Alitalia, storia di un non affare

 

LA CASSA INTEGRAZIONE DI SEI ANNI – Per quanto riguarda i posti di lavoro, sarebbero stati ricollocati 3.250 lavoratori su un totale di 17.500 tra Alitalia e AirOne, inglobata nella nuova compagnia, al netto dei contratti a tempo determinato che non sarebbero stati rinnovati. Per i 3.250 lavoratori da ricollocare il governo avrebbe stanziato 180 milioni di euro in sei anni di cassa integrazione. Corrado Passera garantì: «Non siamo qui per fare una compagnia low cost» mentre Colaninno aggiunse: «Il trasporto aereo è un mercato in crescita. Questo piano non è un investimento a breve periodo e quindi non è una speculazione» . Il convitato di pietra della presentazione fu però il socio straniero coinvolto in CAI.

 

La conferenza stampa di presentazione di Alitalia-CAI di Rocco Sabelli e Roberto Colaninno (Lapresse)
La conferenza stampa di presentazione di Alitalia-CAI di Rocco Sabelli e Roberto Colaninno (Lapresse)

 

I CAPITANI CORAGGIOSI – Parlando di Cai, il 26 settembre l’agenzia Reuters spiegò che la costituenda società, all’epoca non ancora una S.p.a., presentò al commissario liquidatore di Alitalia, Augusto Fantozzi, «per iniziativa dell’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Corrado Passera, nominato dal governo e da Alitalia adviser per la soluzione della crisi della compagnia aerea», un’offerta per l’acquisizione della stessa. Il lavoro di Passera inglobò quello di Bruno Ermolli, consigliere economico di Silvio Berlusconi. Il 5 settembre 2008, presso lo studio legale Pavesi-Gitti-Verzoni di Milano, si presentarono, oltre a Roberto Colaninno:

Marcellino Gavio azionista della Autostrada Torino-Milano, Gaetano Micciché e Corrado Passera per Intesa Sanpaolo, l’industriale siderurgico Emilio Riva, Giovanni Castellucci amministratore delegato di Atlantia, Bruno Ermolli, Fausto Marchionni amministratore delegato di Fondiaria-Sai FOSAI.MI e Salvatore Mancuso fondatore del fondo Equinox.

I 16 soci, chiamati Capitani Coraggiosi che secondo le indicazioni del Governo non avrebbero potuto cedere le loro azioni per i primi cinque anni a meno che la cosa fosse stata definita dai due terzi dei proprietari, all’epoca erano:

Roberto Colaninno tramite Immsi, il gruppo Benetton tramite Atlantia, il gruppo Aponte, il gruppo Riva, il gruppo Fratini tramite Fingen, il gruppo Ligresti tramite Fonsai, Equinox, Clessidra, il gruppo Toto, il gruppo Fossati tramite Findim, Marcegaglia, Bellavista Caltagirone tramite Acqua Marcia, il gruppo Gavio tramite Argo, Davide Maccagnani tramite Macca, Tronchetti Provera e Intesa Sanpaolo.

DA CAI AD ALITALIA – Il 12 dicembre venne firmato il contratto di cessione di Alitalia a C.A.I. per 1.052 miliardi di euro, cifra che prevedeva la cessione di beni e contratti relativi all’attività di volo. Per rilevare gli asset di Airone, CAI avrebbe versato 300 milioni di euro accollandosi i debiti. L’azienda comprò anche il nome, Alitalia, che divenne ufficiale dal 12 gennaio 2009. E nella presentazione Colannino spiegò che la scelta di un partner straniero, Air France-Klm, che avrebbe avuto tra il 20 ed il 25 per cento dell’azienda sarebbe arrivata presto. La vecchia Alitalia, diventata «bad company», trattenne debiti e perdite per un totale di circa tre miliardi di euro, a carico dello Stato. L’amministratore delegato sarebbe stato Ricco Sabelli, il Presidente Roberto Colaninno.

