Angelo Panebianco e l’editoriale contestato sul Corriere
16/01/2014 di Alessandro D'Amato
Angelo Panebianco risponde oggi all’ex capo del dipartimento sull’immigrazione del Viminale Mario Morcone a proposito dell’editoriale pubblicato qualche giorno fa sul Corriere della Sera. La lettera di Morcone:
Ho letto con perplessità il fondo del professor Angelo Panebianco sulle politiche dell’immigrazione (Corriere, 13 gennaio). Si tratterebbe in sostanza, superando le ipocrisie che sono vere e che mascherano spesso opportunismi di aree politiche finalizzate all’acquisizione di consenso, di adottare una politica realistica fondata sulla convenienza, in contrapposizione ad una cosiddetta politica «dell’accoglienza» che non potrebbe, di fatto, costituire un criterio razionale cui ispirarsi. Devo in primo luogo chiarire e lo faccio da tempo, ma con scarso successo, la differenza sostanziale tra i migranti richiedenti asilo e migranti per motivi economici: diversi sono gli obblighi del nostro Paese nei confronti di queste due categorie di persone. Per i richiedenti asilo è in fase avanzata una politica comune dei Paesi dell’Unione, mentre la migrazione economica rimane nella piena sovranità delle politiche nazionali. Oggi i temi dell’asilo e della protezione internazionale o sussidiaria, cioè i titoli che danno diritto all’accoglienza nel nostro Paese e soprattutto ci impongono il dovere di fornire assistenza e servizi, è materia trasferita alle Autorità dell’Ue attraverso una cessione di sovranità che in parte abbiamo recepito o stiamo recependo. Di fatto il tema dell’asilo è ormai sottratto alla competenza degli Stati membri. E allora per questa categoria di persone (chi proviene, ad esempio, dalla Somalia, dalla Siria, dall’Eritrea e da alcune regioni della Nigeria) non si può parlare né di convenienza, né di accoglienza, ma del dovere di offrire diritti che sono stati negati nei Paesi di origine con una politica di integrazione all’altezza degli standard di civiltà di un Paese come l’Italia. Diverso appare il discorso relativo alla migrazione economica dove al termine convenienza usato dal prof. Panebianco preferirei il termine sostenibilità del nostro sistema socio-economico. La ricchezza di un Paese e parlo non solo di economia, ma di cultura, innovazione e complessivamente di vitalità è data proprio dalla capacità di fare sintesi delle peculiarità di altre culture: questa è stata la nostra storia di cui, peraltro, andiamo orgogliosi. Così faccio davvero fatica a immaginare che si possa pensare di favorire una componente religiosa rispetto a un’altra, tradendo di fatto i nostri valori costituzionali, mentre considero effettivamente realistico regolare i flussi di ingresso della migrazione economica sulla base dell’effettiva disponibilità del mercato del lavoro.
La risposta:
Chiariamo un equivoco. Io non ho affatto parlato di profughi proprio perché, come scrive il prefetto Morcone, è un tema che non sta nella disponibilità dei singoli Stati. Né ho toccato la questione del diritto d’asilo. Parlando di politica (statale) dell’immigrazione mi riferivo, esclusivamente, al controllo dei flussi di mano d’opera. È in questo ambito che, se lo si vuole, è possibile fare scelte. Siamo almeno d’accordo (per fortuna ) sul fatto che i flussi di ingresso debbano essere regolati sulla base della disponibilità del mercato del lavoro. Il disaccordo riguarda il fatto se sia preferibile o meno incentivare l’immigrazione da certi Paesi piuttosto che da altri sulla base della maggiore affinità culturale. Al fine di minimizzare i rischi di futuri possibili conflitti. Si può pensarla come si vuole ma, almeno, dovrebbe essere lecito discuterne liberamente. Il nostro dibattito pubblico è già così sovraccarico di tabù , di temi che in tanti evitano di toccare, che non mi pare proprio il caso di aggiungerne un altro.