Alitalia, storia di un non affare

Ci risiamo. Dopo sei anni si parla ancora del salvataggio di Alitalia. Nel 2008 sembrava che la compagnia di bandiera potesse essere venduta ad Air France-Klm, società franco-olandese che avrebbe rilanciato il vettore con 2.100 esuberi liberando il nostro Paese di una compagnia storica ma che che fino a quel momento aveva portato cinque miliardi di euro di perdite e che per questo rischiava seriamente di rimanere a terra. Uno smacco nazionale. Invece nella campagna elettorale di quell’anno Silvio Berlusconi decise d’issare la bandiera dell’italianità dando il via alla nascita di una cordata d’imprenditori, chiamati «capitani coraggiosi», che avrebbero rilanciato il vettore attraverso una nuova azienda sgravata dai debiti, che sarebbero rimasti a carico dello Stato italiano e che dopo sei anni si trovano con la necessità di dover far entrare un socio straniero, che chiede 2.251 esuberi, per far fronte ad un miliardo e 200 milioni di perdite con il rischio che la nuova compagnia rimanga a terra. Uno smacco nazionale. Alitalia, la storia infinita di un non affare.

 

 (Roberto Monaldo / Lapresse)
(Roberto Monaldo / Lapresse)

 

LA TRATTATIVA CON AIR FRANCE-KLM – Il 28 marzo 2008, come riportato dal Corriere della Sera, Air France-Klm presentò una proposta di accordo quadro ai sindacati che prevedeva un totale di 2.100 esuberi: 1.500 in Alitalia, 500 tra le attività di Az Servizi e 100 tra i dipendenti all’estero. L’offerta venne accolta freddamente dai sindacati che non si accontentarono del forte piano di accompagnamento sociale, con Air France che comunicò di aver scelto una linea di condotta molto chiara: «non abbandonare nessun dipendente». Il termine della trattativa venne però viziato da un miglioramento dei conti della compagnia grazie a 148 milioni di euro di liquidità finiti nelle casse dell’azienda con sede alla Magliana, composto da 69 milioni di rimborso fiscale e da 79 milioni frutto della vendita di azioni Air France-Klm in possesso di Alitalia.

LA PROPOSTA DI SPINETTA – L’allora presidente della compagnia franco-olandese, Jean Cyril Spinetta, spiegò ai sindacati il senso della sua proposta in una lettera:

«Il piano industriale è costruito con il solo obiettivo di permettere alla compagnia di riannodare l’attività al circolo virtuoso della crescita redditizia e dunque di ristabilire le basi di un futuro sviluppo ambizioso»

Il piano industriale prevedeva l’acquisto di Alitalia Fly e la presa in carico di 4.191 dipendenti attualmente in capo ad Alitalia Servizi. Sarebbero nate due società, una destinata all’handling a cui avrebbero fatto capo 1.991 dipendenti ed una destinata alla manutenzione in cui sarebbero confluiti 2.310 dipendenti. Alitalia Cargo sarebbe stata chiusa entro il 2010. Malpensa sarebbe diventato «un importante gateway riorganizzato, in una prima fase, per ripristinare le condizioni per il suo futuro sviluppo in maniera armoniosa e finanziariamente solida».

COME SAREBBE CAMBIATA LA COMPAGNIA – La flotta sarebbe stata ridotta da 174 a 137 aerei, esclusi i velivoli in capo a Volare Airlines, società del gruppo Alitalia. Sarebbero stati tagliati sicuramente 16 MD 80/82 e 3 Boeing 767. Per il 2008 sarebbero state mantenute 24 destinazioni nazionali con 44 linee e 1.265 frequenze settimanali, 45 destinazioni internazionali con 77 rotte e 928 frequenze settimanali, 14 destinazioni intercontinentali servite mediamente con 17 rotte con 101 frequenze settimanali. Inoltre, nella lettera inviata da Air France all’allora presidente della Compagnia di bandiera, Maurizio Prato, il 14 marzo 2008, Air France disse che si sarebbe fatta carico dei debiti senza lasciare passività allo Stato, eccezion fatta per i 2.120 esuberi, per un totale di 3 miliardi di euro.

