Quel “sì” di Berlusconi a Marchini che divide Forza Italia e il centrodestra
02/11/2015 di Alberto Sofia
Una «mossa azzardata», dai «tempi sbagliati». Una «fuga in avanti» tutt’altro che concordata. L’endorsement di Silvio Berlusconi nei confronti di Alfio Marchini e l’annuncio di voler puntare sull’imprenditore come candidato per le prossime elezioni a Roma, ha spiazzato sia gli alleati (potenziali) che diversi parlamentari e amministratori forzisti. Non che fosse una sorpresa la “simpatia” del Cav nei confronti del rampollo, figlio di una famiglia storica di costruttori della sinistra romana. Una convergenza possibile già “benedetta” poche settimane fa dell’europarlamentare Antonio Tajani alla convention di Fiuggi. Ma, anche dentro Fi, l’impressione è che il presidente azzurro abbia sbagliato a sbilanciarsi su un nome che piace anche a chi, in casa renziana, spinge per candidature trasversali e per il Partito della Nazione. Troppo presto è arrivato il “sì” del leader azzurro. E con un scelta unilaterale. La meno adatta ora che nel centrodestra si tenta di ricostruire quella complicata “santa alleanza” antirenziana, in vista delle amministrative di primavera.
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L’ENDORSEMENT DI BERLUSCONI A MARCHINI E LE POLEMICHE IN CASA AZZURRA E TRA GLI ALLEATI –
Ma non è solo una questione di tempi o di metodi. Anche le dichiarazioni a “Repubblica” di Marchini, con quell’«abbraccio mortale di Berlusconi» da evitare, sono state poco gradite in casa azzurra. L’intenzione dell’imprenditore di correre senza partiti al suo fianco, ancora con la sua lista e il suo “grande cuore rosso“, pur senza rinnegare i voti di Berlusconi viene interpretato come una beffa tra molti dirigenti forzisti. Tradotto, il timore è che Marchini voglia soltanto sfruttare (quel che resta) dei consensi azzurri per arrivare alla poltrona che fu di Marino, finendo per rottamare una Forza Italia già in crisi d’identità. E che, sondaggi alla mano, vede i propri consensi già in piena erosione, tra il 5 e il 9,4%. E comunque sotto la doppia cifra.
L’accelerazione del Cav ha finito per irritare Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia-An che non pochi vorrebbero candidata unitaria del centrodestra (anche dentro Fi). E che da tempo, nonostante le perplessità per una partita a dir poco complicata, resta tentata dalla corsa. Tanto da aver già avvertito Arcore: lei non sosterrà Marchini, soprattutto dopo la fuga solitaria berlusconiana. E sta già pensando di candidarsi lo stesso, sparigliando le carte del centrodestra. Non è un caso che il “matrimonio” annunciato da Berlusconi sia stato, almeno per ora, “stoppato” anche dallo stesso Matteo Salvini. Nella Capitale, come altrove, non c’è ancora nulla di deciso: «Per ora non dico né si né no, dico forse. La Meloni la conosco e la stimo, Marchini non lo conosco e non esprimo giudizi. Lo vedrò. Dico solo che l’ultima cosa di cui c’è bisogno in Italia, e in particolare a Roma e Milano è litigare», ha spiegato dalle colonne di Qn.
Lo stesso giornale dal quale anche Altero Matteoli, uno che dentro Fi ha già poco apprezzato la strategia parlamentare azzurra dopo lo strappo del patto del Nazareno, ha espresso i suoi dubbi anche sulla partita romana: «Bisogna smetterla di parlare attraverso i giornali, dobbiamo vederci. Altrimenti siamo costretti a rincorrere auto-candidature». Il rischio, per l’ex An Matteoli, è di presentarsi divisi e fare un favore al Pd: «Marchini? Lui corre, noi che facciamo, ci accordiamo? Niente contro di lui, ma Meloni è contraria. Se fossimo partiti da un programma, Giorgia l’avrebbe condiviso e si poteva stare assieme».
Nessun pregiudizio nei confronti di @Alfio_Marchini, anzi. Ma bisogna trovare una convergenza. Non può andare da solo. #lariachetira ST
— Maurizio Gasparri (@gasparripdl) 2 Novembre 2015
TUTTI I DUBBI IN CASA FORZA ITALIA –
L’impressione è che a Roma, come a Milano – al di là del nome ancora tenuto “segreto” da Berlusconi – il centrodestra sia ancora in piena confusione. Altro che sintesi, a una settimana dalla manifestazione leghista a Bologna alla quale il Cav ha deciso di partecipare, nonostante i malpancisti nel suo partito. «Ma come? Il Cav è latitante alle nostre riunioni e ai nostri appuntamenti, mentre è in prima fila in casa del Carroccio?», si mormora tra i corridoi parlamentari tra le fila azzurre. Soprattutto tra chi è ancora convinto che quel rilancio promesso dal Cav sia tutt’altro che reale. E che per il partito sia in arrivo l’ora del tramonto. «Qui restiamo tutti in attesa, ormai si prova a sopravvivere. C’è chi è già uscito, chi con Fitto, chi con Verdini, molti altri lo faranno presto. Anche perché l’abbraccio con Salvini per noi sarà mortale», ammette una fonte parlamentare azzurra.
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Di peones , “mestieranti” e dissidenti, però, Berlusconi non vuole più saperne. Né tornerà indietro sulla scelta di presentarsi a Bologna. Anche per “tallonare” Salvini. Per un appuntamento che c’è chi immagina come il primo passo di un nuovo “predellino”. Il Cav ha già detto di immaginarsi soltanto “padre nobile“, ingabbiato dall’età e dall’impossibilità di candidarsi, anche perché non ci sono ancora notizie sul verdetto di Strasburgo, dopo il ricorso alla Cedu. Ma per la leadership futura del centrodestra da Arcore si immagina una “figura di spicco, una personalità di alto rango“. Salvini, che ha già da tempo lanciato la sua Opa, resta in attesa. Per ora, all’orizzonte ci sono i nodi da risolvere sulle amministrative. Per le urne e la corsa verso Palazzo Chigi c’è ancora (molto) tempo.