La Leopolda che non inizia mai, tra X Factor e Kennedy
12/12/2015 di Boris Sollazzo
Ho ancora le antenne. Sono ancora un po’ verde. Ma mi salutano, mi fanno pure i complimenti (qui tutti se li fanno, chissà perché), mi riconoscono. E io ho paura. Perché il pianeta Leopolda fa un po’ paura, come quando parlando di buona scuola Renzi invita i prof presenti che gli avevano scioperato contro ad alzare la mano. E nessuno risponde alla richiesta. Perché sa fare le battute, è smart, sceglie i film e le letture giuste, cita a proposito e sa contornarsi di facce che acchiappano. Ma il suo popolo non è che si fidi tanto del suo carattere e preferisce non contrariarlo, il caro leader. E infatti quando una alza la mano, le dice “brava” e tutti ci sentiamo in colpa per aver pensato male di lui, poi arriva un “alzati, fatti vedere” e lì, un brivido dentro.
Ma la verità è che io non mi riconosco in questo posto, ma loro già mi hanno incasellato. Per dire: hanno fatto entrare me – sia pure con controlli che neanche al Pentagono -, hanno fermato Scalfarotto perché non si era registrato. E lui, dolcissimo, attende, improvvisa una conferenza stampa all’ingresso sul caso Saviano-Boschi e le unioni civili (o era un sit-in di protesta contro la sua “esclusione”?), accenna un timido “sarei un sottosegretario” – ma il coatto alla porta è intransigente, neanche gli uomini della comunicazione osano contraddirlo – e poi sorride. Forse, in fondo, sta bene pure là, ha già capito che quest’anno non è che ci sarà granché da divertirsi. Ma anche lui non mi guarda male. Non è come l’anno scorso in cui tutti storcevano il naso e al primo sguardo mi trattavano come una macchia di maionese su un papillon. Mi stanno inglobando come un blob. Alieno, appunto.
E allora, capisco. Gli alieni sono loro. Hanno un loro codice, un loro umorismo, un loro rito. Che è a metà tra un congresso kennedyano che appena ti distrai si trasforma in X Factor. Che tu ti aspetti McNamara e arrivano tre ragazzi che sembrano i Moseek. Qui tutti vogliono sembrare giovani, spesso lo sono. Poi magari una 17enne parla come se fosse la mia sorella maggiore, e ne ho 20 di più (ma sul mio pianeta si invecchia più lentamente e con l’età si diventa più belli: ok, scherzo, lo faccio solo per conquistare Anna Ascani). Qui tutti sono allineati e coperti al monarca, parlano di confronto e poi sono quasi sempre cinquanta sfumature di Matteo. E stare al governo, fa impazzire di entusiasmo anche chi l’anno scorso magari ridacchiava con l’alieno del pianeta maionese.
E stare al governo da quasi due anni ha cambiato la struttura fisica di quest’evento. Prima era “yeah, siamo easy, tutti allo stesso piano, ai tavoli cittadini e politici cambiano il mondo insieme!”, ora “vado sul palco, ne scelgo quattro, parlo di quello che mi pare, esco dal palco. E voi, tutti, rimanete sotto”. E così anche i giornalisti non rompono le palle, niente interviste o battute rubate a un consigliori troppo vivace durante una discussione con altri leopoldini.
Renzi, nel frattempo, sembra aver perso i freni inibitori. Ironizza sui video di propaganda della Leopolda: paradosso? No, lo sono davvero: uno si chiama “Bentornato lavoro, finalmente stabile”. E io, stupido, che per la fantascienza aspettavo l’uscita di Star Wars. Compare a sorpresa come un dio greco un po’ capriccioso, provoca l’applauso solo per placarlo con malcelata vanità. E’ meno scatenato, gggiovane, è molto premier. Poi ti distrai e diventa Grillo, con il contest “vota il titolo più idiota dell’anno”.
Una coraggiosa top eleven dei titoli più antigovernativi dei giornali. Uno si aspetta un coraggioso buffetto a Repubblica, una stilettata al Corsera, un arguto fendente a La Stampa. No, ci sono solo prime pagine de Il Giornale, Libero e soprattutto de Il fatto quotidiano. Dopo l’ossessione per i gufi, il Travaglio per la rassegna stampa.
Questa Leopolda è la riscrittura dell’alfabeto renziano. Non so se lo facciano per non farsi capire da me. Fa anche tenerezza l’ossessione del Matteo nazionale per avversari e alleati. Perché la Leopolda è una grande illusione. Il premier ha un cerchio magico ristrettissimo, ma con questo evento illude tutti gli accoliti di essere dentro una grande famiglia. Se deve difendere una riforma, magari con un video, sente il bisogno di dire che lui è davvero di sinistra, non quelli che difendono i totem (che forse è pure vero, ma perché un popolare dovrebbe avere l’ossessione di etichettarsi come “di sinistra”? Sudditanza psicologica?). E poi la totale avversione per chi non lo interpreta in maniera totalmente ortodossa. Le espressioni sull’intervento di Giachetti (più applaudito di lui, prima, durante e dopo) lo denunciano: alla parola opposizione interna, simula un sorriso che è una smorfia. E’ anacronistico, ma ti verrebbe da dire che è un evento craxo-berlusconiano, ma senza gli eccessi estetici, con una divisa fatta di giacche, pulloverini e tutto il casual (radical) chic che puoi immaginare addosso a un politico non incartapecorito.
Non fa prigionieri, Renzi, tra i nemici (vedi il Fatto, Brunetta, Grillo: le amministrative forse fanno un po’ paura, meglio esorcizzarle ridendo un po’ sguaiatamente degli avversari), ma in fondo neanche tra gli amici. E’ una Leopolda che non sembra iniziare mai e forse è anche per non disturbare una leadership che sembra inscalfibile. Persino Maria Elena Boschi, la padrona di casa, causa Saviano, verrà esposta in ritardo. E quel Civati all’inizio del video celebrativo sembra a metà tra un tributo a un amore passato e un avvertimento agli oppositori futuri.
La Leopolda, insomma, sembra ormai un modo del leader per parlare al suo popolo. E a giudicare dai question time pieni di giovani “dirigenti” renziani, per fare in modo che il popolo stesso non gli risponda se non con le parole che piacciono a lui. Ma in fondo sono solo un alieno. Magari non ho capito nulla. Colpa degli ultrasuoni che il microfono ha mandato per tutta la mattina di sabato?