Attentato a Parigi, «non dimenticherò mai quel kalashnikov sulla mia testa»

E’ stato sufficiente un momento a salvare la vita a Barbara Serpentini, un momento che non è dipeso da lei e per il quale, probabilmente, ringrazierà per tutta la vita: un’arma si inceppa e lei si salva, durante l’attentato a Parigi dei terroristi islamici dell’Isis. Un attimo, dicevamo: il terrorista si avvicina al tavolino del bar e punta il mitra contro la ragazza che si è rannicchiata in attesa di una fine che percepiva come inevitabile. E’ stata solo una fallacia tecnica dell’arma a salvare lei e la sua amica, Sophia Bejali.

ATTENTATO A PARIGI, PARLA LA DONNA SALVATA DAL MITRA INCEPPATO

Sono loro le ragazze riprese nel video delle telecamere del ristorante-pizzeria in cui stavano mangiando. Barbara accetta di parlare con il Messaggero.

Non l’ha visto Barbara il kalashnikov puntato sulla sua testa e su quella della sua amica Sophia, fuori dalla pizzeria Casa Nostra dove un secondo prima stavano bevono un succo si albicocca e un bicchiere di Chardonnay. Non ha visto che il terrorista cercava di tirare ma che il colpo non è partito, che le munizioni probabilmente erano finite. O magari si è inceppato, chi lo sa. E probabilmente non l’avrebbe mai saputo, se l’occhio della videocamera della pizzeria non avesse registrato tutto mentre fuori i terroristi facevano strage in rue de la Fontaine au Roi. La gente moriva, o cercava scampo per terra, dietro i banconi, buttandosi per terra come Barbara Serpentini, studentessa italiana di 18 anni, che venerdì 13 novembre se ne stava seduta a uno dei tavolini fuori di Casa Nostra con l’amica Sophia Bejali, un’avvocata di 40 anni.

Rue de la Fontaine Au Roi è la grande strada che parte dalla place de la Republique, epicentro della zona degli attentati.

Le due donne non riescono a credere di essere quelle ritratte nel video.

Quando hanno visto il video, e si sono riviste, col kalashnikov puntato, hanno avuto paura per «quelle due donne»: «Ci viene da dire: che fortunate quelle due, ma non riusciamo a realizzare che siamo noi». Studentessa di scienze politiche e filosofia, Barbara aveva incontrato Sophia un mese fa: entrambe volontarie per aiutare dei rifugiati. Avevano deciso di cenare insieme, quel venerdì. Solo all’ultimo Sophia ha optato per Casa Nostra, più tranquilla del dirimpettaio la Bonne Bière, dove sono morte cinque persone. Quando hanno sentito le prime raffiche, dirette verso il bistrot di fronte, Sophia ha preso Barbara e l’ha buttata per terra. «Con tanta forza che si è ferita» ha raccontato al Daily Mail, il giornale inglese che ha pubblicato il video. Un filmato su cui è scoppiato un caso: una tv francese accusa il quotidiano di aver sborsato 50mila euro per acquistare il video dopo una trattativa con il ristorante.

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Ecco cosa hanno sentito, cosa hanno provato, le due ragazze, fuggendo di corsa dalla pizzeria.

Tenevo le mani sugli occhi – racconta Barbara – devo aver pensato che se nascondevo gli occhi, nemmeno lui avrebbe potuto vedermi. Ci tenevano strette, io e Sophia. Ho sentito tanti colpi, ho capito subito che erano dei Kalashnikov. Mi sono detta, «Adesso mi spara». Cercavo di restare calma, ma continuavo a pensare: «Sto per morire, sto per morire». A un certo punto, c’è una pausa. Ma non è finita: il terrorista, uno dei tre della Seat, forse Abdelhamid Abaaoud, forse Brahim Abdeslam, o forse il terzo ancora da indentificare, attraversa la strada, punta verso Casa Nostra, verso Barbara e Sophia. Le ha viste. Gli altri sparano ancora sui tavoli della Bonne Bière. «Ho alzato lo sguardo, ho guardato davanti e ho visto quei piedi. Aveva scarpe da ginnastica nere. E’ rimasto davanti a me per un’eternità, magari sono stati solo pochi secondi, ma mi è sembrato che non finisse mai. Ho di nuovo coperto gli occhi, non volevo incontrare il suo sguardo. Era a pochi centimetri, forse una ventina». Lei non lo sa, ma il terrorista gli ha puntato l’AK 47 in testa e prova a sparare, una volta, poi una seconda. Il colpo non parte. Se ne va. «Ho capito che se n’era andato – prosegue Barbara – Ho pensato che non ci avesse visto». A quel punto Sophia e Barbara si alzano, una dopo l’altra, e scappano. Suonano a un citofono, ma non le lasciano entrare: «Dentro sono terrorizzati». Poi provano a un altro portone e a un altro ancora: «Alla fine qualcuno ci ha lasciate entrare: tremavo, non riuscivo a parlare».

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