Ustica: una tragedia, troppe verità

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Il racconto dettagliato della tragedia del Dc-9. Le ipotesi valide. E quelle da scartare

In occasione dell’anniversario della tragedia di Ustica ripubblichiamo i quattro articoli che John Battista, debunker di Giornalettismo, ha qui dedicato alla vicenda



Per definizione, la verità è una sola. Sulla tragedia di Ustica ce ne sono almeno tre. C’è unaverità giudiziaria, che ha stabilito cosa non è successo, ma non ha spiegato cosa è successo. Poi c’è unaverità tecnica, dei massimi esperti del settore, che conoscono in pochi. E infine c’è una verità diffusa, la più conosciuta, che piace a scrittori e giornalisti e che parla di battaglie aeree e intrighi internazionali di cui avrebbe fatto le  spese  l’I-TIGI  con il suo carico umano. In questa serie di articoli illustreremo le tre verità e ciascuno potrà scegliere quella che più gli aggrada. Prima, però, è opportuno almeno sintetizzare gli eventi non controversi.

I FATTI – Venerdì 27 giugno 1980, alle ore 19.04, il DC9 matricola I-TIGI della compagniaITAVIA decollato da Palermo atterrava a Bologna. Alle 20.08 l’aereo, volo IH870, con quattro membri di equipaggio e 77 passeggeri ripartiva da Bologna per Palermo con un ritardo cumulato di due ore. Alle 20.31 IH870 raggiunse la quota di crociera assegnata, pari a 29.000 piedi (poco meno di 9000 metri). Alle 20.46 il velivolo scese a 25.000 piedi. Alle 20.58 i piloti comunicavano con la torre di controllo di Palermo e si informavano sulle condizioni meteo locali. Questa fu l’ultima comunicazione radio. Alle ore 20,59 minuti e 45 secondi, il controllo aereo (ATC) di Ciampino riceveva l’ultimo segnale del transponder (l’apparato che consente di seguire e riconoscere un velivolo): l’aereo si trovava tra Ponza e Ustica, a 25.000 piedi, sulla rotta assegnata. Poi i segnali sparirono. Alle 21.04 l’ATC di Palermo tentava invano di mettersi in contatto con il volo IH870. Venivano diramate le ricerche e la mattina seguente un elicottero individuava una chiazza oleosa. Sull’area convergevano decine di navi e aerei che recuperavano 38 salme intere e i resti di una 39a persona, rottami ed effetti personali. Sette salme furono sottoposte ad autopsia, scelte tra quelle “che presentavano scarse lesioni esterne“. L’ipotesi iniziale fu quella del cedimento strutturale. Difatti i medici legali sottoposero ad autopsia solo sette corpi, peraltro quelli in migliori condizioni, e nessuno pensò di verificare l’identità dei passeggeri del volo precedente. Quest’ultima informazione fu persa per sempre perché l’ITAVIA non aveva un proprio archivio informatico e si avvaleva di una banca dati della British Airways la quale – seguendo la propria prassi – distrusse i dati un anno dopo. Le difficoltà economiche in cui versava l’ITAVIA fecero pensare a carenze sul piano dei controlli di sicurezza e della manutenzione. Provvedimenti giudiziari e amministrativi costrinsero la compagnia a chiudere i battenti.



FALSE VERITA’, IPOTESI E STRANE COINCIDENZE – Il 28 giugno al Corriere della Sera giungeva una telefonata di rivendicazione dei NAR nella quale si sosteneva che il DC9 era andato distrutto per l’esplosione accidentale di una bomba trasportata a bordo del velivolo da Marco Affatigato, un eversivo di estrema destra, latitante. La rivendicazione si rivelò infondata: Affatigato era vivo e vegeto e non risultava tra i passeggeri. Il 18 luglio un cacciaMIG-23 delle forze aeree libiche si schiantò su un rilievo montuoso nei pressi di Castelsilano, in Calabria. Alcuni abitanti della zona testimoniarono di aver visto l’aereo sparire tra le montagne e di aver udito lo schianto. Il relitto fu raggiunto e recuperato assieme alla salma del pilota. L’autopsia, eseguita alcuni giorno dopo, confermò che la morte del militare risaliva al 18 luglio. Una commissione tecnica congiunta italo-libica concluse – anche grazie all’esame della “scatola nera” del velivolo – che il MIG era precipitato la mattina del 18 luglio, forse a causa di un malore del pilota che non aveva tentato di lanciarsi. L’aereo era disarmato. Le prime voci che la tragedia fosse stata provocata da una causa esterna (collisione in volo o missile) apparvero già nel corso delle operazioni di recupero e soccorso, quando furono rinvenuti rottami che appartenevano ad altri velivoli e navi (invero il Mediterraneo è pieno di queste “reliquie”). Ma a sostenere con forza che I-TIGI era stato abbattuto da un missile fu il presidente dell’ITAVIA, Aldo Davanzali, alla fine del 1980. Per queste dichiarazioni, non suffragate da alcun riscontro Davanzali ricevette una comunicazione giudiziaria con l’accusa di diffondere notizie false e tendenziose. Tuttavia la teoria di una misteriosa battaglia aerea nella quale era coinvolto il MIG-23 precipitato in Calabria e che aveva provocato l’abbattimento dell’I-TIGI per un tragico errore iniziò a farsi strada tra i media e a raccogliere consensi.



