Dieci cose che ho imparato sulla doppia morale dei moralisti un tanto al chilo. Dal GF in su
04/10/2016 di Boris Sollazzo
Questa rubrica dovrebbe avere cadenza quotidiana. Ci eravamo imposti di fermarci, abbiamo anche resistito al caso Cantone che ha mostrato acrobatici doppi moralismi incrociati a vendette, ripicche e disparità di trattamento a uso e consumo delle convenienze e degli ego di chi l’ha commentata. Di fronte alla morte, tutto perde di interesse.
Ora però, abbiamo voglia di tornare a giocare. Partendo dalla televisione, quel luogo magico privo di memoria storica e pieno di retorica a buon mercato.
(Avvertenza: nessuno qui sottovaluta frasi, che rimangono un grave errore, riconosciuto dallo stesso “colpevole” senza riserve. La rubrica è sulla doppia morale di chi giudica)
1. L’Italia – e la tv italiana – è quel luogo in cui a fare la morale può essere, con faccia contrita e camminata alla Saviano, persino Alfonso Signorini. Sì, l’uomo dell’inchiesta ficcante su Ruby nipote di Mubarak corredata da intervista d’assalto, come quella sdraiatissima ad Alemanno, il direttore del fotoreportage – affatto misogino, no no – sulla Madia che mangia il gelato o sulla cena di Natale di Berlusconi. E poi l’approfondimento sulla verginità di Noemi Letizia è studiato nelle scuole di giornalismo, il Virgingate rimarrà nella storia. Come le intercettazioni e l’inchiesta del compianto Frank Di Maio (non è un parente vendicativo di Luigi, ma un pm che prima di morire, nel 2013, indagò su Corona e Vallettopoli) su come il nostro fa gli scoop.
Ah, per completezza: la difesa dell’onore di Simona Ventura, strappalacrime, forse serve all’Alfonso nazionale per ricucire con SuperSimo: all’Isola dei famosi lei gli disse “stai facendo soffrire i miei figli”.
2. Il ministro Andrea Orlando si scaglia contro Clemente Russo. Bravo. Quella frase decontestualizzata è comunque un errore del pugile, anche agente di polizia penitenziaria. E il nostro governo deve essere inflessibile: alle 3 di notte, senza microfono, in un clima cameratesco ti scappa una battuta sbagliata e irripetibile? Il ministro non perdona. Ci auguriamo faccia lo stesso nelle carceri, in cui succede di tutto: non solo alle 3 di notte. Ci contiamo.
3. Signorini e Selvagge. Non è il titolo di un film, ma quello del nuovo gruppo di doppiomoralisti. Pensate che l’editorialista del Fatto Quotidiano ha pensato bene di lanciare i suoi strali contro l’olimpionico di boxe con un “peccato abbia vinto tanto, non ne ha prese abbastanza”. Geniale: per stigmatizzare la violenza, usare la violenza. Un po’ come quando Selvaggia Lucarelli con la Cantone alimentava la gogna mentre la condannava.
4. Nessuno di noi può pensare che il Grande Fratello Vip possa essere un tribunale equo né un luogo illuminato improntato alla giustizia. Ma quello Stefano Bettarini che prima “mi assumo le mie responsabilità”, poi all’espulsione di Russo dice “me ne vado anche io”, poi si mimetizza con il divano peggio di quand’era in campo, infine ricomincia a giocare come se nulla fosse è la brillante fotografia del doppiomoralismo di Blasi e soci che caccia il pugile e si tiene l’ex calciatore. E stendiamo un velo pietoso su ciò che si è tollerato in quel reality per anni: perché se al centro di tutto c’è Simona Ventura – unica vera vittima di tutto questo bailamme – e non Patrizia della Tuscolana, scatta il linciaggio.
5. Scandalo “friariello”. Brava Ilary a non passarci sopra. A Bosco stesso, che sfotti con battute maschiliste senza sosta per la puntata, con l’apice al momento di “Bosco, mettiti la parrucca”. Perché l’omofobia no, diamine.
