Brasile: il rapporto sulla tortura durante i 20 anni di dittatura. Roussef si commuove

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Il presidente chiede che l'inchiesta sulle violazioni dei diritti umani durante gli anni dal 1964 all'85 prosegua con i processi ai responsabili

La Comissão Nacional da Verdade (CNV) ha terminato i suoi lavori, durati tre anni, e ha consegnato al presidente del Brasile Dilma Roussef il risultato della sua indagine sulla repressione durante il periodo che è corso dal 1965 al 1984, gli anni della dittatura.



 

La sede del 12° reggimento a Belo Horizonte, uno dei centri nei quali si praticava la tortura

 



VERITÀ E GIUSTIZIA – Argentina, Uruguay e Cile hanno già indagato quello che successe in quel periodo, nel quale tutti questi paesi sudamericani e altri furono soggiogati da dittature d’ispirazione fascista, sostenute dagli Stati Uniti in chiave anticomunista. Un sostegno che è bene ricordare si spinse fino all’esecuzione del Piano Condor.  I tre paesi hanno anche processato e condannato alcuni dei responsabili, una prospettiva che in Brasile appare meno probabile e non solo perché al paese è servito molto più tempo solo per arrivare a istituire la Commissione Nazionale per la Verità. Per ottenere giustizia potrebbe non esserci tempo.

 



 

L’INDAGINE DELLA COMMISSIONE – Commissione composta da sette persone e fortemente voluta dal presidente Roussef dopo che sono trascorsi inutilmente i primi due mandati con il suo Partido dos Trabalhadores (PT) al potere e il presidente Luiz Inácio Lula da Silva che ha mostrato di avere altre priorità. Non così Roussef, che all’epoca finì tra le mani dei torturatori, tra le altre cose appesa a testa in giù e torturata con la corrente elettrica. La commissione non ha avuto vita facile, perché gli archivi militari sono stati distrutti e ovviamente i responsabili sono abbastanza restii a parlare.

CENTINAIA DI CASI PROVATI – La commissione ha così potuto provare solo alcune centinaia di casi su un numero che realisticamente non è azzardato pesare con la misura delle decine di migliaia. Un numero relativamente piccolo di casi che ha comunque consentito di concludere per l’esclusione della teoria delle «poche mele marce» e nel certificare che la repressione fu istituzionalizzata, diffusa, e brutale come già accertato anche nelle nazioni vicine. Il rapporto, agghiacciante in molte delle sue sezioni, esaurisce i lavori della commissione, che non ha competenze giudiziarie e si conclude con una serie di raccomandazioni, su tutte quella di annullare o ignorare l’amnistia che si era data nel 1979 lo stesso regime sostenuto dai militari. Posizione condivisibile anche in punta di diritto, perché i crimini contro l’umanità sono imprescrittibili, così come la tortura.

LA COMMOZIONE DI ROUSSEF – Presentandolo al paese Dilma Roussef, altrimenti conosciuta come una lady di ferro tempratissimo, si è commossa. Quelle pagine raccontano e ricordano le vite e spesso la morte di molte persone conosciute dalla stessa presidentessa del Brasile, che è stata a lungo in prima fila nella lotta ai regimi anticomunisti, anche in qualità di loro vittima, essendo attiva nei ranghi di una formazione d’ispirazione marxista.

 

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ERA LA POLITICA DELLO STATO – Il rapporto afferma che:  «Sotto le dittature militari, la repressione e l’eliminazione dell’opposizione politica diventò la politica dello stato, concepita e messa in atto in seguito a decisioni del presidente della repubblica e dei ministri militari» e per questo la Commissione «quindi respinge assolutamente la spiegazione offerta fino a oggi, secondo la quale le gravi violazioni dei diritti umani costituirono pochi atti isolati o eccessi derivanti dallo zelo di pochi soldati». Tra le violazioni sottolineate dal documento, spiccano la pratica sistematica delle detenzioni arbitrarie e della tortura, così come delle esecuzioni stragiudiziali, delle sparizioni dei vivi e l’occultamento dei cadaveri delle vittime. Il rapporto conferma 191 uccisioni e 210 sparizioni per mano delle autorità militari, più 33 «desaparecidos» dei quali in seguito si sono ritrovati i resti.

PER I VIVI E PER I MORTI – A Roussef che presentava il rapporto, la folla presenta ha tributato una standing ovation dopo che si è commossa al punto da dover brevemente interrompere il discorso per ricacciare le lacrime mentre diceva che «il Brasile merita la verità. Le nuove generazioni meritano la verità. E più di tutto, quelli che meritano la verità sono quanti hanno perso dei familiari, amici, compagni e continuano a soffrire come se ciascuno morisse ancora ogni giorno. Noi, che crediamo nella verità, speriamo che questo rapporto contribuisca a fare in modo che i fantasmi di un passato triste e spaventoso, possano finalmente trovare riposo nel silenzio».

QUELLI CHE NON SONO D’ACCORO – Le conclusioni della Commissione non hanno trovato d’accordo il Superior Tribunal Militar (STM), che ha divulgato una nota nella quale sostiene che non è vero che la magistratura militare sia stata strumento della dittatura e che anzi fu l’unica ad opporvisi. Una posizione che non ha grandi riscontri, ma il Tribunale Militare Superiore dice anche di non essere d’accordo con la raccomandazione di eliminare la sua giurisdizione sui civili, una «anomalia sopravvissuta alla dittatura militare» secondo la Commissione, che per i giudici militari non solo non è tale, ma sarebbe addirittura una garanzia per i civili sottoposti a giudizio nelle corti militari.