La strana crisi del prezzo del petrolio

18/01/2015 di Mazzetta

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SI POMPA COME NON MAI – Proprio dal Medio Oriente giungono notizie altrettanto rassicuranti sul fronte delle forniture, perché torna sul mercato il petrolio dell’Iran, aumenta la produzione dell’Iraq e c’è stato l’esordio di Israele tra i paesi esportatori grazie a risorse offshore che dovrebbero essere anche in Palestina. Persino la produzione della Libia è aumentata nonostante l’instabilità interna, mentre l’Arabia Saudita si è detta decisa a non ridurre la sua produzione per far risalire i prezzi, una richiesta ricevuta dai colleghi dell’OPEC e che avrebbe il consenso di buona parte dei paesi produttori, molti dei quali con il petrolio a 50 dollari sono nei guai, essendo i loro bilanci ormai tarati su entrate garantite da prezzi più alti.

L’OPEC OPACA – I motivi dei sauditi rimangono imperscrutabili, decisioni del genere sono prese tra un ristretto circolo di familiari del sovrano e spesso hanno motivazioni molto lontane da quelle accreditate dall’esterno. In questo caso si è parlato dell’intenzione di mettere in difficoltà l’Iran come di quella di deprimere l’industria americana, che con i prezzi troppo bassi si trova fuorigioco, come subito hanno testimoniato la chiusura di diversi pozzi finiti fuori mercato.

L’OPEC CHE PERDE DI RILEVANZA – Sia come sia, l’Opec copre il 40% della produzione mondiale, non è un monolite e non esercita più il potere di ricatto di un tempo sulle economie occidentali e su quella americana in particolare, che ancora importa idrocarburi, ma che ormai si serve di preferenza presso i paesi africani. La sua capacità di fare il prezzo, e in particolare quella dei sauditi che con i colleghi del Golfo ne sono gli azionisti di riferimento, resta relativa e a sua volta soggetta all’influenza di variabili globali e regionali che possono averne facilmente ragione. Così come resta relativamente eccezionale la quotazione del petrolio di questi tempi, che non è comunque auspicabile rimanga tanto bassa a lungo. Nonostante il prezzo più basso dell’energia sia indubbiamente un volano positivo per l’economia, uno tanto basso si risolve in danni insopportabili alle economie di interi paesi, deprime gli investimenti nelle rinnovabili e peggiora la situazione sul fronte della lotta all’inquinamento e al riscaldamento globale. Inoltre la grande disponibilità di gas naturale uccide le centrali a carbone e quelle a oli combustibili, provocando l’aumento delle emissioni di CO2 e altri inquinanti volatili su scala globale, mentre invece sarebbe necessario ridurli.

LE NUMEROSE VARIABILI – Il prezzo del petrolio cala quindi per un eccesso di offerta abbastanza evidente e non sarà comunque una decisione dei sauditi a cambiare lo scenario nel breve e medio termine, ma si può stare abbastanza certi che la domanda che (almeno) non cala e l’intrinseca finitezza della risorsa riporteranno abbastanza a breve le quotazioni almeno a quota 80 dollari, che è quella considerata da molti la più ragionevole e sostenibile, il punto d’incontro ideale tra paesi produttori e clienti.

SU TUTTO, L’INCOGNITA DEL FRACKING – Si tratta infatti di una quotazione che permette di respirare ai molti paesi produttori che rischiano ora la bancarotta perché hanno bilanci tarati sulle entrate garantite da quotazioni maggiori, senza pregiudicare i sogni di crescita economica e produttiva e senza mettere fuori mercato le energie alternative, che non possono aspirare a raccogliere investimenti in uno scenario nel quale i prezzi di gas e petrolio viaggiano ai minimi storici. Una stabilizzazione che dovrebbe resistere almeno fino allo scoppio di una possibile prossima bolla delle materie prime, ma soprattutto almeno fino a quando non si esaurirà il boom petrolifero statunitense, sulla durata del quale i dubbi sono robusti visto che nel caso del fracking è molto difficile individuare e fissare il confine tra risorse individuate ed esistenti e risorse realmente recuperabili.

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