Cannes 2015: Mad Max Fury Road, Charlize Theron e Tom Hardy fanno urlare la Croisette

MAD MAX FURY ROAD –

Grand Théâtre Lumière, ore 8.30 del mattino. Orario proibitivo, ma fila chilometrica ed entusiasmo preventivo. Dopo trent’anni al Festival di Cannes 2015 torna Max il matto e non ha più la faccia di Mel Gibson, ma quella non di rado coperta e maltrattata di Tom Hardy (anche qui, una maschera di ferro priva il pubblico femminile dei suoi bei lineamenti per diverse decine di minuti). E anche i cinefili più duri e puri, quelli da sottotitoli in cecoslovacco, nascondono un sorriso furbo, ansioso, infantile. Sperano solo di non essere delusi da quel cult che torna rinnovato, con l’unica certezza rappresentata da George Miller, regista dei tre capitoli che hanno cambiato tutto nel genere “apocalittico fuggi e uccidi” tra il 1979 e il 1985. Uno che nel frattempo ha fatto soldi a palate con il sequel di Babe e i due Happy Feet. Dai motori ai simpatici animaletti che hanno invaso il cinema d’intrattenimento. Un doppio carpiato che faceva paura a tutti. E allora così ci si è avvicinati all’anteprima mondiale di questa Cannes 2015 di Mad Max Fury Road: con timore di scoprire che il tocco magico fosse scomparso, ma con la fiducia che si ha in un vecchio amico che non ti ha mai deluso. Nemmeno con i pinguini.

MadMaxManifestoFrancia
Il manifesto francese del quarto Mad Max

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MAD MAX, LA TRAMA –

La prima sorpresa è che qui, al Festival, non lo si vedrà in 3D. Alla fine, forse, vista la qualità della fotografia e della regia, è meglio così. Ci si siede e molti, istintivamente, cercano la cintura di sicurezza. Ne avremmo avuto bisogno.

Si parte. Buio in sala, qualche urlo, quasi da tifosi, Tom Hardy di spalle e un geco a due teste in una Terra malata. Sì, è Mad Max. Il geco finirà nell’apparato intestinale del protagonista, noi entriamo nel film con la stessa velocità con cui un gruppo di albini fanatici del Valhalla cromato – un paradiso per piloti-guerrieri folli- lo acchiappano.
Lo portano nella Cittadella, gli tatuano sulla schiena la sua qualità migliore – l’essere un donatore universale di sangue per quel popolo di glabri pazzoidi (dura la vittima degli energumeni calvi qui a Cannes: uno simile fa una brutta fine pure nel film di Garrone)- vogliono pure marchiarlo. Ovviamente riesce a scappare.

Tom Hardy
Tom Hardy è Max Rockatansky

Perché di Mad Max, se non lo conoscete, dovete sapere poche cose: ha un pessimo carattere, un eloquio in cui i grugniti sono più delle sillabe e riesce sempre a tirarsi fuori dai guai. Sempre. Di solito per finire in problemi più grossi. Qui, dopo essere stato usato come ariete-serbatoio da uno dei rapitori, in un primo pezzo di inseguimento dalla Cittadella al deserto, in cui il testosterone pompa quanto il turbo di autoveicoli arroganti e improbabili e la chitarra che spara note heavy metal e fiammate spaventose, arriva fino a un camion. Lì, ovviamente, trova l’unica cosa che manca al machismo imperante in questo prologo: la bellezza femminile. Cinque donne vestite (poco) da sposa, con Charlize Theron sporca d’olio e conciata da maschiaccio. E non è un miraggio. Non lo è neanche quella pompa da cui esce acqua che bagna i fisici tonici di Zoe Kravitz e Rosie Huntington-Whiteley, Riley Keough e Abbey Lee. Con Courtney Eaton leggermente in disparte. Car washing e miss maglietta bagnata in una scena sola, con la Theron a stracciarle tutte senza acqua, stoffa bianca ad accarezzarne le forme, macchina da presa a insistere su di lei. Anzi, è pure senza un braccio. Da qui, c’è poco da raccontare: fuga (avete letto bene, con la u), bum, bang, sbam, fuga, sangue, esplosioni, scontri, inseguimento, terra (verde) promessa, redenzione, sentimenti repressi, atti eroici, ironia fracassona, fuga, ancora bum, lacrime. E come gran finale un’impresa impossibile. Niente di nuovo, se non che rispetto ai primi tre capitoli qui, in due ore, non c’è un attimo di pausa. Niente intimismo, gli australiani ora le sparano grosse.

