La vita nascosta degli arabi gay

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Viaggio attraverso l’omofobia che ancora caratterizza molti paesi del Vicino e Medio Oriente



Coperta, condannata e perseguitata, l’omosessualità esiste nei Paesi arabi. I gay e le lesbiche di questi Paesi sono costretti spesso ad una doppia vita, e in poche città di questa regione possono esprimere la loro vera personalità. La legge, la religione e la morale disapprovano chi ama persone dello stesso sesso, e la società araba, basata su rapporti familiari molto più intensi di quella occidentale, si rivela un blocco per chi vorrebbe vivere serenamente la propria vita, ma è invece destinato a nascondere ciò che veramente è.

VIAGGIO NEL VICINO ORIENTE – Il quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung ha realizzato un approfondito reportage sulle comunità LGBT che vivono in alcuni Paesi arabi, come Siria, Egitto o Libano. Un racconto che passa attraverso le voci di gay o lesbiche che vivono non senza problemi il loro orientamento sessuale. Zamina ha una relazione da due anni con la sua migliore amica, non lavora e aspetta con grande preoccupazione il possibile marito che la sua famiglia le vorrà imporre. Quando risiede nel quartiere musulmano di Damasco indossa il velo perché così vuole suo padre, ma appena può scappa nella zona cristiana di Bab Tuma, dove può camminare liberamente con la sua fidanzata, senza rischiare nulla per la sua incolumità.  A Bab Tuma Zamina può bere vodka, fumare, e tenere abbracciata Naima, una segreteria di 24 anni che è diventata il suo primo amore dopo essere stata per anni la migliore amica. Rapporto tenuto all’oscuro delle famiglia, anche perché Zamina rivela che il padre, se la vedesse come è realmente, potrebbe anche ucciderla. L’omosessualità non è accettata in molti Paesi del Medio Oriente, perché distruggerebbe l’immagine tradizionale delle numerose famiglie arabe, almeno secondo l’opinione di religiosi e governanti. In Egitto, Siria e Arabia Saudita chi ama persone del proprio sesso viene trattato come un malato, se non come un criminale. In Iran o Yemen è perfino prevista la pena di morte per i gay o le lesbiche.



L’ISLAM NON ACCETTA? – Per comprendere a fondo i motivi dell’astio verso la comunità LGBT presente nel mondo arabo è obbligatorio ascoltare il centro di queste società, ovvero le moschee e le comunità che attorno ad esse si raccolgono. L’Imam Mohammed Hubasch è direttore del centro degli studi islamici di Damasco e deputato nel parlamento siriano. Una delle figure guida tra i religiosi islamici della Siria, e secondo molti osservatori esprime una visione piuttosto liberale della fede musulmana.  “L’Islam non vieta le nuove idee”, inizia Hubasch, “perché l’interpretazione del Corano e il rinnovamento sono pilastri della società musulmana. Ci sono più vie per raggiungere Dio, e il pensiero conservatore non ci aiuta “, sottolinea l’Imam di Damasco. Ma alle domande su quale sia questo rinnovamento, Hubasch risponde con poco, indicando gli altoparlanti per il minareto, oppure le Tv al plasma per trasmettere la predica. Per quanto riguarda il sesso, e più specificamente rapporti omosessuali, l’atteggiamento è molto più rigido, tanto che perfino la definizione di gay sfugge inizialmente all’Imam. “Non esiste una libertà senza limiti. L’omosessualità e la fede musulmana però non sono conciliabili. Chi è gay, deve essere aiutato per farsi correggere. Chi crede in un Dio deve seguire le sue regole, e queste sono rigide per quanto riguardo il sesso”, rimarca Hubasch. Nel libro sacro del Corano però l’omosessualità viene solo definita come innaturale, ed un’esplicita condanna di essa non si trova, tanto che nel testo non esiste alcun passaggio su una sua punizione. “E’ questa terribile società, non il Corano”, esclama la Sorella, protagonista indiscussa di un bar per incontri gay di Damasco, il nuovo Hammamm. Posizionato alla fine di una stradina stretta, con una fontana nel cortile interno e la foto del presidente siriano alle pareti, l’Hammamm è diventato il luogo principale per chi vuole vivere la propria omosessualità a Damasco senza costrizioni.

BEIRUT CAPITALE GAY – A Damasco gli incontri tra i gay avvengono per lo più in modo nascosto, a differenza della capitale del Libano Beirut. Città simbolo degli scontri tra le varie comunità religiose che hanno dilaniato il Paese che confina con la Siria, Beirut è una sorta di mecca per gli omosessuali del Medio Oriente, dato che è l’unica grande città dove non si viene perseguitati se si esplicitano le proprie preferenze sessuali. “C’è bisogno di grande sicurezza in sé stessi per dichiararsi gay anche qui”, dichiara Rabih Maher, collaboratore di Helem, l’unica organizzazione LGBT attiva in Medio Oriente. Incastonata nel quartiere di Hamra, dove sono ancora visibili i segni della guerra civile degli anni ottanta, accanto alla sede di Helem si trovano bar e locali per omosessuali che non sono nascosti al pubblico, un’eccezione in tutta la regione. “ Solo qui la nostra organizzazione potrebbe esistere” sottolinea Maher, che evidenzia  il problema principale per chi è gay. “Famiglia, famiglia, famiglia. Anch’io ho dovuto combattere con i miei genitori, e l’unico modo per non subire pressioni e costrizioni e poter vivere liberamente la propria vita è rendersi indipendenti il prima possibile e uscire di casa appena si può”.  Lo stesso collaborato di Helem confessa come per anni non abbia parlato con i suoi familiari, e solo da poco tempo hanno accettato la sua omosessualità.



DOPPIA VITA UNICA DIFESA – Beirut però rappresenta un unicum, e le grandi capitali del Medio Oriente rimangono luoghi ostili per chi è gay. Ci sono posti come cinema, bar o hotel dove gli omosessuali si possono incontrare, ma sempre con grande discrezione, se non vera e propria segretezza. Al Cairo la situazione è ancora più difficile, e la preferenza per la comunità LGBT va alle feste private, dove ci si può incontrare e conoscere con più tranquillità. La polizia interviene in Egitto, così come anche in Siria, sulla base della legge che punisce i rapporti tra persone dello stesso  sesso. Ma essere fermati dalle forze dell’ordine non è l’unica paura, perché l’umiliazione delle famiglie cancellerebbe immediatamente legami apparentemente inossidabili. “ Una famiglia in Egitto è formata da molte persone, con amici e parenti che vanno oltre lo stretto cerchio del nucleo formato da padri e figli. Non siamo una società individualistica come l’Occidente, dove ognuno è libero di fare le proprie cose. Qui la parentela è tutto. E’ una splendida prigione ricca di affetti e solidarietà, dove uno ha tutto. Tranne la propria libertà”, confessa Ramy, un gay egiziano. Lo stesso concetto di coming out è descritto dal direttore dell’Iniziativa egiziana per i diritti personali come un elemento estraneo alla cultura mediorientale. Una simile rivelazione porterebbe a cure consigliate, se non coatte, per correggere le inclinazioni sessuali. Gli stessi medici pensano ancora che chi ama una persona dello stesso sesso sia un malato. Secondo un sondaggio condotto da Helem, quest’opinione è condivisa dai due terzi dei dottori siriani. Per questo la comunità LGBT è costretta a nascondersi dietro false identità, a creare doppi profili Facebook, uno per familiari e amici, l’altro per chi condivide le inclinazioni omosessuali. Una vita faticosa, sempre vigile sui possibili omofobi che spesso si nascondono per picchiare poi i gay o denunciarli alla polizia.