Trans-Pacific Partnership, adesso c’è il quadro completo

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Wikileaks pubblica l'ultima parte delle bozze dell'accordo tra i paesi del Pacifico e si scopre un dettaglio che per ora ne fa carta straccia

Se la bozza del famigerato accordo denominato Trans-Pacific Partnership (TPP) rimarrà com’è, non potrà essere recepita dal Congresso americano. È questa la conseguenza più significativa, che ne determinerebbe la morte, che si può trarre dalla lettura della parte dell’accordo relativa alla protezione dell’ambiente.



IL TPP AL BUIO – Gli Stati Uniti stanno negoziando in gran segreto due accordi commerciali gemelli con i paesi che s’affacciano sul Pacifico (TPP) e sul’Atlantico (TFTA). La necessità i accordi del genere è dubbia, anche perché percorrono materie già oggetto dei negoziati della WTO, l’organizzazione mondiale del commercio, che sul tema arranca. La motivazione ufficiale di tanto segreto è che in sua mancanza i negoziati sarebbero turbati da chi ha qualcosa da eccepire, che a ben vedere è una motivazione bizzarra, trattandosi della discussione multilaterale di accordi commerciali che coinvolgono numerosi governi e che di conseguenza impatteranno sulle vite di miliardi di persone, che in questo modo non avranno alcuna voce in capitolo, se non a cose fatte o quasi.



SERVE WIKILEAKS – Ancora più curioso è che questi negoziati si svolgano tenendo all’oscuro i legislatori e che per lo più si svolgano tra gli avvocati e i rappresentanti delle grandi corporation, garantendo così la rappresentanza dei loro interessi e, nemmeno per sbaglio, di quelli collettivi. Se c’è bisogno di Wikileaks per venire a sapere la direzione che stanno prendendo questo genere d’accordi, abbiamo evidentemente un problema di trasparenza non da poco.

A COSA SERVE IL SEGRETO – Se, per ammissione di chi ha proposto il segreto, la pubblicità della sostanza delle regole che si stanno discutendo provocherebbe opposizioni e rivolte, è chiaro che il segreto serva semplicemente a perseguire indisturbati degli accordi che magari appaiono perfetti ai negoziatori e a chi rappresentano, ma che sono sgraditi alla maggioranza dei cittadini e probabilmente anche dei parlamentari dei paesi interessati. L’esempio del SOPA, impallinato dal parlamento europeo in fase di ratifica ci conferma che è così e anche nel caso del TPP gli ultimi documento pubblicati da Wikileaks spingono verso la stessa conclusione. E non si tratta di temi esoterici, ma di leggi che sarebbero destinate a regolare internet, i rapporti di lavoro, gli standard per la sicurezza alimentare e ambientale, il prezzo e la disponibilità dei farmaci, la tutela di copyright e brevetti e molto altro ancora. Tutte questioni che nel caso di questi accordi sarebbero definite di nascosto e poi fatte approvare in blocco ai governi, che in quel caso cederebbero buona parte della loro sovranità su quelle materie e si ritroverebbero con i parlamenti impediti a legiferare diversamente o a pagare salatissime penali alle corporation danneggiate dal mancato rispetto degli accordi, che una volta recepiti si andrebbero a sostituire alle legislazioni locali.



SOLO IPOCRISIA PER L’AMBIENTE – La pubblicazione della parte degli accordi relativi all’ambiente e veramente rivelatrice. Se infatti nella prima parte il regime del TPP porterebbe i governi a pagare forti penali se non apriranno i mercati e non onoreranno gli accordi, nella parte che riguarda l’ambiente non c’è traccia di termini, sanzioni o limiti vincolanti. Una corporation potrà far causa a un governo e chiedere i danni per il mancato adempimento degli accordi perché le regole che garantiscono loro la «libertà» di fare affari sono presidiate da previsioni puntuali, termini inderogabili e penali draconiane, ma niente di tutto questo è stato messo a tutela degli impegni sul piano della tutela dell’ambiente.

