Alberto Stasi è senza lavoro, i clienti non lo vogliono
13/08/2015 di Redazione
Alberto Stasi è senza lavoro, i clienti non vogliono essere assistiti per le loro pratiche d’ambito commerciale da un presunto colpevole; tale è il ragazzo di Garlasco che è stato condannato dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano a 16 anni di carcere col rito abbreviato. Questioni di immagine, dunque, hanno allontanato il laureato alla Bocconi dal suo posto di lavoro.
ALBERTO STASI E’ SENZA LAVORO, I CLIENTI NON LO VOGLIONO
Si trova nel suo momento più cupo, dunque, Alberto Stasi, raccontato dal Corriere della Sera.
La Corte d’Assise d’Appello di Milano gli ha inflitto 16 anni di carcere col rito abbreviato il 17 dicembre 2014 dopo che la Cassazione aveva cancellato due precedenti assoluzioni: una pronunciata dal gup di Vigevano Stefano Vitelli nel 2009, l’altra dai giudici milanesi di secondo grado nel 2011. L’ex studente bocconiano vive un momento molto delicato anche perché, nei giorni successivi alla condanna, si è chiuso il suo rapporto di lavoro con lo studio commercialista in cui era impiegato. I clienti dell’ufficio non avrebbero gradito di essere seguiti da un professionista condannato per omicidio. Disoccupato, dunque, e con scarse possibilità di trovare un altro impiego in attesa del processo la cui data d’inizio la Suprema Corte deve ancora fissare.
Parliamo del quinto grado di questa vicenda infinita, dunque, il ricorso in Cassazione contro il giudizio di rinvio; il collegio legale di Stasi ha predisposto un ricorso da 350 pagine.
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La prima udienza potrebbe arrivare anche nel 2016.
Per la difesa, si legge nel ricorso, la sentenza di condanna è «gravemente viziata, oltre che costellata di macroscopiche violazioni sia dei diritti fondamentali dell’imputato che della legge processuale penale». «Emerge un’approssimazione decisoria – scrivono i legali impugnando «tutti i capi e tutti i punti della sentenza» – che pare il frutto di un convincimento del tutto personalistico, maturato isolatamente nella mente del giudicante più che nel corso del processo di rinvio, che si scontra, però, irrimediabilmente con le risultanze probatorie».
Il giovane è a piede libero non avendo mai mostrato la minima intenzione di fuggire dall’Italia, presente a tutte le udienze; anche la Procura ha presentato un ricorso per ottenere dalla Cassazione il riconoscimento dell’aggravante di crudeltà, e così una condanna piena a 30 anni di carcere.