Alla caccia del cannibale perduto

Cannibalismo 5

I CANNIBALI PAPUASI – A oggi, a parte una tribù della Papua Nuova Guinea che fino agli anni ’70 non sapeva dell’esistenza di altri esseri umani e praticava ancora il cannibalismo rituale all’interno del gruppo (endo-cannibalismo), e che oggi gioca sul mistero per attirare i turisti, non esistono gruppi o tribù per quanto feroci e impresentabili nei quali il cannibalismo sia una pratica sociale accettata. Anche nel cuore dell’Africa il rischio correlato al cannibalismo non è quello di essere mangiati da qualcuno, ma semmai di essere indicati come cannibali. Un sospetto che può produrre veloci linciaggi o esecuzioni sommarie, di preferenza piazzato in capo a persone sospettate di praticare la stregoneria, anche se il confine tra riti ammissibili e quelli che puzzano di zolfo è ovviamente molto sfumato.

IL CANNIBALISMO COME STRUMENTO DI DOMINIO – La ritrosia di Amnesty nel caso della Liberia è facilmente spiegabile con l’uso che nella storia si è fatto dell’accusa di cannibalismo, soprattutto come legittimante coloniale, con conseguenze devastanti. Accusa per lo più infondata, ma anche quando fondata è stata in realtà la presa a pretesto di qualche rito funerario locale per vendere ai puri di cuore l’invasione delle loro terre e la loro riduzione in schiavitù, per civilizzarli perchè erano cannibali, e se poi non lo erano davvero faceva lo stesso.

UN SINGOLARE NEGAZIONISMO – Agli antipodi si è arrivati anche a risultati come quelli esposti in “From Cannibalism to Genocide: The Work of Denial”. The Journal of Interdisciplinary History (MIT Press Journals) di Gillian Gillison, che arriva al risultato opposto di negare incredibilmente l’esistenza di qualsiasi atto di cannibalismo, persino quello endogeno, ampiamente documentato dalla storia e dall’antropologia. Un testo spesso citato a sproposito, perché  anche se fa giustizia di molti miti, finisce per invalidare l’impianto dell’opera esagerando.

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