LA PRIMA INCHIESTA TECNICA – La commissione ministeriale presieduta da Carlo Luzzatti, dirigente ENAC, consegnò il suo rapporto nel marzo del 1982, ma già da mesi i media avevano pubblicato informazioni sul suo contenuto e in particolare il fatto che era stata esclusa l’ipotesi del cedimento strutturale. In effetti il rapportoescludeva anche l’ipotesi di collisione in volo, perché i radar non avevano rilevato altri aeromobili in rotta di collisione con il DC9. Le conclusioni della commissione furono che l‘aereo era andato perduto a causa di un evento esplosivo, ma che non era possibile stabilire se si trattasse di bomba o missile. A quel punto appariva necessaria un’indagine che stabilisse con precisione cause e responsabili, ma occorreva recuperare i resti dell’aereo, disseminati sui fondali del Tirreno a una profondità di circa 3500 metri. Qualche mese più tardi il Ministro dei Trasporti propose un disegno di legge per autorizzare la spesa, che però si arenò in Parlamento. Nell’ottobre del 1982 i periti dell’Aeronautica Militare rilevarono la presenza di tracce di esplosivo T4 su alcuni dei reperti. La circostanza corroborava le precedenti considerazioni esposte dai periti inglesi del RARDE, tra le massime autorità in materia di esplosivi, secondo cui alcuni rottami presentavano i segni tipici dell’esplosione di un ordigno nella cabina passeggeri. Il T4 è solitamente indicato come un esplosivo tipico delle testate militari (e quindi dei missili) ma spesso si omette di precisare che altro non è che il ben più noto C4 (comunemente noto come “plastico”). Difatti il C4 è la forma plastica, malleabile, del T4. Ai primi del 1984 la Procura di Roma formalizzò il passaggio dell’inchiesta da incidente a strage aprendo così l’indagine giudiziaria vera e propria. Nel 1987 fu finalmente avviata la prima campagna di individuazione e recupero dei resti dell’aereo, affidata alla francese Ifremer. Le operazioni si conclusero l’anno seguente e consentirono di recuperare i rottami di circa metà dell’aereo, fra cui il registratore delle voci in cabina (CVR), fermo alle ore 20.59 e 51 secondi. I rottami furono trasportati e assemblati in un hangar a Capodichino. Nel 1991 una seconda campagna fu affidata alla inglese Winpol, consentì di recuperare ulteriori resti portando il totale a oltre l’80 % del velivolo, compresa la seconda “scatola nera che registra i dati di volo. Nel 1989 il giudice istruttore Rosario Priore concludeva l’inchiesta penale prospettando la tesi che un aereo (probabilmente il MIG-23) si nascondeva nella scia del DC-9 ed era stato intercettato da caccia militari. L’intruso tentava la fuga passando così vicino al DC-9 da provocarne il cedimento strutturale. Concludeva di “non doversi procedere in ordine al delitto di strageperché ignoti gli autori del reato” e rinviava a giudizio alcuni ufficiali dell’Aeronautica Militare per aver nascosto i fatti e manomesso le prove. Nel processo, in Corte d’Assise, tutti gli imputati venivano assolti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, o prosciolti per prescrizione. Nel processo d’appello, tutti gli imputati venivano assolti perché il fatto non sussiste. Nel 2007 la Cassazione confermava le assoluzioni.

