Non importa se, in quella bara, c’era un re, un rappresentante delle istituzioni o un semplice cittadino. I militari dovevano fare il saluto, dovevano portarsi la mano alla fronte, dovevano mettersi sull’attenti perché, davanti a loro, stava passando una salma. Può essere archiviato in questo modo l’episodio del saluto militare al feretro di Vittorio Emanuele III al momento della sua uscita dal C-130J che, da Alessandria d’Egitto, lo aveva trasportato in Italia.
Inutile, dunque, l’esaltazione dei monarchici che, sui social network e sui blog dedicati, avevano lodato in maniera smisurata i militari della 46esima Brigata aerea di Pisa che erano stati immortalati dai flash di una fotocamera intenti a rivolgere il loro saluto a Vittorio Emanuele III.
I più entusiasti erano stati certamente quelli della Delegazione toscana ordini dinastici della Real Casa di Savoia. Sul loro sito internet – come riportato dal quotidiano Il Giornale -, infatti, avevano scritto questo messaggio dai toni entusiastici: «Il saluto di questi tre ragazzi – si legge sul sito – in assenza dei rappresentanti dello Stato, del picchetto d’ onore e delle bandiere ad accogliere sua maestà, Vittorio Emanuele III, è l’ onore più grande che il re d’ Italia, soldato e capo delle Forze armate, potesse ricevere al suo rientro in Italia. Quei ragazzi sono l’ Italia migliore. Quei ragazzi sono la nostra Italia. Viva l’ Italia, viva il re».
L’articolo è stato diffuso ampiamente sui social network nei gruppi vicini agli ideali monarchici. Ma si tratta di un’interpretazione completamente sbagliata degli eventi. Infatti, non si tratta di un omaggio dell’esercito italiano alla monarchia, al sovrano che firmò le leggi razziali, che favorì l’ascesa di Benito Mussolini che fuggì a Brindisi lasciando i soldati allo sbaraglio. Si è trattato di un semplice atto di cavalleria, una buona prassi che è diffusa in qualsiasi reparto dell’esercito. L’omaggio – quello sentito, quello partecipato – è un’altra cosa. E, forse, spetta ad altri.