Stefano Cucchi e il carabiniere intercettato: «Raffaè hai raccontato di quanto vi eravate divertiti a picchiare quel drogato di merda»
17/12/2015 di Redazione
Cinquanta pagine. Cinquanta, per raccontare sei anni di depistaggi e bugie sulla morte di Stefano Cucchi. Questo il lavoro del pm Giovanni Musarò, raccontato da Guido Ruotolo, oggi, su La Stampa:
Il pm di Roma punta il dito sui Carabinieri e nomina un nuovo perito. Il 30 giugno scorso, il carabiniere Riccardo Casamassima detta a verbale: “Il maresciallo Mandolini (comandante della Stazione dei carabinieri Roma-Appia, ndr) mettendosi una mano sulla fronte mi disse: “è successo un casino, i ragazzi hanno massacrato di botte un arrestato”. Mandolini si diresse verso l’ufficio del comandante di Torvergata e, in presenza della mia compagna, il carabiniere Rosati, aggiunse il nome dell’arrestato, Cucchi, e disse che stavano cercando di scaricare la responsabilità sugli agenti della Polizia Penitenziaria”.
La verità sulla morte di Stefano Cucchi sta emergendo in tutta la sua drammaticità. In cinquanta pagine il pm Giovanni Musarò ricostruisce sei anni di depistaggi, di silenzi omissivi, di complicità dentro un microcosmo dell’Arma dei carabinieri.
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Furono i carabinieri che arrestarono e poi perquisirono Stefano in quello che, secondo il pm Giovanni Musarò, è stato “un violentissimo pestaggio”. Assenza dei nominativi dei due carabinieri che arrestarono il ragazzo e perfino intercettazioni eloquenti spiegano il quadro delle indagini:
Preoccupato, il carabiniere chiama la donna: “Che cosa volevi dire? Prima fammi capì’ tu hai la palla di vetro? Io non ho fatto niente, perché dovevo aspettarmi una cosa del genere?”. Lei: “Tu non hai fatto niente? È quello che raccontavi a me, a tua mamma, a tuo padre. Che te ne vantavi pure… che te davi le arie. Raffaè hai raccontato di quanto vi eravate divertiti a picchiare quel drogato di merda”. Si capisce, leggendo le carte, che tra le stazioni dei carabinieri di Roma-Appia, Torvergata, Tor Sapienza, si è cercato di nascondere i fatti. Si è usato il “bianchetto” per cancellare il nominativo di Cucchi dal registro dei foto-segnalamenti.
Cucchi, nella ricostruzione della Procura di Roma, si oppone al rilevamento delle impronte digitali, si dimena, gli parte uno schiaffo contro un carabiniere. E a quel punto il pestaggio scientifico di altri tre carabinieri. Perché viene cancellato il suo nome da quel registro? Perché il maresciallo della stazione interrogato a processo dice che il foto-segnalamento non era obbligatorio? E perché i carabinieri che massacrano di botte Cucchi, ufficialmente non esistono e vengono protetti dalle stazioni dell’Arma?
Sei anni dopo, la verità comincia ad affermarsi.
(in copertina foto ANSA)