LO SANNO TUTTI – Lo sanno tutti: il DC-9 di Ustica fu abbattuto da un missile. Americano. E’ la verità diffusa, quella che tutti conoscono e ripetono, quella che i militari hanno nascosto. Ci fu una battaglia aerea sul Tirreno, il 27 giugno del 1980. Caccia americani tentarono di intercettare un MIG-23 libico che si nascondeva dietro l’aereo dell’Itavia, che fu colpito per errore da un missile. Il MIG fu raggiunto e abbattuto, e si schiantò in Calabria. I militari coprirono ogni cosa: distrussero i nastri radar, fecero credere che il MIG fosse precipitato tre settimane più tardi, eliminarono uno a uno i testimoni del misfatto, eressero il “muro di gomma“. I pilastri di questa verità diffusa sono tre: le inchieste giornalistiche, la sentenza ordinanza del giudice Priore, le perizie tecniche di parte civile.
Partiamo dal primo. Numerosi giornali hanno pubblicato sensazionali rivelazioni e testimonianze. Per esempio l’Ora: “La tragedia di Ustica fu causata da una battaglia aerea fra due Tomcat americani e il Mig 23 libico precipitato sui monti della Sila. Non è forse tutta la verità, ma è certo la verità. Parla per la prima volta G.S. un maresciallo ora in pensione addetto al controllo del traffico aereo sui confini dei Paesi alleati, in servizio quella notte del 27 giugno 1980…” Ma sono stati soprattutto i libri e i servizi di Andrea Purgatori, giornalista per il Corriere della Sera, a svelare i mille misteri di quel giorno. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, dalle pagine del prestigioso quotidiano si sono dispiegate le sue sconvolgenti verità (qualche volta in contraddizione tra loro):
– “Macchè cedimento strutturale. Quella sera si sono alzati due dei nostriper andare a intercettare due Mig libici su Ustica” (fonte: anonimo colonnello della base aerea di Grosseto), 3 marzo 1992;
– “C’è mancato poco che scoppiasse la guerra” (fonte: la cognata di Dettori, radarista di Poggio Ballone morto suicida), 3 marzo 1992;
-”Qualcuno è addirittura riuscito a metter le mani in una cassaforte del “bunker” in cui lavora il giudice istruttore Rosario Priore…. L’incursione è stata scoperta da una donna delle pulizie, che di primo mattino ha trovato sotto una cassettiera alcuni fascicoli relativi al processo…“, 31 marzo 1992;
-”Mi telefonò a casa un paio di giorni dopo la strage di Ustica: … Sono Dettori… Comandante,siamo stati noi a tirarlo giù…” (fonte: Mario Ciancarella, ex capitano espulso dall’Aeronautica per insubordinazione), 17 aprile 1992;
-”La notte della strage di Ustica… la portaerei Saratoga lasciò la rada del porto di Napoli per alcune ore e fece rotta verso il mare aperto per compiere una esercitazione“, 18 novembre 1992;
-”Risulta che il DC9 italiano è stato abbattuto con un missile da un aereo della Marina militare degli Stati Uniti” (capitano del servizio segreto sovietico GRU Anatolij Ivanov), 19 gennaio 1993;
-”Vidi il missile USA colpire il DC9” (sedicente colonnello del KGB Alexej Pavlov), 4 marzo 1993;
-”Due missili aria-aria hanno centrato il DC9 Itavia…afferma Robert Sewell… per 36 anni specialista del centro di ricerca missilistica della US Navy“, 29 giugno 1993;
-”La pagina del “registro operazioni” del centro radar della Difesa aerea di Marsala con i dati del 27 e 28 giugno 1980 fu tagliata, distrutta e poi riscritta….“, 14 ottobre 1995;
-”Il 27 giugno del 1980 il DC9 Itavia…. fu abbattuto (81 morti) per errore da un missile nel corso di un duello aereotra caccia americani e libici…. la decisione di nascondere tutto… fu presa dall’allora presidente del Consiglio, Francesco Cossiga. Questa e altre “verità” sono contenute nell’archivio…. sequestrato alla vigilia di Natale nell’abitazione del generale Demetrio Cogliandro, ex capo del controspionaggio del Sismi“, 5 gennaio 1996;
-”L’aereo di Gheddafi in volo nel cielo del Tirreno, finti caccia libici che devono intercettarlo e abbatterlo nel quadro di un’operazione segreta, la scorta del colonnello che reagisce, caccia americani e francesi che si alzano in volo e poi il duello inquadrato dai radar della nostraDifesa aerea. Il DC9 Itavia, decollato con due ore di ritardo da Bologna e diretto a Palermo con 81 persone a bordo, si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. E’ un missile (francese) che lo centra, mentre un Mig libico viene colpito e finisce sulle montagne della Sila. I particolari contenuti nelle 15 schede sulla strage di Ustica compilate da Demetrio Cogliandro, ex capo del controspionaggio del Sismi, ricostruiscono un vero scenario di guerra, attribuiscono all’allora presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, la decisione di nascondere la verità…“, 6 gennaio 1996;
-”Il pilota del Mig libico si autoaccusò per Ustica: Io sottoscritto pilota… colpevole dell’abbattimento e della morte di tanti…. Enrico Milani, siriano di nascita, cittadino italiano e interprete del controspionaggio militare, ha raccontato al giudice istruttore Rosario Priore di aver letto per la prima volta quelle parole il 19 luglio 1980 nel quartier generale del Sios Aeronautica“, 27 giugno 1997;
-”Un primo caccia nascosto nella scia del DC9 Itavia, un secondo caccia in rotta di collisione (di attacco?), tutti gli altri velivoli militari inquadrati dalle basi della Difesa aerea italiana nelle ore a cavallo del momento dell’esplosione con il sistema d’identificazione spento“, 11 dicembre 1997.

