Cosa fa diventare virale un gesto semplice
09/10/2014 di Maghdi Abo Abia
Cosa trasforma un gesto all’apparenza semplice in un qualcosa di virale, in grado di coinvolgere tutto il mondo? Se lo chiede Slate che racconta la nascita dell’Ice Bucket Challenge, un gioco partito dalla fantasia di Peter Frates e dei suoi amici. Doveva essere un passatempo in grado di regalare una risata ai protagonisti, si è trasformato in un fenomeno mondiale.
LA STORIA DELL’ICE BUCKET CHALLENGE – Peter Frates, malato di Sla, voleva divertirsi con gli amici e nessuno di loro avrebbe mai pensato che questo gesto avrebbe dato vita ad una catena internazionale senza precedenti che ha aiutato alla raccolta di fondi forse mai visti prima da coloro che lottano per trovare una cura della malattia. I tre milioni di persone che hanno partecipato all’Ice Bucket Challenge hanno raccolto 150 milioni di dollari da destinare alla ricerca in sole sette settimane. Probabilmente Frates, 29enne ex giocatore di baseball, non potrà godere dei progressi della ricerca. La malattia ha continuato il suo corso ed oggi il ragazzo, paralizzato, non puo’ più parlare e si alimenta solo attraverso un tubo.
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DA BOSTON AL MONDO – Eppure il suo piccolo gesto ha dato una mano enorme alla ricerca. Nel giro delle prime due settimane, dal 29 luglio al 14 agosto, l’associazione destinataria dei fondi ha ricevuto 7,6 milioni di dollari. Una cifra enorme, di gran lunga superiore agli 1,4 milioni raccolti in tutto il 2013. A dare una mano a Peter è stato sicuramente il mondo dello sport di Boston. L’uomo, conosciuto nell’ambiente, ha avuto una grossa mano da compagni ed amici. E la macchina si è attivata da quel momento in poi. Ora l’associazione destinataria dei fondi, la Als, ha detto che cercherà di capire cosa fare di tutto quel denaro discutendone anche con ricercatori, scienziati e la famiglia di Peter Frates, garantendo la massima trasparenza.
IL SUCCESSO DI #YESALLWOMEN – L’Ice Bucket Challenge non rappresenta però il primo caso di sostegno virale ad una causa. Su Twitter mesi fa comparve #YesAllWomen, un hashtag in risposta alla strage di Isla Vista del 2014, in cui il 22enne Elliot Rodger uccise sei persone e ne ferì 13 prima di suicidarsi a Santa Barbara, in California. Una strage nata dall’odio per le donne che continuavano a rifiutarlo. In poche ore l’hashtag divenne virale. Fu così che centinaia di donne in tutto il mondo contemporaneamente raccontarono le loro storie di violenza e misoginia. Nei primi quattro giorni l’hashtag venne twittato 1,2 milioni di volte e fu tutto naturale, non pianificato. La conferma viene da M.Kaye, creatore dell’hashtag nato a suo dire dalla rabbia, dalla frustrazione e dal dolore che provava in quel momento.
LA NASCITA DI NOH8 – Un’altra campagna entrata nella storia è quella conosciuta con la sigla NOH8, un progetto fotografico nato a seguito della Proposition 8, un referendum tenutosi in California nel 2009 attraverso il quale si chiedeva l’abolizione della legge locale che autorizzava i matrimonio tra persone dello stesso sesso. I fotografi Adam Bouska e Jeff Parshley, compagni nella vita, decisero di rispondere alla campagna con una foto che li raffigurava con un adesivo sulla bocca e la scritta NOH8, ovvero «No Hate», no odio. Da quel giorno è scattata una campagna che ha unito tutto il mondo. Come avvenuto per l’Ice Bucket Challenge e #YesAllWomen