 

Una protesta dei lavoratori Alitalia nel 2010 (Mauro Scrobogna/Lapresse)
Una protesta dei lavoratori Alitalia nel 2010 (Mauro Scrobogna/Lapresse)

 

L’INGRESSO DI AIR FRANCE-KLM – Il 12 gennaio 2009 Air France-Klm acquistò il 25 per cento dell’azienda risanata per 322 milioni di euro, diventando primo azionista. Il 10 novembre 2009 Air France-KLM Cargo ha annunciato che dal 16 novembre di quell’anno sarebbe diventato Agente Generale di Vendita di Alitalia Cargo, con la CAI che cedette ai franco-olandesi la rete commerciale di vendita dello spazio riservato alle merci nella stiva degli aerei passeggeri dei voli di linea. Le cose per CAI comunque sembrano mettersi bene considerando che nel febbraio 2011 venne comunicato dall’azienda che al 31 dicembre 2010 i ricavi avevano subìto un aumento del 14,1 per cento arrivando a 3,225 miliardi di euro con una perdita di 107 milioni rispetto ai 274 dell’anno precedente.

I PRIMI GUAI – Le cose iniziarono a peggiorare l’anno dopo, con Alitalia che iniziò a perdere anche 630.000 euro al giorno. Air France, nonostante il 25 per cento in suo possesso, non vuole saperne di rilevare l’azienda. Inoltre il gruppo non volle partecipare nel 2013 all’aumento di capitale varato nel 2013 accettando di vedere scendere la propria quota al 7 per cento. Dall’oriente si affaccia così Etihad, compagnia di Abu Dhabi interessata all’acquisto del vettore. Il 26 settembre 2013 il Sole 24 Ore spiega che nei sei mesi precedenti il rosso è peggiorato a 294 milioni e la liquidità della compagnia si attesta a 128 milioni. Air France non vuole sottoscrivere un aumento di capitale ed il governo, presieduto da Enrico Letta, spinge per una soluzione che parta dai soci italiani. Il 20 dicembre 2013 viene sottoscritto un aumento di capitale da 300 milioni di euro con il coinvolgimento di Odissea di Percassi, Unicredit e Poste Italiane.

 

(Roberto Monaldo, Lapresse)
(Roberto Monaldo, Lapresse)

 

L’AUMENTO DI CAPITALE DEL 2013 E L’ARRIVO DI ETIHAD – Nel piano venne coinvolta anche Mistral Air, compagnia aerea di proprietà delle Poste specializzata in servizi cargo e trasporto pellegrinaggi. Ma pure lei è in perdita, tanto che il Fatto Quotidiano ci spiega, come riportato da Repubblica ad aprile, che Poste ha iniettato 10 milioni di euro in capitali freschi nella compagnia. Ed in tutto questo si aspetta l’arrivo di Etihad. Il Fatto Quotidiano spiega che Alitalia-CAI nel 2013 ha maturato perdite per 300 milioni di euro, vanificando l’aumento di capitale. Etihad per il 49 per cento della compagnia è pronta a versare 560 milioni di euro. Soldi utili per la ripartenza. Ma il nuovo partner esige che le passività vengano accollate alla vecchia compagnia, ovvero a CAI. Inoltre spinge per 2.251 esuberi. 151 in più rispetto alla proposta di Air France del 2008. Poste Italiane al momento ha detto no in quanto preoccupata per la possibilità che l’investimento dello scorso anno venga vanificato, aggiungendo di aspettarsi un piano industriale che tenga conto di sinergie e logistica anche per dare un senso ai 75 milioni versati in Alitalia nel 2013.

UNA CRISI LUNGA SEI ANNI – In breve, nei sei anni della vicenda Alitalia, lo Stato ha perso circa 5 miliardi di euro, soldi che si sarebbero risparmiati se l’offerta di Jean Cyril Spinetta fosse stata accolta all’epoca. La realtà odierna, di fatto, non è poi così diversa da quella del 2008. Abbiamo una compagnia incapace di produrre utili, soci che non sanno come risolvere la situazione, investitori stranieri pronti a dare una mano a patto che si provveda ad una riorganizzazione dell’azienda. Le differenze sono solo due: Air France si sarebbe fatta carico delle passività di Alitalia-LAI, Etihad chiede una «bad company», la seconda di questa vicenda, nuovamente a carico dello Stato. La politica traccheggia, si fanno proclami e si lavora nell’ombra. Ma questa volta sembra che davvero Etihad sia l’unica alternativa. Ora è il momento delle soluzioni definitive, altrimenti Alitalia sarà destinata a scomparire lasciando dietro di sé una storia a dir poco incredibile.

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