QUANTI ERANO SULLA ROTTA DEL DC9? – Insomma, la verità di Purgatori è netta: battaglia aerea. Sulla responsabilità c’è un certo margine di scelta:americani, libici, francesi… con supertestimone allegato a ciascuna ipotesi. Ma c’è anche chi parla di un altro scenario,il quinto (!): “C’è un quinto scenario… che sul piano delle responsabilità dirette assolve italiani, americani, francesi e libici…. ad abbattere il DC9 Itavia in volo tra Bologna e Palermofurono gli israeliani. Per la precisione una squadra mista di cacciabombardieri e intercettori Phantom F 4 e Kfir o A 4, Boeing 707 attrezzati per assistenza radar e con funzioni di guidacaccia e Boeing 707 cisterna per rifornimento in volo. Obiettivo dell’operazione segreta… doveva essere un Airbus 300 cargo dell’Air France con un carico di 12 chili di uranio 235 destinati all’Irak. Ma l’aereo non decollò quella sera da Marsiglia. Nel punto previsto per l’attacco gli israeliani trovarono invece il DC9 civile, casualmente partito con due ore di ritardo. E fu l’errore. La strage. Eccolo Il quinto scenario. La ricostruzione della possibile verità sull’affaire Ustica che Claudio Gatti, corrispondente dell’Europeo da New York, ha scritto per Rizzoli assieme alla moglie Gail Hammer“. Tutti questi scenari hanno un certo grado di verosimiglianza e sono ancor più avvincenti dei romanzi di Tom Clancy, ma il più gettonato resta quello del missile americano. Ad esempio la Pravda, riportando un testo pubblicato su Disinformazione.it, scrive serenamente che: “Il 27 giugno del 1980 esplose nel cielo di Ustica un DC-9 diretto da Bologna a Palermo, e 81 persone morirono. Era accaduto che i servizi segreti americani avevano appreso che Gheddafi avrebbe volato sui cieli italiani con il suo aereo personale, e avevano deciso di colpirlo. Ma il presidente libico non era su quell’aereo e i missili americani abbatterono anche l’aereo italiano“. Poi c’è il secondo pilastro, la sentenza ordinanza emessa dal Giudice Priore nel 1999 (unico atto giudiziario presente nella sezione documenti dell’Associazione dei Parenti delle Vittime).

Anche se tutti credono che Priore abbia avvallato l’ipotesi del missile, ben pochi sanno che le sue conclusioni furono di ben diverso tenore, e cioè che quella sera alcuni caccia tentarono di intercettare un velivolo intruso che si nascondeva nella scia del DC9. Scoperto, l’intruso accelerò bruscamente per fuggire, e fu la turbolenza creata da questa manovra a provocare la distruzione strutturale del DC9 Itavia. Infine, c’è il pilastro delle perizie di parte civile, e in particolare quella del perito Luigi Di Stefano, che sull’argomento ha scritto un libro e ha creato un sito Webed è il più acceso sostenitore della teoria del missile.Anche la perizia del Di Stefano è singolare. Il perito prima considera: “E` possibile che intorno al DC9 Itavia si sia svolta una battaglia aerea senza che sui nastri dei radar militari e civili ne sia rimasta traccia?Ovviamente no…Ma i nastri militari sono stati manipolati? La risposta è “no“. Nessuno ha cancellato niente” e poi teorizza l’azione di un qualche sistema elettronico che avrebbe ingannato i radar producendo tracce alterate per giungere alla conclusione che il velivolo Itavia fu colpito da due missili. Ma se le inchieste giornalistiche hanno fornito teorie così contraddittorie (con tanto di supertestimoni che spergiurano una loro verità), se il giudice Priore ha sentenziato in favore di una destrutturazione conseguente alla turbolenza indotta da un velivolo intruso, se perfino i periti di parte civile esclusero che i nastri radar furono manipolati e ammisero che non mostravano tracce di battaglie aeree… com’è possibile che laverità diffusa, basata proprio su queste fonti, si sia consolidata sulla teoria che il DC9 fu abbattuto da missili americani durante uno scontro aereo? Eppure, cosi è. Se vi pare.

