che sembra abnorme anche a buona parte dei sostenitori della legge contro la blasfemia.

A nulla sono serviti gli appelli internazionali e a  poco servirà probabilmente anche l’impegno del Papa, che oggi ha ricevuto il marito di Asia. Ashiq Masih e la figlia più piccola dei due, Eisham, spendendo parole di conforto e un appello in favore di Asia. Stessa probabile sorte per l’impegno del governo italiano, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ricevuto la famiglia reduce dalla visita papale e ha promesso pressioni sul governo d’Islamabad.

La famiglia proseguirà poi per un tour europeo organizzato dalla «Renaissance Education Foundation» per sensibilizzare i parlamenti di altri paesi, ma è abbastanza evidente che dopo 5 anni nei quali sono andati a vuoto persino gli appelli giunti da Washington, generoso sponsor del Pakistan, la via per la salvezza di Asia Bibi non passerà per gli appelli degli uomini di stato o di quelli di buona volontà.