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Charlize Theron e le sue ragazze

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MAD MAX FURY ROAD, LA RECENSIONE –

Miller non solo non ha perso il suo tocco, ma è entrato a tutta velocità nella modernità. Se a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso serviva un eroe solitario contro il mondo, qui intuisce che tecnica, effetti speciali e fantasia possono sostenere le atmosfere ruvide e persino rarefatte degli antenati di Mad Max Fury Road. L’uomo solo contro tutti, a cavallo di un motore che è il suo unico amico e fonte di salvezza, qui diventa un leader. Miller passa dalla fase Odissea a quella Iliade. Perché, non vi scandalizzate, questa è epica. Pop e steampunk, ma è epica.
L’apocalissi qui non è tra le protagoniste, paradossalmente è la vita che si afferma nonostante tutto, come prima la strada era invece un sentiero verso la morte. Laddove c’era cupezza ora c’è un carnevale folle, divertente, capace di non far crollare l’adrenalina neanche nei momenti più dolorosi. La sceneggiatura è un pretesto, arriveranno a stento a cinque pagine i dialoghi (nella scena in cui ci sono addirittura tre botta e risposta, la chiudono esausti facendo mangiare un insetto a uno dei comprimari, tanto è stato lo sforzo), ma la costruzione dei personaggi, bozzetti da sbattere ovunque per il gusto dello spettacolo e di una violenza coreografica, ti entrano dentro come quella velocità, quell’unico ossessivo inseguimento che, pur se a tappe, non ti annoia mai, in due ore.

Mad Max Fury Road
I cattivi di Mad Max Fury Road

C’è, in Miller, il tocco di un tempo, ma anche la scuola di Michael Bay, quell’usare il giocattolo cinema in ogni suo verso, in ogni sua potenzialità, in ogni sua opportunità. Senza paura di eccedere, anzi con la voglia di andare oltre. Intrattenimento puro, ma anche emozione. Perché quella dialettica tra bene e male, questa fiaba post apocalittica, nella sua elementare semplicità trova una potenza che trascina. Forse perché Max è tutti noi: eroi sconfitti, votati alla sopravvivenza.
Tecnicamente, infine, è un affresco: montaggio chirurgico nei tagli, fotografia di alto livello, scenografia “mobile” da urlo, con un muro di veicoli in cui ogni dettaglio è un’idea (la migliore? Ve l’abbiamo già detto: il chitarrista front-man, nel vero senso della parola).

Charlize Theron
Charlize Theron

MAD MAX FURY ROAD, IL SEQUEL –

Partono i titoli di coda. C’è chi grida “Valhalla!”, chi emette suoni acuti e entusiasti, chi applaude. La sala è un parco giochi, soprattutto per maschi adulti. Si sorride e si è persa l’alfabetizzazione base, tutti si spiegano a gesti, alzano il pollice come Tom Hardy, ci si stupisce che le donne non abbiano risicati abitini bianchi. E per superare la fila si tentano acrobazie pericolose.
Fortunatamente, gran parte della Croisette è pedonalizzata. Altrimenti verrebbe voglia di rubare la Maserati parcheggiata al Majestic e imitare Hardy, Theron e compagnia.
Il cinema è spettacolo, intrattenimento, gioco, emozione. Questo regista non l’ha dimenticato, neanche a 70 anni suonati.
Ma noi, George, abbiamo notato lo sguardo finale. Che ci promette un prossimo capitolo. Senza dover aspettare 30 anni.

E noi saremo lì. “Saremo testimoni della follia!”.

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