LE SENTENZE – Sono in tanti a pensare che la “sentenza Priore” abbia stabilito che la tragedia di Ustica fu causata da un missile sparato nel corso di una battaglia aerea, e che i militari dell’Aeronautica depistarono le indagini e distrussero le prove, che alcuni di essi furono identificati e condannati in primo grado, e che in qualche modo, fra appelli e prescrizioni, come spesso capita, se la siano tutti cavata senza aver fatto un giorno di galera. E invece i fatti sono radicalmente diversi. Per cominciare, è bene rammentare che il processo di Ustica fu condotto in base alle norme del vecchio codice di procedura penale e non del nuovo (entrato in vigore nel 1988), ossia con un processo di tipo “inquisitorio”. Priore era il giudice istruttore (una figura non più esistente nel moderno processo penale) , ossia il magistrato incaricato di “istruire” il processo e di “passarlo” poi all’organo giudicante, che in quel caso era la Corte d’Assise. Priore non poteva stabilire chi fosse colpevole e chi no, ma poteva soltanto decidere se esistevano elementi sufficienti a imbastire un processo contro uno o più imputati, che in tal caso sarebbero stati “rinviati a giudizio”. Anche oggi esiste il “rinvio a giudizio”, al termine di un’udienza preliminare condotta da un giudice, il GUP. Ma la differenza sostanziale è che il GUP non istruisce il processo e di regola non assume prove: la vecchia fase di “istruttoria” è sparita, spetta all’organo giudicante ammettere, assumere e valutare le prove. Ciò garantisce la massima imparzialità del giudice che non è influenzato dall’attività svolta dal giudice istruttore. Quella di Priore non fu, quindi, una sentenza di primo grado, ma fu semplicemente una sentenza-ordinanza procedimentale: con essa si disponeva l’archiviazione in ordine al delitto di strage perchè “ignoti gli autori del reato” ed il rinvio a giudizio di alcuni generali, ufficiali e sottufficiali dell’Aeronautica con varie imputazioni connesse al tradimento nei confronti della Costituzione e al depistaggio. A monte di questo dispositivo di sentenza-ordinanza, Priore poneva la tesi che il DC9 fosse stato distrutto nel corso di un’azione militare in cui aerei militari (americani, italiani, NATO) avevano intercettato un altro velivolo militare (il MIG-23 rinvenuto in Calabria il 28 luglio) che si nascondeva nella scia dell’aereo ITAVIA. Questa tesi era inserita un contesto internazionale estremamente complesso, nel quale Priore innestava una serie di considerazioni a dir poco “personali (si va dal Re di Prussia a Pearl Harbor passando per la guerra tra Libia e Chad). Dato che al di là di tanti costrutti più o meno fantasiosi, prove non ce n’erano, la teoria era che le prove erano state distrutte o nascoste dai militari.Di qui le imputazioni del rinvio a giudizio.