6. Renzi parla di Mafia Capitale alla Muraro. La Muraro lo querela. Uno è a capo di un partito che in quell’inchiesta è finito con tutte le scarpe, l’altra ci avrebbe nuotato in quelle acque per anni, a giudicare dalle prime risultanze delle indagini su Panzironi stesso. A volte, invece di giocare a specchio riflesso, il silenzio d’oro dovrebbe essere l’unico bene rifugio del buon senso. E non parleremo della quadrupla morale che ha colpito per due anni il povero Pizzarotti.
7. Il Sole 24 ore si dedica a un’inchiesta invasiva con tanto di visure catastali e indagini sul reddito sulla donna sospettata di essere Elena Ferrante, la geniale scrittrice che ha rivoluzionato il cadaverico mercato editoriale italiano. Tanto impegno non lo abbiamo visto per verità ben più importanti: forse le donne da proteggere sono solo quelle che non scelgono l’anonimato? Avere talento e non essere assetate di fama è un reato insopportabile in un paese vacuo, vanitoso e superficiale come questo. Noi chi è Elena Ferrante non vogliamo saperlo.
8. Qui si parla di noi giornalisti. llaria Capua, l’untrice. Ve la ricordate? Accusata di diffondere dalla sua colonna infame l’aviaria, prosciolta perché “il fatto non sussiste”. Lo si sa da mesi: chi l’ha tirato fuori, lo scoop, ha continuando interpretando le intercettazioni, gli altri, che alla cosa dedicarono prime pagine, ora al proscioglimento danno spazio marginale. Eppure la storia è di quelle che piacciono alla gente, c’è pure il gombloddo: la Capua nel 2006 prese la decisione di rendere pubblica la sequenza genetica del virus dell’aviaria, dando il via allo sviluppo della cosiddetta scienza open-source e iniziando a promuovere una campagna internazionale a favore del libero accesso ai dati sulle sequenze genetiche dei virus influenzali. Per molto meno le multinazionali hanno devastato carriere e vite. Facile capire cos’è successo, facile dare evidenza al fatto, magari accumulando lettori. Ma si dovrebbe ammettere l’errore, di aver sbattutto il (falso) mostro in prima pagina. Troppo, per le nostre abitudini.
9. In questa settimana se n’è andato un collega, Luca Svizzeretto. Un outsider nel mondo del giornalismo: diceva quello che pensava, a colleghi e artisti, nel bene e nel male. Combatteva battaglie scomode. La doppia morale qui ha agito in due direzioni: molti di coloro che lo hanno emarginato in vita, ora lo piangono commossi, ma è coccodrillume italico classico. Poi c’è chi, che peraltro è a capo di una organizzazione che si dà il nome di Sindacato senza realmente esserlo, che parla di “un precariato che hai saputo trasformare in autonomia e indipendenza”. Ecco, non la rimprovero, parla di qualcosa che non conosce. Il precariato sottopagato non è mai indipendenza, ma schiavitù. La nostra generazione non può curarsi come dovrebbe, perché deve lavorare il doppio per sopravvivere. Non ha diritti, solo doveri. Anzi, non solo non ha diritti, non li pretende neanche più. E da chi li piange, da morti, non ha mai aiuto. Perché se avessero parlato a favore di Luca, in vita, anche solo un decimo di quelli che l’han fatto post mortem, forse chissà all’appuntamento più importante sarebbe arrivato con un fisico meno provato da sacrifici e stakanovismi, oltre che dalla malattia. E quel guerriero che era autonomo e indipendente NONOSTANTE fosse precario, oggi sarebbe ancora con noi. La doppia morale dei privilegiati contro i sans papiers del lavoro che l’unico contratto che firmano è quello con le finanziarie o per rateizzare un acquisto, se mamma mette la firma e la garanzia, è insopportabile. Perché il danno non gli basta, vogliono pure beffarci.
10. Calcio. Maurizio Sarri si lamenta? Piagnone. Luciano Spalletti si lamenta? Furbo. Giorgio Squinzi si lamenta? E’ l’ex presidente di Confindustria.