Cosa ne è stato degli anni ’80?

LA MOSTRA IN SUO ONORE – Nel 1988 siglò un accordo commerciale in Giappone dal valore di 100 milioni di dollari in sei anni ed era osannato in tutto il mondo. Oggi invece, come ci ricorda il Sole 24 Ore, il timone dell’azienda venne preso nel 1990 dalla sorella Silvana con il figlio Francesco Martini che nel 1996 iniziò a disegnare personalmente la sua griffe You Young Coveri, diventando poi responsabile creativo dell’azienda. Le cose vanno bene grazie all’impegno di Martini ma il passato è irripetibile. A certificarlo l’organizzazione a Prato, nel 2012, come ricorda Gq, di una mostra dedicata allo stilista nato nella città toscana nel 1952 e ribattezzato “uomo del colore”, in grado di avere tra le sue testimonial Claudia Schiffer e Naomi Campbell, fotografate da Oliviero Toscani.

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IL MARCHIO BEST COMPANY – Un’altra Italia, e forse un altro mondo. Lo stesso che ha riguardato il marchio “Best Company”. Come dimenticare le felpe colorate, le cinture con le fibbie giganti -un must per l’abbigliamento dell’epoca- e quella scritta in corsivo colorata di verde e con un pino che campeggiava su maglie e pantaloni? L’azienda nacque nel 1970 grazie al genio di Olmes Carretti e divenne, come spiega Dimenticatoio.it, il marchio di fabbrica -un altro- dei paninari. Con il marchio Carretti volle portare i tessuti stinti nel mercato italiano. Il prodotto era destinato prima al pubblico maschile ma con il passare del tempo l’offerta incluse anche donne, bambini ed accessori come diari, libri, scarpe e profumi. La marca venne usata anche per griffare una macchina, per la precisione la Peugeot 205 “Best Company”.

UN SIGNIFICATO PER TUTTO – Su Facebook compare una pagina che ci dice qualcosa in più di questo marchio, che voleva mandare un messaggio ad ogni occasione, circostanza confermata da Carretti in un’intervista di allora: ”

Il pino (simbolo della Best Company), era un messaggio ecologista già allora. Oltre alla grande qualità dei capi e alla loro indistruttibilità data da una mischia di materiali, la forza di Best Company è stata questa, il saper dare dei messaggi. Per ogni nuova collezione, si stabilivano degli argomenti da affrontare, spesso dettati dal momento politico, bisognava puntare sulla grafica, ben visibile e con contenuti. Sulle nostre felpe affrontavano tematiche che la maggior parte dei consumatori non aveva la possibilità di raggiungere, come ad esempio un evento particolare in un’altra parte del mondo: chi aveva la possibilità di vederlo? Una maglietta pubblicitaria poteva soddisfare il desiderio di esserci stato. Un’operazione di marketing notevole per gli anni’80

Finita la moda degli anni ’80, è toccato anche a Best Company sparire. La marca venne venduta al gruppo Fin.part che la rilanciò salvo poi venderla al marchio Cisalfa nel maggio 2002 per tre milioni di euro. Ed ogni tanto il marchio fa capolino, anche se il prezzo degli indumenti -vedi quelli in vendita in un centro commerciale della provincia di Milano- non sono più quelli dell’epoca. Ed Olmes Carretti? E’ ancora in pista, come spiega l’Eco di Bergamo. Sarà infatti stilista per Tortuga Academy, marchio della Indes Retail di Medolago, in provincia di Bergamo, puntando sul colore per indumenti da mare e casual.

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LA BOLLA NAJ – OLEARI – Segno che in fondo gli anni ’80 possono tornare per davvero, ma che questo dipende da chi ha generato il loro successo. Infine ricordiamo cosa è successo a Naj – Oleari, fondata nel 1916 da Riccardo Naj – Oleari e diventata negli anni ’80 un marchio d’importanza mondiale. L’apice si raggiunse nel 1985 quando i colori ed i disegni accattivanti dell’azienda nata per realizzare abbigliamenti sacerdotali divennero un must per giovani ed adolescenti. Il fatturato raggiunse il top nel 1990, a 35 miliardi di lire, sestuplicato rispetto ai sei miliardi del 1985. Nel ’90 si dovettero poi aggiungere 20 miliardi per i prodotti in licenza, al punto che nel 1991 i negozi in Italia erano circa 50 mentre erano 10 quelli nel resto del mondo. Ma la discesa fu altrettanto vertiginosa così come fu la salita.

UNA PAGINA DI STORIA – Il marchio perse rapidamente tutta la sua importanza, tanto che nel 1996 venne acquisito da Bottega Verde e come dimostra la pagina Facebook del marchio, oggi si punta sulla cosmesi. I like, meno di 2000, certificano però che il successo della società resta ormai, anche in questo caso, un lontano ricordo. Perché? Forse perché nessuno dei marchi sopracitati ha saputo rinnovarsi davvero. Di fatto parliamo di icone di un periodo ormai trapassato e questo ha creato un cortocircuito per cui a certi nomi si associa necessariamente un’epoca, senza che vi sia la possibilità di evolvere realmente seguendo le indicazioni del mercato odierno. Un po’ come quando si guardano le pubblicità dell’epoca e si ricorda quanto era buono il latte condensato Nestlé. Eppure nessuno -o quasi- si chiede se è ancora in commercio. Perché si tratta di un prodotto che appartiene al passato, che non è stato al passo e che quindi deve rimanere lì dov’è, ricordato con nostalgia ma non più attuale. (Photocredit Lapresse / Grazia.it / Olmescarretti/ Google / Facebook)

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