OPERAZIONI DI DISINFORMAZIONE – La Corte d’Assise non condannò nessuno e non avvallò gli scenari proposti dal giudice istruttore, in quanto privi di fondamento. Rilevò che solo due degli imputati si erano resi responsabili di non aver riferito alcune informazioni o di aver riferito informazioni errate alle autorità politiche ma il reato di alto tradimento che poteva ricollegarsi a questa condotta si era prescritto per cui non potevano essere condannati. E assolse con formula piena tutti gli altri imputati. E’ importante sottolineare chela Corte d’Assise non rilevò che gli ufficiali avessero mentito ai propri superiori o all’Autorità Giudiziaria, ma semplicemente che omisero di riferire alcune informazioni o riferirono informazioni errate all’autorità politica. Se ne deduce che i militari non mentirono né nascosero nulla ai giudici: non ci fu “depistaggio”. Difatti, l’abusata convinzione che i militari dell’Aeronautica “fecero sparire” i nastri di alcune postazioni radar è del tutto erronea. Come lo stesso giudice Priore ebbe a documentare nella sua istruttoria e a riferire innanzi alla Commissione Stragi, non è affatto vero che i militari nascosero o distrussero i nastri. Era invece successo che il provvedimento con cui la Procura di Palermo disponeva il sequestro dei nastri originali era generico e parlava semplicemente di “registrazioni delle intercettazioni dei radar militari comunque operanti sul Mar Tirreno nella notte tra venerdì 27 giugno e sabato 28 giugno 80, tra le ore 20.00 e le ore 23.15”. I Carabinieri, incaricati del sequestro, ritennero che ai giudici interessassero in effetti i nastri dei radar che coprivano la zona in cui era avvenuto il disastro,per cui non procedettero ad alcun sequestro presso i siti radar che non coprivano quell’area. Quando, ben 10 anni dopo, i magistrati romani tentarono di recuperare quei nastri, ormai non c’era più nulla da fare: le norme in vigore nel 1980, infatti, prevedevano che i nastri radar del controllo aereo fossero distrutti (o meglio riciclati) dopo 30 giorni. Dato che nessuno glieli aveva chiesti, i militari dell’Aeronautica non avevano ragione di conservarli e violare le norme. Quindi, se c’era da prendersela con qualcuno, i magistrati avrebbero dovuto prendersela con i Carabinieri che essi stessi avevano delegato, non certo con l’Aeronautica Militare.  Ma in ogni caso, quei nastri non erano importanti come qualcuno ha voluto sostenere: quei radar non battevano (o battevano marginalmente) la zona interessata dalla famigerata battaglia aerea e per di più furono rintracciati e recuperati i tabulati cartacei che riproducevano quelle registrazioni.

NULLA DI FATTO – La sentenza della Corte d’Assise d’Appello del 2005 demoliva definitivamente ogni residuo sospettosui due ufficiali che in primo grado erano stati prosciolti per prescrizione e sulla teoria della battaglia aerea. La Corte appurava che nessuno aveva mai manipolato i nastri radar (e su questo hanno concordato tutti i tecnici che li hanno esaminati, anche quelli di parte) e che le registrazioni dei radar dimostravano che non c’erano altri aerei in volo nell’area oltre allo sfortunato DC9. Le conclusioni della sentenza sono estremamente illuminanti: “tutti gli aerei militari italiani erano a terra… i missili di dotazione italiana erano nei loro depositi… gli aerei militari alleati non si trovavano nella zona del disastro… nell’ora e nel luogo del disastro non vi erano velivoli di alcun genere. Tutto il resto è fantapolitica o romanzo che potrebbero anche risultare interessanti se non vi fossero coinvolte ottantuno vittime innocenti. In linea del tutto teorica è possibile che i fatti si siano svolti come li ha ritenuti il giudice di primo grado ma sulle ipotesi non possono costruirsi sentenze di condanna. Le stesse ipotesi (si sottolinea ipotesi e non certezze) dell’abbattimento dell’aereo ad opera di un missile o di esplosione a bordo non hanno trovato conferma dato che la carcassa dell’aereo non reca segni dell’impatto del missile e, nel caso della bomba all’interno dell’aereo, bisogna ritenere che l’ignoto attentatore fosse a conoscenza del dato che l’aereo sarebbe partito da Bologna con due ore di ritardo… Tutto il resto, non essendo provato, è solo frutto della stampa che si è sbizzarrita a trovare scenari di guerra… fino a cercare di escogitare un (falso) collegamento con la caduta di un aereo MIG di nazionalità libica avvenuto in data successiva”. I due ufficiali, già prosciolti per prescrizione, venivano assolti (peraltro si accertò che uno dei due si trovava addirittura all’estero al momento dei fatti e nemmeno volendo avrebbe potuto depistare l’autorità politica)per inesistenza del fatto. La sentenza è stata poi definitivamente confermata in Cassazione. La verità giudiziaria, quindi, è che non c’è stata alcuna battaglia aerea e che in ogni caso nessun aereo italiano o di paesi alleati o di altri paesi era in volo; che non c’è alcuna traccia di un missile; che è improbabile l’attentato con una bomba; che gli ufficiali e sottufficiali dell’Aeronautica Militare non hanno mai depistato o nascosto alcunché. Insomma, in questo caso la verità giudiziaria è una verità in negativo: spiega quello che NON è successo. Ma allora, cosa è successo? Vediamo le ipotesi.


