Christiane F., il destino a volte è così ripetitivo

DIVENTERAI UNA STAR – Dopo l’uscita del film, Christiane prova la carriera musicale. Al suo fianco Alexander Hacke, “leader della allora nascente ed oggi notissima band berlinese Einstürzende Neubaute“. Fa anche l’attrice in due lungometraggi, e partecipa alla promozione di “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino“. Nel 1985 torna in galera per droga e prostituzione. Va a vivere in Grecia con un fidanzato che poi viene anche lui arrestato per spaccio. Convive con l’epatite che aveva contratto a 14 anni. Nel 1996 le nasce un figlio. Continua a bucarsi, anzi no – racconta ai giornali. Fa uso di metadone, anche se non quotidianamente. In una intervista del 2007 dichiara di avere “ancora contatti con gli amici del giro della droga, anche se non fa più uso di sostanze stupefacenti. La scelta di allontanarsi dalle droghe sarebbe anche dipendente dalla nascita di suo figlio e dalla necessità di occuparsi di lui“. Da qualche giorno, le autorita’ di Potsdam-Mittelmark le hanno tolto la custodia del figlio di 11 anni. Christiane è tornata a drogarsi dal febbraio scorso, quando insieme al suo compagno emigrò in Olanda. Per poi tornare in Germania in giugno e, sul treno che la conduceva a Berlino, presentarsi spontaneamente alle forze dell’ordine, chiedendo di poter tornare a riprendere cura del figlio.

IT’S TOO LATE TO BE HATEFUL – E’ come se Christiane – attraverso la sua tossicodipendenza – se la sia ripresa, la sua storia. Che adesso non può essere più portata ad esempio, a canone, a metonimia della generazione ’80 e dell’eroina. E ritorna ad essere un dramma personale e non più collettivo. Qualcosa in cui è impossibile rispecchiarsi, perché non è più una discesa agli inferi seguita da un ritorno sulla terra. E’ solo un orribile, ripetitivo saliscendi dal basso verso l’alto e poi di nuovo in basso. Come quando, nelle ultime pagine del suo libro, racconta del suo gruppo di amici di campagna, e della cava di calce dove andavano in gita. “Un buco pazzesco in mezzo al paesaggio. Lungo quasi un chilometro, largo trecento metri e profondo cento. Le pareti sono perpendicolari. lì sotto è molto caldo. Non c’è vento. Ci crescono delle piante che non ho mai visto altrove. E dei ruscelli chiarissimi scorrono. Dalle pareti scendono cascate. L’acqua colora le pareti di rosso ruggine. […] Le pareti perpendicolari ci separano dal resto del mondo. Noi ci immaginiamo di comprarci la cava di calce quando non verrà più sfruttata. E lì sotto ci vogliamo costruire delle case di legno con un enorme giardino pieno di animali e con tutto quello di cui uno ha bisogno per vivere. L’unica strada che c’è la vogliamo chiudere.
Non avremmo comunque più alcuna voglia di tornare su”.

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