Caro Bruno Vespa, sui Casamonica hai sbagliato
09/09/2015 di Stefania Carboni
Ieri sera non ho acceso su Rai1. Ho preferito rivedere la trasmissione Porta a Porta dedicata ai Casamonica con calma, dopo la sbornia social degli indignados, che hanno riempito la timeline di Facebook e Twitter con i soliti “Vergogna”. Il problema è che l’indignazione per gli scomodi ospiti Casamonica nei salotti della tv pubblica italiana arriva troppo tardi. Come sempre, le persone e i politici si arrabbiano troppo tardi. A danno fatto. Come accadde qualche settimana fa, dopo il volo dell’elicottero e il traffico bloccato lungo la Tuscolana.
Bruno Vespa ha sbagliato. O meglio: Bruno Vespa poteva ospitare o meno i Casamonica. Libero di farlo. Il problema è che ieri si è fatto in tv un processo su una persona morta. Una persona che però porta un cognome pesante: quello che comanda sul quadrante sud est della capitale d’Italia. Si è fatto servizio pubblico? No. Perché si è parlato di una persona morta, non dei parenti della persona morta, non dei permessi rilasciati a persone ai domiciliari per salutare quella persona morta, non delle aggressioni verso i giornalisti che hanno indagato (davvero) sul modus operandi di quella cerimonia in perfetto stile Casamonica. Non si è parlato delle estorsioni operate da chi porta quel cognome, della calma apparente (e garantita) nelle zone dove chi porta quel cognome può non pagare il cornetto al bar. Non si è fatta luce su quelle maniere che hanno messo in imbarazzo perfino l’Enac, Ente Nazionale per l’Aviazione Civile. Non si è parlato dello schiaffo. Lo schiaffo che ha ricevuto e che continua a ricevere Roma da anni. Tutto in nome del garantismo: in una città che vive di regole sue dettate da padroni suoi.
«Vittorio non ha un reato connotato da episodi di violenza», ha assicurato il suo legale. Il problema però non è nonno Vittorio. Il problema è l’impero che ha salutato nonno Vittorio. «Papà non viene dall’Abruzzo. Viene da Venafro», ha ribattuto la figlia in trasmissione. Si è perfino dibattuto sui guai del fisco del nonno. Ammettendo infine l’evasione fiscale:
Quando una persona ha un negozio di scarpe, non paga le tasse e gli va bene. Quando uno ha una fortuna considerevole e non paga le tasse significa che se l’è fatte in una maniera… (Vespa)
Un conto è come si è arricchito. Un conto è che dopo essersi arricchito non abbia pagato le tasse. (replica il legale)
Non importa se Vittorio era legato all’attività di Nicoletti (ex cassiere della Banda della Magliana). Non importa l’evasione. Non importa la somiglianza col Papa Buono. Non importa nemmeno l’estorsione di quei ruggenti anni ’80 che poi sono diventati in tv « recupero crediti». Recupero crediti. Recupero di che?
Tutto quello che doveva toccare ieri sera un servizio pubblico per informare realmente i cittadini italiani non è stato fatto. Si è parlato dei manifesti, della musica del Padrino, dello show a Don Bosco. A fine puntata qualcuno potrebbe perfino aver sorriso davanti a quegli orecchini ingombranti, quelle battute, quei ricordi affettuosi ripetuti con una schiettezza genuina.
Ci sono 82 persone controllate dalla Polizia con quel cognome, sono sequestrati beni (di lusso) per milioni di euro, sono state arrestate persone con quel cognome. Si lamenta un vittimismo per colpa di quel cognome. Allora perché i Casamonica non si ribellano ai parenti ingombranti? Peppino Impastato aveva come zio il capomafia Cesare Manzella. Ha perso la vita denunciando un sistema che foraggiava anche la sua famiglia. Si è ribellato alle sue origini. Perché anche i Casamonica “buoni” non fanno come lui?
«I potenti stanno su» ammette la figlia di Vittorio. «Lo sapete tutti». È vero. Ma ai potenti del mondo di giù chi ci pensa?
Sotto casa mia, a Roma, un ragazzo dal cognome ingombrante è entrato in una attività, ha consumato il suo pasto e non ha pagato quel poco che c’era da pagare. Non doveva pagarlo. Sotto casa mia alcune attività hanno le serrande sporche, altre no. Non le tocca nessuno. Una volta, durante una visita in una scuola della periferia romana, io, ingenua, chiesi con stupore al tassista il perché di tutti quei macchinoni parcheggiati dentro una officina.
Eh signorì non lo sa di chi è questa zona?
Ancora il cognome. Ingombrante. Mi spiace dirlo ma quella zona non è dei Casamonica, né del clan Pincopallo. Quella zona è della famiglia Grossi al sesto piano, della vecchina più avanti nella villetta con giardino, degli studenti fuori sede nell’appartamento del quarto. Ogni zona di Roma deve essere delle persone che ci vivono. Non di quelle che comandano. Questo doveva passare nelle reti di un servizio pubblico. Invece è stata una carnevalata. L’ennesima cosa su cui indignarci: per poi cambiare solo canale.
(foto copertina ANSA/ ALESSANDRO DI MEO)