16 colpi di cacchio prima di andare a dormire
28/10/2009 di vertigoz
Giornalettismo vi propone in anteprima il primo capitolo del nuovo libro di Vertigoz. Ma perché, Vertigoz ha scritto un libro? Certo che no, solo che ancora una volta era in ritardo con la consegna e ha dovuto ravanare nella cartella documenti alla ricerca di un inedito. E ha così trovato il capitolo primo della sua opera prima, che guarda casa parla proprio di giovani e sessualità. E ha rinunciato a vendere 10 trilioni di copie pur di soddisfare i vostri palati fini. Sei forte papà!
Un libro sulle donne non può che iniziare con un capitolo sulle pippe. Perché le pippe ce le facciamo pensando alle donne e le donne ce la facciamo rimpiangendo le pippe (io almeno faccio così, e mi sento di poter generalizzare). Io personalmente le pippe ho imparato a farmele per merito di Marrachelli, il mio amichetto delle medie con cui facevo loschi scambi di Exogini e ricche merende a base di Frizzy Pazzy. C’erano gli Exogini grigi lucidi che non si trovavano mai per quanto li cercassi ma questa mi rendo conto che è un’altra storia, che avrebbe bisogno di un libro a parte (il mio editore, ne sono convinto, ne sarà entusiasta).
ALLENARSI – Non che prima non mi facessi le pippe ma sostavo per un tempo indefinito in quello che Masters & Johnson ne L’atto sessuale dell’uomo e della donna del 1966 definivano “plateau”. In pratica facevo su e giù, su e giù, poi a un certo punto non lo facevo più, e facevo qualcos’altro. Mi mancava il concetto di orgasmo e lo scoprii mio malgrado. Si era in palestra di judo a cazzeggiare sul tatami e tra un osotogari e l’altro Marrachelli mi fa: «Io ieri mi sono fatte tre pippe. Te quante pippe ti fai?» Capii quell’istante che in me c’era qualcosa che non andava, che ero un pervertito fatto e finito. «Io ieri me ne sono fatte 436». Viene fuori con mio grande scorno che non si deve contare ogni movimento in battere o levare ma che fa numero quando esce questa sostanza maschile chiamata sburra. Tornai a casa con le migliori intenzioni, levai il judoji dalla borsa e appesi la cintura bianca al chiodo prima di potermi sparare il primo maniglione tecnicamente corretto della mia carriera. Marrachelli mi aveva consigliato di darci giù fino a quando “non potevi più andare avanti” (e perché no? chi te lo impediva?), che glie l’aveva detto suo fratello, che bisognava andare via via sempre più veloci, e poi forse a un certo punto, chissà, magari ti spuntavano gli alettoni e prendevi il volo. Ci stavo dando giù come un pazzo, nascondendomi il ciufolo dietro il libro di antologia Testo e Contesto, pensavo a Giorgie che corre felice sui prati e ad Abel e Arthur che entravano nel letto per termoregolarla, a Lady Oscar di cui si vedevano le aristrocatiche minne nella figurina appiccicata nel diario della Bertucci.
CATTIVE COMPAGNIE – Ma fu solo quando pensai a Marta Miceli e alla sua gonnellina a fiori che tecnicamente mi occorse quello che anni dopo avrei imparato a definire “venire”. Provai la sensazione di un cazzottone sull’ipotalamo, e sbam!, prendi la tua migliore pasta al forno, moltiplicala per cento e non ci sei nemmeno vicino. E subito dopo non avevo più voglia di farlo, non potevo più, proprio come diceva Marrachelli, per quanto ovviamente volessi, ma non volevo. Fu allora che pensai per la prima volta di iscrivermi a filosofia, presumo. Il mercoledì successivo eravamo di nuovo sul tatami a provare certe tecniche di strangolamento mortali quando Marrachelli mi fa: «Allora hai sburrato?» «Beh, proprio sburrato no. Ma ho seguito le istruzioni» «Eh, mi sa che non hai ancora sviluppato» «Eh, mi sa di no. Ma che vuol dire sviluppare?» E in tutta risposta le sue mani mi avvinghiarono il colletto e finii con il culo sul tatami. Il maestro decretò l’ippon e ci mandò negli spogliatoi. A quanto pare non avevo sviluppato. Non so precisamente se fosse grave, ma in compenso avevo un sacco di peli sulle palle e due palle enormi come noci. Purtuttavia facevano da accessorio a un blando cazzetto, anche se all’epoca ignoravo di essere cintura bianca anche di pisello. Righello alla mano misurava 11 cm in prima media, 12 cm in seconda, e 13 cm in terza. Facendo due rapidi calcoli a trent’anni avrei fatto fatica a passare dalle porte, ma per fortuna da una certa età in poi, che non vi sto a raccontare, la progressione geometrica iniziò a scemare. Basti dire che oggi come oggi mi cresce solo di un paio di centimetri al lustro. Per quanto mi sforzassi la sburra non usciva. Marta Miceli, la gonnellina e poi periodo refrattario senza qualsivoglia emissione seminale. Me lo strizzavo con solerzia sperando che uscisse qualcosa ma non ero a quanto pare in grado di emettere sburra. A volte mi beccava mia zia con le mani in pasta, a volte mia madre, ma per il resto non succedeva niente. Marrachelli nel mentre mi aveva introdotto allapornografia.
GIOIA – In un’operazione degna del recupero dei Bronzi di Riace eravamo andati a Villa Sabelli a dissotterrare un giornaletto porno che il Marachelli vi aveva deposto nella prima infanzia. Mentre iniziammo a scavare Marrachelli mi raccontò una storia che aveva dell’incredibile e che la mamma di tale Gioia non sarà contenta di leggere nero su bianco. Signora Gioia, mentre lei litigava con suo suocero, la sua bambina di 9 anni era ben lungi dal giocare con le Barbie, qualsiasi cosa ne pensi ora il suo avvocato. Mentre Marrachelli e Gioia giovano insieme avevano trovato un giornaletto porno, un fotoromanzo in bianco e nero (riuscite a immaginare qualcosa di più sordido di un fotoromanzo porno in bianco e nero?). A quell’età è difficile capire chi fa cosa a chi ma si erano messi d’impegno a ricopiare le posizioni che vedevano con tanto di fumetti esplicativi che dicevano cose come “oh, sì” e “sbrodolo”. Con “sbrodolo” ci rimasi secco. La lingua batte dove il dente duole. Fatto sta che Marrachelli, all’età di 9 anni, aveva tecnicamente scopato con Gioia, glie lo avevo messo dentro. «E che cosa senti?» chiesi. «è come un libro» rispose lui serio. Lo guardai con l’aria di uno che ha capito, mentre lui continuava a scavare. Col senno di poi probabilmente Marrachelli intendeva dire che la vulva ha la stessa consistenza delle pagine di un libro, una fine metafora con tanto di segnalibro e bandelle, ma lì per lì capii che scopare era avvincente come leggere un romanzo. Feci le spese di questa incomprensione all’università, diventando un lettore compulsivo di qualunque cosa mi capitasse a tiro. Un Rocco Siffredi dell’Oscar Mondadori. Venne fuori dopo strati di ghiaia un busta del supermercato ripiegata varie volte su se stessa. Col piglio di un eroinomane che scalda un cucchiaino Maracchelli srotolò la busta e tirò fuori Paradise! vietato ai minori di anni 21. Quanti ricordi doveva significare per lui! Quante letture in compagnia di Gioia!