Attentato Bardo, parla Touil: “Non c’entro niente, l’Italia mi aiuti”
23/06/2015 di Redazione
Attentato Bardo, parla Touil, il marocchino arrestato circa un mese fa ed accusato di essere uno dei perpetratori della strage del museo di Tunisi e che si trova nel carcere di Opera, dove è andato a trovarlo il deputato del Partito Democratico Antonio Misiani per un’ispezione al detenuto su cui pende un’accusa di terrorismo internazionale; secondo i magistrati, avrebbe fornito supporto logistico al commando di attentatori del Bardo.
ATTENTATO BARDO, PARLA TOUIL: “NON C’ENTRO NIENTE”
Repubblica riporta il colloquio fra il deputato e il detenuto.
Come sta?
«Abbastanza bene, anche se non capisco ancora perché sono stato arrestato. Lo chiedo ogni giorno al mio avvocato (ai giudici che si occupano del procedimento di estradizione il legale Silvia Fiorentino ha spiegato che il carcere è una «misura esageratamente afflittiva» per il suo assistito e che «non c’è pericolo di fuga»; ma la Corte d’appello ha respinto la proposta di sostituire la misura cautelare in carcere con l’obbligo di soggiorno nel comune di Gaggiano, dove il marocchino abitava con la madre e i fratelli, ndr ) ».
Nei primi giorni di detenzione rinunciava all’ora d’aria. Adesso?
«La faccio. Con un detenuto italiano. Qui sono trattato bene. In generale in Italia non ho mai avuto problemi, ho sempre avuto un buon rapporto con tutti, a scuola, con gli amici, sul posto di lavoro».
Parla di scuola e di lavoro. Perché?
«Frequentavo la scuola italiana due volte la settimana. Anche se purtroppo ho avuto poco tempo per imparare. Poche parole, “grazie”, “prego”, “buongiorno”. E le lettere dell’alfabeto. Tutto qua. In Marocco invece hoterminato gli studi».
E il lavoro?
«A Milano avevo trovato un impiego. In un ristorante italiano. Qualche ora al giorno. Quando mi hanno arrestato a Gaggiano era il mio primo giorno di lavoro al ristorante. È stato uno shock».
Era il 19 maggio. E ora?
«Spero solo di uscire presto dal carcere. Spero si accorgano che si sono sbagliati. Continuo a avere grande fiducia nella giustizia italiana. Il mio desiderio è quello di continuare a vivere in Italia. Vorrei tornare a abitare a Gaggiano con la mia famiglia. In Marocco non voglio più tornare».
Il deputato chiede le generalità del detenuto, che gli risponde: sono nato nel 1993, “l’1-1”. E’ un codice, spiega Repubblica.
Secondo alcuni esperti della complessa realtà migratoria maghrebina — e più in generale araba e africana — “1-1” è il modo con cui gli immigrati declinano le proprie generalità quando hanno una situazione di documenti non del tutto risolta. Ricordiamo che nel “giallo Touil” l’elemento centrale delle indagini è il passaporto: «Smarrito nel Mediterraneo durante l’attraversata», secondo la versione iniziale della madre Fatima. «Venduto in Libia prima di partire», secondo una confessione fatta alla mamma dal figlio. Un modo per pagarsi il viaggio. Se reggesse questa ipotesi, il Touil inseguito dai tunisini potrebbe essere un altro: quello “falso” che si sarebbe impossessato dell’identità di Abdel acquistando il documento venduto.
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Dunque il Touil che è arrestato non sarebbe il Touil che ha commesso la strage del Bardo; il suo passaporto lo ha venduto per pagarsi la traversata. Si proclama innocente, ed è sicuro di avere un alibi.
Come è arrivato in Italia dal Marocco?
«Ho viaggiato dal Marocco alla Tunisia in aereo. Poi dalla Tunisia alla Libia via terra. Da lì mi sono imbarcato per l’Italia e sono sbarcato a Porto Empedocle (il 17 febbraio, è accertato, ndr ). Poi ho raggiunto la mia famiglia a Gaggiano».
E non se n’è più andato?
«No. Da quel giorno sono sempre rimasto in Italia (è accertato anche che il 18 marzo — giorno della strage al Bardo — nei due giorni precedenti e nei due successivi, Touil si trovava a Milano, ndr ) ».
Qual è il suo pensiero ricorrente?
«Che sono in carcere da innocente. Non sono un terrorista, non c’entro niente con la strage del Bardo. Chiedo aiuto all’Italia». Durante il colloquio Abdel Majid Touil s’interrompe spesso. E piange.
Chi viene a trovarla?
«Mia madre. Una volta la settimana ( ha diritto a quattro colloqui al mese). Lei e i miei fratelli sanno benissimo che non ho fatto niente».