IL CORPO DEL PILOTA DEL MIG-23 – Partiamo subito dal MIG-23, il caccia libico precipitato in Calabria il 18 luglio del 1980 e che secondo la teoria della battaglia aerea sarebbe stato in realtà abbattuto il 27 giugno. L’Ufficiale Sanitario di Castelsilano, il paese in prossimità del quale precipitò il caccia libico la mattina del 18 luglio, ha certificato che il decesso è avvenuto alle ore 11.30 di quel giorno e ha attestato che il cadavere si trovava in “incipiente stato di decomposizione”, ossia in fase iniziale di decomposizione. La perizia autoptica fu effettuata il 23 luglio da un professore patologo e un primario di medicina legale dell’Ospedale di Crotone che attestarono: “la morte si può far risalire a cinque giorni prima e cioè al venerdì 18 luglio 80”. Anni dopo, i due periti sostennero di aver prodotto una “memoria aggiuntiva” nella quale retrodatavano la morte di almeno quindici giorni, ma questa memoria non è mai stata trovata né essi ne hanno prodotto una copia. Per questa ragione nel 1989 la Commissione Stragi dispose un’altra perizia affidata a due professori esperti, i quali analizzarono le rilevazioni dei medici di Crotone e conclusero che esse confermavano che la morte risaliva al 18 luglio 1980. Il Tribunale di Crotone, con sentenza del 6 marzo 1989, accertava che la “memoria aggiuntiva” non è mai esistita.

IL MIG-23 –  Dagli atti esaminati dalla commissione italo-libica e dall’esame della scatola nera risulta che il caccia libico decollò da Bengasi alle ore 09:54 italiane del 18 luglio e ha volato per circa 80 minuti. Al contrario di quanto si racconta, i radar della difesa aerea situati a Otranto videro il MIG-23 e lo tennero agganciato per gli ultimi minuti di volo. Chiarito che i rilievi tecnici lasciano pochi dubbi sulla data in cui è precipitato il MIG-23, veniamo adesso al 27 giugno e al DC9 Itavia.

I RADAR – Furono acquisiti nastri e registrazioni di vari siti radar, tra i quali Ciampino, Marsala, Licola, Poggio Ballone. Tutti i periti hanno concordato che questi dati non sono stati manomessi. I dati radar mostravano che nell’area del disastro non c’erano altri velivoli tranne il DC9 Itavia e un volo civile Air Malta sulla stessa rotta ma distanziato di circa 10 minuti (circa 150 km). Solo uno dei radar, un sistema Marconi di vecchio modello, aveva registrato anche altri contatti classificati dai radaristi come falsi contatti. I periti della difesa confermavano che si trattava di falsi contatti, sulla base di varie considerazioni: i segnali erano sporadici e sparsi, ben diversi dalla serie progressiva e continua lasciata da un velivolo reale; lo stesso tipo di anomalie si rinveniva nelle altre registrazioni dello stesso radar Marconi relative ad altri momenti; i contatti erano assenti nelle registrazioni dei radar di modello più recente. I periti dell’accusa sostennero invece che alcuni di quei segnali (il numero 17 e il numero 12) erano compatibili con la rotta di un aereo che aveva volato parallelo al DC9 per poi attaccarlo e allontanarsi.

I ROTTAMI – Le perizie hanno accertato la presenza di tracce di esplosivo del tipo C4/T4 su alcuni rottami, e in particolare su frammenti e schegge recuperati da cuscini e schienali, nonché su alcuni bagagli. In tutto sono stati recuperati oltre 1000 piccoli frammenti e schegge infilzati negli schienali e nei cuscini della cabina passeggeri. La velocità di penetrazione di questi frammenti è stata calcolata nell’ordine di centinaia di metri al secondo. Sono state rilevate, su alcuni bagagli, evidenti tracce della microfusione tipicamente provocata da esplosioni. Il registratore di voci in cabina ha memorizzato un impulso acustico 2 decimi di secondo prima della completa interruzione di tutti i circuiti elettrici. Alcuni cadaveri erano stati completamente denudati dalla forza dell’esplosione. Non è stato ritrovato alcun frammento o scheggia che non appartenga all’aereo o ai suoi passeggeri e in particolare non sono state ritrovate schegge attribuibili a una testata missilistica. I periti dell’accusa hanno comunque sostenuto la possibilità che uno o più missili abbiano attraversato l’aereo senza esplodere o siano esplosi distruggendo l’aereo con la sola forza dello spostamento d’aria senza investirlo di schegge. Altri periti, tra i quali Frank Taylor, tra i massimi esperti mondiali di questo tipo di disastri aerei, ritengono che le evidenze dimostrino senza alcun dubbio che il velivolo andò distrutto per effetto dell’esplosione di una bomba. Le ipotesi possibili, dal punto di vista strettamente tecnico, in termini di pro e contro.

