Chiesanuova e l’Italia dove sono accolti tanti rifugiati e tutto va meglio
05/01/2017 di Redazione
Chiesanuova, 246 anime di cui 25 immigrati, ha il più alto rapporto tra residenti e rifugiati in tutto il Nord. Ma qui gli immigrati non sembrano essere un problema. Semmai, la soluzione. Rinascita della città e collaborazione per la cura del territorio sono gli effetti positivi e duraturi dell’accoglienza.
Chiesanuova (Torino) è a 600 metri sul livello del mare e la ripresa economica è cominciata nel 2001, prima grazie all’accoglienza di una cooperativa di minori non accompagnati sbarcati in Italia, poi con la gestione diretta da parte del comune delle famiglie provenienti da Ucraina e Cecenia. Oggi 15 immigrati abitano in sette alloggi di Chiesanuova. “All’inizio è stato un po’ complicato – racconta il sindaco Giovanni Giachino – I pregiudizi non sono mancati, i problemi neppure. Col tempo, è cresciuta la comprensione del fenomeno. Concretamente, adesso diamo loro alloggio in spazi di proprietà del Comune o in appartamenti affittati da privati”.
In un piccolo paese di montagna gli alloggi sfitti sono più numerosi di quelli abitati e il Comune paga ai privati la locazione delle abitazioni. Gli immigrati, in cambio, si danno da fare con i lavori di manutenzione. Fermarsi a Chiesanuova non è dunque come stare “tra color che son sospesi”, è invece provare a trasformare il percorso di inserimento, spesso difficile e tutt’altro che graduale, in un’occasione di formazione e insieme di restituzione da parte degli stessi profughi nei confronti di chi si prende cura di loro. Di fatto sono loro che danno da vivere al paese, nel senso che impediscono al borgo di morire.
La presenza di immigrati ha consentito l’apertura di un ufficio postale, un privilegio nei micro paesi di montagna. Nel comune dell’accoglienza è stata anche evitata l’abolizione dell’autobus che collega gli abitanti a Cuorgné (agli immigrati è garantito un abbonamento mensile per potersi spostare nei paesi vicini), ed è stato mantenuto l’ambulatorio settimanale per gli anziani. Inoltre la presenza di bambini ha consentito di lasciare aperta la scuola elementare. Le 25 famiglie hanno evitato lo spopolamento.
Il piccolo centro del torinese è un autentico modello di ospitalità. Le famiglie straniere sono seguite dal progetto di accoglienza per richiedenti asilo, lo Sprar, avviato ormai oltre 15 anni fa. “Da quando arrivano, li seguiamo per sei mesi, massimo un anno – spiega il sindaco – Portiamo i bambini a scuola e agli asili, attraverso i servizi di trasporto della valle. Ma ci facciamo carico anche delle future mamme: abbiamo mobilitato le ostetriche del territorio e gli ambulatori rimasti a presidio di questo territorio”.
Non non c’è solo il caso Chiesanuova. Il sindaco di Riace, comune di 1.820 abitanti in provincia di Reggio Calabria, è stato inserito nell’elenco delle 50 personalità più influenti del mondo stilato dalla rivista americana Fortune. Il motivo è ovviamente legato all’esperienza dello Sprar, che a Riace ha favorito la collaborazione tra rifugiati e residenti. Analoga la strada percorsa da altre realtà locali. In provincia di Salerno è stato attivato un servizio di scuolabus che va da Policastro a Santa Marina, dove si trovano le scuole. A Capua, comune di 20 mila abitanti in provincia di Caserta, è stato attivato un laboratorio di restauro di vecchi mobili che coinvolge i richiedenti asilo: i rifugiati sono impegnati nel restauro dei mobili del Duomo, partecipando così alla cura delle bellezze artistiche del territorio. In provincia di Vicenza, a Santorso (circa 6mila abitanti), è operativo invece il laboratorio di sartoria Atelier Nuele, dove si realizzano capi e accessori. Uno dei rifugiati coinvolti nell’iniziativa, originario dell’Iraq, al termine del tirocinio è stato assunto presso l’Atelier e oggi insegna l’arte della sartoria.
Anche Satriano, comune di circa 3mila abitanti in provincia di Catanzaro, ha puntato sulla sinergia tra cittadinanza e rifugiati. Provenienti per lo più da Pakistan e Burkina Faso, alcuni degli ospiti del progetto hanno trovato occupazione nei piccoli negozi del paese evitandone così la chiusura. Sant’Alessio in Aspromonte (Reggio Calabria), conta poco più di 300 abitanti. Qui un laboratorio di falegnameria è rinato grazie al lavoro di un giovane rifugiato di talento, originario del Pakistan, che assieme a “zio Michele”, proprietario dell’impresa, ripara e recupera vecchi mobili. L’accoglienza è anche scambio culturale di capacità e competenze, e rappresenta un vantaggio per tutti, non solo per le persone accolte ma anche per gli abitanti di territori che rischiano di essere abbandonati a loro stessi.