Christiane F., il destino a volte è così ripetitivo
11/08/2008 di Dario Ferri
L’autrice del libro autobiografico “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” è tornata a fare notizia in Germania per il suo ritorno alla tossicodipendenza. Prima o poi, riuscirà a togliersi l’icona di simbolo di una generazione. Per tornare ad essere persona
E’ brutto diventare un titolo di giornale, specialmente quando vorresti essere dimenticata. Eppure questo è il destino di Christiane F., al secolo Christiane Vera Felscherinow, che è tornata alla tossicodipendenza secondo il tabloid berlinese B.Z.. Già, “l’immagine di una generazione”, come presentavano il suo libro “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” e il film che ne era stato tratto, diventato in breve tempo un mito. Per la colonna sonora, per l’apparizione di David Bowie, ma soprattutto per la storia che si raccontava (e i fans club che ancora oggi suscita)
UNA STORIA COME TANTE, ANZI NO – Christiane diventa tossicodipendente a dodici anni, dopo aver provato hascisc alla Haus der Mitte, un centro della Chiesa luterana, e poi anfetamine, acidi, via via fino all’eroina. “La mia famiglia era il mio gruppo. Lì c’era qualcosa come amicizia, tenerezza e in un certo senso anche amore. Già solo il bacio di saluto che ci davamo mi faceva impazzire. Mio padre non mi aveva mai baciato così. E dopo il mio viaggio mi sentivo proprio uguale agli altri”, dice nel libro uscito alla fine degli anni ’70. Che sarebbe uno splendido romanzo adolescenziale, di quelli che fanno stringere il cuore alle ragazzine, dalla trama assolutamente stereotipata – problemi con i genitori, shopping con le amiche, incontro con un ragazzo (Detlef), marachelle – se non ci fosse dentro la droga. Al buco Christiane ci arriva dopo un concerto di David Bowie: “Era pazzesco. Ma quando arrivò al pezzo ‘It’s too late’ è troppo tardi, andrai giù di colpo. Già nelle ultime settimane, quando non sapevo più per cosa vivevo e dove andavo, questo ‘It’s too late’ mi aveva preso su ai nervi. Avevo pensato che questa canzone descriveva esattamente la mia situazione”.
IT’S TOO LATE, TO BE GRATEFUL – In realtà la canzone si chiama Station to Station: “It’s not the side-effects of the cocaine / I’m thinking that it must be love / It’s too late – to be grateful / It’s too late – to be late again / It’s too late – to be hateful / The european cannon is here / I must be only one in a million” dice David, mentre Christiane racconta che deve rimediare i soldi per l’amico Pollo, a ruota persa, e alla fine pensa che non è normale essersi sbattuti così tanto per nulla, e che uno schizzo potrebbe provarlo anche lei. “Tu sei un bucomane. A me di diventare così non succederà sicuramente”, dice al ragazzo Detlef il giorno dopo. Dieci pagine di libro dopo si sta prostuendo. “She’s in parties”, canteranno i Bauhaus mentre sul video scorrono le immagini di una ragazzina emaciata e già quasi gialla che si guarda allo specchio di un bagno prima di buttare giù una manciata di pasticche per poi mettere la testa sotto l’acqua. “She’s in parties“, continuano a ripetere mentre ammiri i preparativi: la carta argentata, la polvere, la siringa sempre più sporca, le croste di sangue sul braccio, l’ago, la vena.
THE RETURN OF THE THIN WHITE DUKE – Ti sembra di vederla, la copertina di Stern con la prima intervista di Christiane Vera Felscherinow, quegli occhi sbarrati di colore indefinibile e i capelli cortissimi, quasi a spazzola. Fissa l’obiettivo e tu nei suoi occhi ci vedi i tuoi, di quattordicenne che ascolta “Station to Station” nelle cuffie a tutto volume, per poi ricordare quanti amici somigliano già a quella tizia. Babsi, una delle amiche di Christiane, ha avuto l’onore di finire sulle prime pagine di tutta Europa per un record: è morta con un ago al braccio a 13 anni. Altro che Rosa Luxembourg, Frida Kahlo o la marchesa de Merteuil. “Run, baby, Run“, in una vita molto più rock di quella che da ragazzini ci capitava di sognare, e poi di guardare con orrore quando il tuo migliore amico aveva deciso davvero di farla. E tu l’hai visto l’ultima volta alla fermata di quell’autobus anni dopo prima di leggere il suo nome sul giornale. Non a caratteri cubitali, certo.