COP21, dieci giorni per salvare il mondo

02/12/2015 di Mazzetta

Il presidente francese Hollande, il ministro per, l'ecologia, lo sviluppo sostenibile e l'energia, Roya,l e la cancelliera tedesca Merkel  (Photo credit MARTIN BUREAU/AFP/Getty Images)
Il presidente francese Hollande, il ministro per, l’ecologia, lo sviluppo sostenibile e l’energia, Segolene Royal, e la cancelliera tedesca Merkel (Photo credit MARTIN BUREAU/AFP/Getty Images)

 COSA S’ATTENDE DAL VERTICE –

L’aspettativa teorica è quella per un accordo universale e vincolante nella lotta ai cambiamenti climatici che permetta contenere il riscaldamento globale entro i 2° di aumento alla data del 2100. Presentato come l’ultima spiaggia per il pianeta difficilmente potrà onorare un’aspettativa tanto alta, se una accordo vedrà la luce è facile che si tratti di un dispositivo simile al protocollo di Kyoto, scarsamente vincolante, non universsale e decisamente al di sotto delle esigenze, che reclamerebbero una tagli netto e significativo delle emissioni ovunque a livello globale e in particolare un taglio netto all’utilizzo del carbone come fonte energetica, che è ancora oggi a fonte fonte fossile più utilizzata e il consumo del quale tende all’aumento invece che alla riduzione. La sfida è nel tirare dentro a qualsiasi accordo i giganti che finora vi si sono sottratti, Cina, India, Stati Uniti e Russia sono i paesi che più hanno da sacrificare sul tavolo di COP21, mentre gli europei faranno la parte dei virtuosi, anche se le virtù dell’Europa, unico continente a ridurre realmente consumi ed emissioni, discendono per lo più dall’aver spostato le produzioni più energivore e inquinanti in Cina, dove i limiti di Kyoto non valevano e dove s’è visto com’è finita, con la fabbrica-mondo immersa nello smog asfissiante com’era un tempo per Londra, Los Angeles o la Pianura Padana.

LA STORIA DELLE COP –

La storia della conferenza comincia a Rio de Janeiro nel 1992ed è da lì che si traccia il primo testo che riconosce l’esistenza dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo e assegna ai Paesi industrializzati la maggior parte della responsabilità nel fronteggiarli. Nel 1997 sarà COP3 a dare alla luce il Protocollo di Kyoto, il primo testo che pone obiettivi di riduzione delle emissioni per alcuni paesi industrializzati, che però entrerà in vigore solo nel 2005 ed è scaduto nel 2012. Nel 2007 a Bali si era stabilita una road map per arrivare a un nuovo accordo nel 2009, ma la COP15 di Copenhagen va a vuoto e così le successive fino a oggi, quando non è ancora chiaro cosa, a parte una maggiore urgenza, possa spingere i rappresentanti dei paesi e delle industrie interessate ad assumere impegni che finora hanno fuggito come la peste. L’unico accenno di coscienza comune si è avuto con l’istituzione del Green Climate Fund, che altro non è che un fondo finanziario a sostegno delle azioni di mitigazione degli effetti del globl warming. Un intervento palliativo sulle conseguenze e niente che tocchi le cause. Nel 2012 la conferenza di Doha ha visto entrare in vigore un secondo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto (2013-2020), ratificato da una parte dei paesi industrializzati, un impegno che significa tra l’altro che eventuali impegni presi oggi entreranno in vigore dal 2020. L’obiettivo del contenimento dell’aumento della temperatura globale entro 2°, che è un’enormità, è lontano dall’essere ottimale, ma tiene conto del fatto che prima d’invertire la tendenza assisteremmo al dispiegarsi dei danni già fatti finora ed è piazzato ottimisticamente al confine raggiunto dai modelli predittivi a disposizione degli scienziati, che per aumenti superiori passano a invocare l’imprevedibile, catastrofe compresa. Si tratta di un limite simbolico, ma non troppo, visto che tutti gli scienziati sono abbastanza concordi che oltre quella soglia si potrebbero innescare fenomeni imprevedibili quanto devastanti su scala planetaria, fenomeni che si teme potrebbero rivelarsi irreversibili. I capi di governo sono quindi attesi ad annunciare grossi sacrifici in nome del bene comune, se vogliono davvero fornire una risposta efficace alla minaccia, ma che questo accada per ora è considerata un’ipotesi difficilmente realizzabile.

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