L’AMBIENTE INDIFESO – Il capitolo sull’ambiente fa sensazione soprattutto per questo, perché alla data della bozza trapelata e risalente al novembre scorsoal Chief Negotiators’ summit a Salt Lake City,  non è possibile trovarvi termini vincolanti, sanzioni pecuniarie o penali r nemmeno l’indicazione di alcuna autorità superiore che ne giudichi l’applicazione, se ci saranno dei contenziosi dovranno essere risolti attraverso la cooperazione delle parti, che ovviamente nel caso di quelle in difetto avranno ben poco interesse a cooperare, tanto sanzioni non ce ne sono. Unica eccezione la fa la pesca, dove le regole ci sono già da anni e che anche nel TPP è fortemente compresa entro regole severe che risolvono la spartizione delle quote di pesca ad evitare futuri contenziosi, ma che per esempio sorvolano sul bando per il commercio delle pinne di squalo. Che in Asia sono richieste per piatti molto apprezzati e che in Occidente invece fanno gridare alla barbarie e allo spreco di risorse faunistiche già scarse perché gli squali sono pescati solo per le pinne e una volta mutiliati sono ributtati in mare. Mancano così limiti per l’inquinamento, la deforestazione e l’uso di sostanze tossiche. In questo caso i negoziatori hanno avuto comprensione per i paesi in via di sviluppo, ai quali costerebbe troppo adeguarsi a certe pretese. Che poi queste eccezioni vadano principalmente a beneficio delle multinazionali, che in quei paesi potranno fare quello che non è loro concesso altrove, spiega il motivo di tanta comprensione.

ANCORA GREENWASHING – I governi di Australia, Nuova Zelanda, Canada, Messico, Cile, Giappone, Singapore, Malaysia, Brunei, Vietnam e Peru, che partecipano a vario titolo ai negoziati sono indicati quindi come l’ostacolo all’impegno dei promotori americani nella tutela dell’ambiente e tutta questa parte dell’accordo per ora si risolve in affermazioni di principio lasciate alla volontà dei partecipanti. Il che è un problema per gli americani più di quanto non possa apparire una accordo che si nei fatti si risolve in un esercizio di greenwashing, tanto per far vedere di preoccuparsi dell’ambiente e fingere di aver preso provvedimenti utili alla sua tutela.

IL PROBLEMA A WASHINGTON – Il problema sta tutto nel fatto che il Congresso statunitense ha fornito la delega per questo genere di negoziati all’amministrazione al tempo di Bush, condizionando però ogni accordo internazionale alla presenza d’accordi per la protezione dell’ambiente che devono essere legalmente vincolanti. Proprio quelli che mancano nel TPP e che il negoziatore in capo per gli americani, un ex manager di Citigroup, dice che saranno quasi impossibili da strappare ai partner.

PER ORA NON PASSANO – Ancora una volta s’assiste quindi al naufragare di questi accordi sulla porta di un parlamento, perché è chiaro che se il TPP non può passare al Congresso, la sua valenza precipita nell’irrilevanza, visto che il senso dell’accordo sembra quello di aprire i mercati dei paesi meno sviluppati agli investimenti e ai commerci delle grandi aziende, per lo più  americane, e di fornire loro un quadro legislativo omogeneo e blindato dalle interferenze dei governi e dei parlamenti, che una volta ratificati gli accordi potranno solo conformarvisi. Un esito che per ora pare ben chiaro ai legislatori, compresi quelli americani, che finora hanno sistematicamente respinto questo genere d’accordi prodotti sottobanco e platealmente sbilanciati a protezione di pochi e ben individuabili interessi e altrettanto incuranti delle conseguenze negative, spesso immediatamente evidenti, che possono avere sulla vita di miliardi di persone. Per ora l’ipotesi che una decina di parlamenti possa ratificare un accordo del genere è del tutto da escludere, ma c’è da star sicuri che i loro promotori non desisteranno per questo, visto che da anni è chiaro che proprio questa è la strada preferita per portare l’assalto neoliberista alla sovranità dei parlamenti su scala globale.