CEDIMENTO STRUTTURALE – L’ipotesi è considerata improbabile, sia perché il velivolo I-TIGI era regolarmente ispezionato e manutenuto, sia perché quel modello di aereo, il DC9, vola da decenni e non ha mai manifestato problemi strutturali. Contro l’ipotesi ci sono poi le elevate velocità di proiezione delle schegge e la presenza di tracce di esplosivo. Alcuni tecnici però non escludono questa ipotesi, considerando che: l’Itavia versava in pessime condizioni finanziarie e questo potrebbe aver determinato carenze nei controlli e nelle manutenzioni; una decompressione istantanea potrebbe ingenerare fenomeni distruttivi e proiezioni simili a quella di un’esplosione; la presenza di esplosivo è stata rilevata in quantità minime e potrebbe essere stata causata dalla contaminazione dei rottami durante il recupero e il trasporto.

ABBATTIMENTO – L’ipotesi dell’abbattimento del DC9 nel corso di una battaglia aerea richiede la soluzione di una serie di problemi. I radar non hanno visto il caccia. Un paio di contatti su un solo radar di vecchio modello non bastano, da soli, a evidenziare la presenza di un velivolo, che dovrebbe lasciare una serie di contatti (tipicamente uno a ogni giro di antenna) su tutti i radar. Al contrario i radar non hanno visto arrivare nessun aereo, né hanno visto allontanarsi nessun aereo. Inoltre un caccia dovrebbe avere un bersaglio, quindi dovrebbe esserci almeno un terzo aereo. Ma non c’è nemmeno quello. Un missile, d’altro canto, investe il bersaglio con centinaia di schegge, che non sono state trovate. I sostenitori di questa ipotesi però giustificano l’assenza di segnali radar adducendo l’impiego di sofisticati sistemi di inganno elettronico, giustificano l’assenza di schegge del missile affermando che il missile non è esploso o è esploso a distanza tale da non investire l’aereo con le proprie schegge. Non spiegano però in che modo un missile inesploso o esploso a grande distanza potrebbe lasciare tracce di esplosivo all’interno dell’aereo.

LA BOMBA – E’ l’ipotesi più accreditata dagli esperti. Spiega le proiezioni delle schegge e dei frammenti a grande velocità all’interno del velivolo, spiega la presenza di esplosivo, si connette alla strage di Bologna avvenuta di lì a poco, si concilia con l’orario dell’esplosione (alle 21 in punto). Contro questa ipotesi, però, giocano la mancanza di una rivendicazione, la circostanza che gli esperti non hanno fornito spiegazioni convincenti in ordine al punto in cui sarebbe stato posizionato l’ordigno, il fatto che l’aereo viaggiava con due ore di ritardo e gli attentatori non potevano prevederlo.

OSCURO INTERROGATIVO – Dopo quasi 30 anni dovremmo dunque accontentarci di questo: ipotesi più o meno verosimili e nessuna certezza. Una realtà desolante nella quale le parole di Frank Taylor (che non fu un perito di parte, si badi bene, ma un perito d’ufficio) suonano amare e sconcertanti: “Concludemmo che il disastro fu provocato… dalla detonazione di un ordigno esplosivo… Concludemmo anche che non potendo determinare con certezza la posizione dell’ordigno, non era possibile calcolarne tipo e dimensioni…. Poco dopo aver consegnato il rapporto di 1280 pagine, alla Commissione Tecnica furono avanzate ulteriori domande che apparentemente intendevano chiarire determinati aspetti. Rispondemmo diligentemente e ci fu un incontro nel novembre del 1994… Ma il nostro rapporto fu giudicato inutilizzabile e nessuno ci fece domande né ci fu data la possibilità di spiegare le nostre conclusioni… Evidentemente il problema non era il rapporto, ma le sue conclusioni. Questa fu l’ennesima dimostrazione che qualcuno, avendo già predeterminato la propria posizione, non era disponibile nemmeno a prendere in considerazione che c’era un’altra spiegazione”.