Il lato oscuro di Giulio Andreotti
06/05/2013 di Valentina Spotti
Un giorno storico per la nazione: Giulio Andreotti è morto. Una carriera politica iniziata da giovanissimo, l’elezione all’Assemblea Costituente per volere di Alcide De Gasperi e poi la scalata al potere per diventare protagonista della scena politica italiana dagli anni Cinquanta fino ad oggi. Giulio Andreotti è già passato alla storia per essere stato sette volte presidente del Consiglio e diciannove volte ministro e per essere stata una delle figure più potenti e controverse della Prima Repubblica. Ma il nome di Andreotti è legato anche a quello di Aldo Moro, alla Loggia P2 e a quello di Totò Riina, il capo di Cosa Nostra con il quale il leader della Democrazia Cristiana avrebbe scambiato un famoso – e mai provato – bacio di alleanza tra la mafia e lo stato italiano.
ANDREOTTI MORTO, IL CASO MORO – Due anni prima del rapimento di Aldo Moro, Andreotti era a capo del governo “della non sfiducia”, un esperimento varato da lui stesso e che cadde nel gennaio del 1978, due mesi prima del blitz delle Brigate Rosse. Lo stesso giorno del rapimento, il nuovo esecutivo – riaffidato da Moro allo stesso Andreotti – ottenne la fiducia in Parlamento, alla luce dei fatti di via Fani, diventando il primo governo di solidarietà nazionale. Il ruolo di Andreotti nella gestione del rapimento Moro, tuttavia, tu quantomai controverso: sua è la “linea della fermezza”, che lo portò a rifiutare ogni trattativa con le BR. Durante la sua prigionia, lo stesso ebbe parole di dura condanna per il capo del governo, e la ferma difesa della ragion di Stato culminò, cinquantacinque giorni più tardi, con l’uccisione del presidente della Democrazia Cristiana. Il governo di solidarietà nazionale gli sopravvisse soltanto un mese, ma Andreotti continuò a cavalcare la cresta dell’onda.
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ANDREOTTI MORTO, I LEGAMI CON LA P2 – Gli anni Settanta sono anche gli anni in cui Andreotti intensifica i suoi rapporti con Licio Gelli, capo della Loggia P2, e con altre persone legate alle vicende della Banca Privata Italiana, tra le quali figurava anche Michele Sindona. Dopo la morte di quest’ultimo nel carcere di Voghera, si speculò a lungo sul fatto che il mandante dell’omicidio potesse essere proprio lo stesso Andreotti, per paura che Sindona potesse rivelare a processo i legami tra gli esponenti della politica italiana, la mafia e la stessa P2. Questa tesi è supportata dal giornalista Sergio Turone, ma non è mai stata corredata da fatti. Andreotti verrà ritenuto responsabile del furto dell’archivio del Sifar, il Servizio informazioni forze armate, in cui erano custoditi tutti i segreti di Stato dell’Italia di allora.
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ANDREOTTI MORTO, IL BACIO CON RIINA – Nel 2003 Andreotti finì di nuovo a giudizio per i suoi rapporti con la mafia: era già stato assolto nel 1999 e la sentenza d’Appello giudicò il reato di partecipazione all’associazione per delinquere “estinto per prescrizione”. L’episodio più controverso e misterioso rimane quello del famoso bacio dato da Andreotti al capo di Cosa Nostra Salvatore Riina. Di questo gesto, che avrebbe idealmente suggellato il rapporto tra il mondo della politica e quello della mafia, parlerà il pentito Baldassarre Di Maggio: l’incontro tra Riina e Andreotti sarebbe avvenuto nel 1987, a casa del boss della mafia Ignazio Salvo. “Sono assolutamente certo di aver riconosciuto Giulio Andreotti, perché l’ho visto diverse volte in televisione – disse Di Maggio – Quando siamo entrati erano presenti l’onorevole Andreotti e l’onorevole Salvo Lima. Loro si alzarono, diedero la mano e baciarono Ignazio Salvo. Riina invece salutò tutti e tre baciandoli”. Andreotti smentì immediatamente le parole di Di Maggio, che non furono mai corredate da prove concrete.
(Photocredit: Getty Images e LaPresse)