 

5 giugno 2009, Jean Cyril Spinetta incontra Silvio Berlusconi (Marco Merlini / Lapresse)
5 giugno 2009, Jean Cyril Spinetta incontra Silvio Berlusconi (Marco Merlini / Lapresse)

 

SILVIO BERLUSCONI, IL NO E LA CAMPAGNA ELETTORALE – L’affare, seguito dall’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi saltò per il no dei sindacati confederali e dalle sigle rappresentanti dei piloti. Inoltre all’epoca l’Italia era in pieno clima elettorale ed il carico maggiore ce lo mise Silvio Berlusconi che parlò della necessità di salvaguardare l’italianità di Alitalia. Posizioni importanti che spinsero Spinetta a dire a Prodi che non si fidava a firmare un contratto che il suo successore a Palazzo Chigi avrebbe con tutta probabilità fatto saltare. Le riflessioni di Spinetta assunsero la forma di certezza quando Berlusconi, ripreso da Linkiesta, disse nel marzo del 2008 queste parole:

Un paese turistico come l’Italia non può restare senza un vettore nazionale. Air France porterebbe i turisti a visitare le bellezze francesi…

Dichiarazione seguita, nella primavera del 2008, da un’altra dichiarazione, sempre di Berlusconi:

È vero, stiamo lavorando a una cordata alternativa ad Air France per acquistare Alitalia. L’alternativa c’è…

L’otto maggio Silvio Berlusconi divenne Presidente del Consiglio sull’onda dell’entusiasmo di una campagna elettorale fondata anche sull’affare Alitalia e culminata con il successo alle urne del 14 aprile. E Spinetta, ripreso dal Post, dichiarò:

In questo settore nessuna operazione di questo tipo si può fare in modo ostile e contro un governo

IL PIANO DI BRUNO ERMOLLI – Ma torniamo un attimo indietro nel tempo. Bruno Ermolli, senior advisor di Jp Morgan per l’Italia e presidente di Promos 2001, l’azienda speciale della Camera di Commercio di Milano confermò sabato 22 marzo 2008 di essere al lavoro per costruire «una cordata alternativa ad Air France per acquistare Alitalia». Il primo passo, secondo quanto riportato da Marco Alfieri, all’epoca giornalista del Sole 24 Ore, era quello di

trovare 7-8 nomi disposti a mettere sul piatto 150-200 milioni di euro ciascuno.

Ermolli spiegò che era necessario evitare di coinvolgere gli imprenditori su un quadro economico sbagliato. Per questo aveva senso aspettare 3-4 settimane per capire chi sarebbe stato coinvolto e con quanti soldi.

IL PRESTITO PONTE DI 300 MILIONI – Per migliorare il quadro economico, il governo uscente, guidato da Romano Prodi, fornì alla vecchia Alitalia il 22 aprile 2008 un prestito-ponte da 300 milioni di euro da restituire entro il dicembre 2008. All’inizio la cifra prevista era di 100 milioni ma Prodi spiegò che si scelse di triplicarla su richiesta di Berlusconi:

Berlusconi mi ha chiesto un prestito più sostanzioso di quello che avevamo previsto per avere più tempo per risolvere la vicenda Alitalia. Il nostro è stato un atto di responsabilità

L’allora Ministro dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa, giustificò il prestito con queste parole:

«la bontà della proposta alternativa -giustifica- l’atto di responsabilità di non far venire meno questa disponibilità e da questo discende il fatto che l’importo sia stato quello richiesto per attuare la soluzione tra poche settimane»

riferendosi alla scadenza citata da Ermolli. A proposito della soluzione alternativa, però, Padoa Schioppa disse che le dichiarazioni pubbliche di Berlusconi «erano ancora più impegnative di quelle private». Segno che molto doveva essere ancora definito.

 

Da sinistra, Rocco Sabelli e Roberto Colaninno (Stefano Meluni / Lapresse)
Da sinistra, Rocco Sabelli e Roberto Colaninno (Stefano Meluni / Lapresse)

 

IL RUOLO DI CORRADO PASSERA – Il prestito ponte fu per il governo Prodi una mossa obbligata, anche perché il 2 aprile 2008 Air France si ritirò dalla trattativa. E Berlusconi colse la palla al balzo dichiarando che lui non avrebbe mai dato il via libera ad un socio straniero. Una volta insediatosi il nuovo governo, Giulio Tremonti, neo Ministro dell’Economia, chiede a Corrado Passera, Amministratore Delegato di Intesa Sanpaolo, banca già coinvolta come capofila della cordata alternativa ApHolding-AirOne nella prima fase di privatizzazione promossa da Tommaso Padoa-Schioppa, di mettere su la cordata. Ed è così che nacque il Piano Fenice, che sarà il documento di rilancio di C.A.I., la cordata di 21 imprenditori che avrebbe preso il posto di Alitalia.

IL PIANO FENICE – Il piano, presentato il 4 settembre 2008, prevedeva un taglio degli aeromobili compreso tra le 80 e le 100 unità, con una concentrazione sul mercato del corto-medio raggio con 65 destinazioni, di cui sedici intercontinentali e le altre 49 tra Italia e Europa. Niente più hub centrali a Milano e Roma. Si decise di far nascere sei aeroporti principali, Milano, Roma, Torino, Napoli, Venezia e Catania. Venne escluso il settore cargo così come la manutenzione pesante. Entrambi però sarebbero stati ricollocati perchè strategici al funzionamento, così come i call center, i servizi amministrativi ed il comparto dell’IT.

 

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