Le accuse di Cutolo: «Se esco e parlo il Parlamento crolla»

Da più di mezzo secolo è detenuto in carcere, a parte un breve anno di latitanza tra il 1977 e il ’78. Da 36 è in isolamento totale al 41 bis. Non si è mai pentito, Raffaele Cutolo, detto ‘o professore. Da Parma, dove sono reclusi anche boss mafiosi come Riina, Bagarella, il “Nero” Massimo Carminati (oltre all’ex parlamentare di Forza Italia Marcello Dell’Utri) l’uomo che fondò la Nuova camorra organizzata si considera un “sepolto vivo”. E, nel corso di un colloquio (per via indiretta) con Paolo Berizzi di Repubblica, attraverso la moglie Immacolata Iacone e il legale Gaetano Aufiero, Cutolo accusa: «I miei segreti fanno tremare tutti. Chi è al comando oggi è stato messo lì da chi veniva a pregarmi».

CUTOLO: «SE ESCO E PARLO CROLLA IL PARLAMENTO» –

Non ha mai voluto collaborare con la giustizia: «Per dignità non mi sono mai venduto ai magistrati. Se la sono legata al dito e hanno buttato la chiave. [..] Pago e pagherò fino alla fine. Ma non sono un pericolo. Sarei pericoloso se parlassi, ma non ce l’hanno fatta a farmi diventare un jukebox a gettone: il pentito va a gettone. Parla e guadagna. Un ulteriore oltraggio alla memoria delle vittime», spiega sul quotidiano diretto da Ezio Mauro. Una convinzione che ormai non è una novità. Già nel 2006, intervistato dallo stesso giornalista Berizzi, aveva così motivato il suo rifiuto a pentirsi: 

«Mi sono pentito davanti a Dio, ma non davanti agli uomini. […]  Per me riabilitarsi significa essere coerente con me stesso, pagare gli errori con dignità. La dignità è più forte della libertà, non si baratta con nessun privilegio. È da anni che i magistrati provano a convincermi. Nel ’94 il procuratore Francesco Greco, per il quale ho molto rispetto, mi disse: starai in una villa con tua moglie. Avremmo potuto avere un figlio. Rifiutai. E sono orgoglioso di aver sempre resistito alla tentazione. Penso che la legge sui pentiti sia un’offesa alla gente onesta e alle famiglie delle vittime».

LE ACCUSE DI CUTOLO

Ora si trova nel carcere ducale, il tredicesimo della sua vita. Non vede nessuno, eccetto la moglie e la figlia Denise, nata attraverso l’inseminazione artificiale. Nel dialogo con “Repubblica” non mancano le accuse di Cutolo alla politica:

«Allo Stato servo così. Pensano sia ancora legato alla camorra. Ma quale camorra?». La Nco di Cutolo era diventata pre-Sistema, anti Stato. «Pagina chiusa dal 1983, quando ho sposato Tina nel carcere dell’Asinara (presente un giovane Luigi Pagano, oggi vice capo del Dap)».  […]  Se lo contendevano negli anni d’oro Cutolo, quando sempre dal carcere, a cavallo tra 70 e 80 guidava il suo esercito di 7 mila affiliati nella guerra sanguinaria (persa) contro la Nuova Famiglia. E anche dopo, nell’81. Mezza Dc gli chiede di far liberare l’assessore regionale napoletano all’edilizia Ciro Cirillo, uomo di Antonio Gava sequestrato dalle Br. Sulla trattativa tra servizi segreti, Cutolo e brigatisti — accertata nel ‘93 da un’ordinanza del giudice istruttore Carlo Alemi — l’ex boss ha detto e non detto. «È stata la prima trattativa Stato-mafia. Forse anche la mia vera condanna». In cella ha quattro fotografie: due papi — Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II — quella della madre, e una della moglie Immacolata con la figlia. «Ho una telecamera puntata sul gabinetto. Non posso avere in cella più di tre paia di calzini e mutande. Vorrei mi spiegassero il senso. Ho sempre tenuto a essere in ordine. Sono figlio di contadini ma la cura di sé è importante. La insegnavo ai miei uomini». Casillo, Alfonso Rosanova il «santista », Pasquale Barra ‘ o animal, il boia delle celle morto due giorni fa. «È una forma di rispetto essere sempre impeccabili: ho ammirato Andreotti. Testimoniai per lui al processo Pecorelli. Nemmeno un grazie, ci sono rimasto male. Alcuni suoi colleghi mi mandavano gli auguri a Natale. Tutti parolai i politici. L’ultimo che ho stimato è stato Berlusconi»

A suo dire, «non esistono più i cutoliani: «Non ho imperi», si difende. E rivendica: «L’avevo detto che Tortora era innocente. I pm non mi hanno voluto ascoltare».

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